Con la decadenza delle ultime restrizioni nell’accesso alle strutture sanitarie, il coviddi “classico”, quello della tradizione a cui eravamo tanto affezionati, si consegna alla storia e alla memoria. È pur vero che permarrà l’obbligo di indossare i dispositivi in alcuni reparti ospedalieri e che il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus continua a raccomandare prudenza e a rinviare l’annuncio ufficiale della fine dell’emergenza, ma il caro vecchio SARS-CoV-2, “long” o meno, non riesce più a far breccia nei cuori paurosi degli italiani, ed allora tanto vale decretarne burocraticamente la fine così come burocraticamente se ne era decretato l’inizio. Gli hub vaccinali hanno chiuso i battenti uno dopo l’altro per mancanza di “utenti” nonostante le disperate iniziative promozionali (come i “vax day” contro l’influenza) per sopravvivere all’estinzione della domanda: ora dovranno essere in qualche modo smaltite 170 milioni di fiale di vaccino “vecchio” che nessuno vuole più. Le farmacie che al tempo delle vacche obese hanno fatto scorte di tamponi si ritrovano con troppi bastoncelli e pochi nasi da profanare. I “nuovi negazionisti” che vanno in giro mascherati negando la fine del coviddi sono sempre meno. La narrazione, insomma, sfinita da troppe sottotrame, ha perso smalto fino a sfibrarsi, logorarsi, autovanificarsi. Lo spettacolo nel suo insieme, però, è andato alla grande, e per riacciuffare il pubblico, ch’è volubile per definizione, già si lavora per nuovi protagonisti e nuove scenografie che possano solleticarne l’interesse. Del resto, l’ineffabile Ghebreyesus ha più volte ribadito che la domanda giusta da porsi sulla prossima pandemia non è se avverrà, ma quando. Il sempre lungimirante Bill Gates, in un intervento pubblicato sul New York Times e poi tradotto da Repubblica, ha sostenuto che il mondo deve prepararsi a fronteggiare le prossime pandemie esattamente come ci si prepara a tenere testa agli incendi, perorando la causa della costituzione della Global Health Emergency Corps, una rete coordinata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che avrebbe lo scopo di scovare le pandemie e mettere a punto le adeguate risposte coinvolgendo “i massimi responsabili delle emergenze sanitarie di tutto il mondo”, ovvero i burocrati del terrore che hanno appena finito di condurre l’operazione Covid. Quelli del World Economic Forum erano stati ancora più lungimiranti, parlando già un anno fa della necessità di dare vita al Global Pandemic Radar, una costellazione di centri che avrebbero dovuto monitorare virus e contagi in tutti gli angoli del mondo. E così, è da un po’ che va avanti il casting per decidere quale malattia prenderà il posto dell’ormai decotto coviddi nel film horror del XXI secolo. I parenti stretti del coviddi stesso si sono bruciati presto: le cosiddette “varianti” hanno preso una piega prima paradossale, poi comica, infine grottesca. Non hanno funzionato né coi nomi circonfusi di un’aura vagamente mitologica (“Omicron”, “Cerberus”, “Centaurus”, Gryphon”, “Hyperion”, “Kraken”…l’ultima è stata italianizzata in “Arturo” per vedere se fa più simpatia), né con quelli legati all’origine geografica più o meno esotica e neppure coi criptici nomi scientifici fatti di lettere e numeri: difficile perdere il sonno per XBB.1.5 . Di queste varianti e sottovarianti si parla ormai come di titoli quotati in borsa, sparacchiando numeri privi di qualunque consistenza: Gryphon, per dire, sarebbe salito del 19,9% in una settimana. Il vaiolo delle scimmie ci ha provato, ma non era cosa sua. Si era pure cambiato il nome in “Mpox”, ma bersagliando quasi solo i maschi omosessuali non aveva proprio speranze. Ovviamente, gli esperti preannunciano un’estate con forte rischio di aumento dei contagi e l’OMS raccomanda di predisporre piani vaccinali di massa per debellare la malattia in cinque anni, ma ‘ste famose bolle chi le ha viste? Ollellè ollallà, alla prossima faccele vede e faccele toccà. Convincenti sono stati i provini dell’aviaria, ma senza guizzi: mentre il virus H5N1 stermina pollastri nel Sud-Est asiatico e nuovi focolai divampano fra mammiferi promiscui come i visoni spagnoli e le volpi rosse parigine, la stessa Oms è costretta ad ammettere che i casi sono in calo e che non è mai capitato che il virus venisse trasmesso da un essere umano a un altro. L’influenza “normale”, ch’era sparita dalle scene ai tempi del coviddi dopo una lunga e sobria carriera, s’è ripresentata al casting, ma quasi le hanno riso dietro. Ha il suo pubblico di aficionados, le decine di milioni di italiani che fanno ogni anno il vaccino apposito, ma non sfonda proprio dall’altra parte: è troppo vintage. Folkloristiche, se non provocatorie, son state le candidature della malattia di Chagas (eppure il consigliere regionale piemontese Silvio Magliano si sta battendo come un leone per introdurre “screning gratuiti” per arginare la parassitosi tropicale sulle Alpi e nelle Langhe), dell’ebola (che sarebbe dovuta arrivare sui barconi andando a disturbare il montaggio di un altro film) e del semisconosciuto Candida auris, un “fungo assassino” raccomandato da Bassetti in persona (pare stiano studiando nuovi farmaci per debellarlo…capisciammé). Il film, ad ogni modo, si farà: sceneggiatori, registi e (soprattutto) produttori troveranno la quadra e “la nuova pandemia” sarà il kolossal più colossale di tutti i tempi. Nel frattempo, il casting va avanti come una rivoluzione permanente.
GR
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