Giuseppe Russo
Avanti.it
Dopodomani, domenica 20 novembre, prenderà il via in Qatar la ventiduesima edizione della coppa del mondo di calcio, la prima a svolgersi in un paese del Medio Oriente. Il Qatar questi mondiali se li è comprati, letteralmente: la procedura di assegnazione è stata viziata da una corruzione così palese da essere diventata un fatto acquisito anche nel giornalismo mainstream e nell’ambito dello stesso governo mondiale del calcio. Artefice del “miracolo” qatariota del 2010, quando il comitato esecutivo della FIFA aveva scelto l’emirato come sede della fase finale della coppa nel 2022 a discapito di Stati Uniti, Corea del Sud, Giappone e Australia, era stato Mohammed bin Hammam, il quale, dopo essere stato per quasi un decennio a capo dell’AFC, la branca asiatica della FIFA, stava per diventare presidente della stessa federazione calcistica mondiale, sempre sull’onda della più sfrenata corruzione, ma era stato costretto a ritirarsi dalla corsa nel maggio 2011, quando era ad un passo dal concludere l’operazione. Almeno quattro membri del comitato esecutivo FIFA sono stati comprati dai qatarioti, i quali avevano pure ingaggiato per l’occasione un ex ufficiale della CIA, Kevin Chalker, per coordinare le attività di “pubbliche relazioni” e portare avanti il controspionaggio a danno delle candidature avversarie. Nonostante lo stesso Joseph Blatter, che era presidente FIFA nel 2010, abbia riconosciuto a distanza di otto anni dai fatti che il Qatar avesse imbrogliato per aggiudicarsi la coppa (“redenzione” piuttosto tardiva, visto che un’indagine interna del 2011 si era chiusa con l’insabbiamento), nonostante per fatti correlati alla controversa assegnazione sia stato arrestato nel giugno 2018 l’ex campione ed ex presidente UEFA Michel Platini e nonostante vi fosse, burocraticamente e logisticamente parlando, la possibilità di cambiare sede ripescando gli Stati Uniti o il Giappone, non è stata fatta alcuna marcia indietro. Il cerchio è stato chiuso da Gianni Infantino, attuale presidente FIFA (svizzero come Blatter: il mondo del calcio è permeato di un certo senso degli affari tutto elvetico), il quale ha raccomandato di “pensare solo al pallone”.
L’intervento di Infantino aveva lo scopo di soffocare le polemiche che stavano divampando sulla stampa occidentale di ogni orientamento a proposito del regime qatariota e del suo flagrante disprezzo per i diritti umani. Lungi dall’ammorbidirsi in vista della coppa e dell’accoglienza dei tifosi, il governo del Qatar ha ribadito la sua ostilità all’omosessualità, che è stata definita dall’ “ambasciatore” dei mondiali ed ex calciatore Khalid Salman “un peccato e un danno psichico” in un’intervista rilasciata al canale televisivo tedesco Zdf. È stato inoltre fatto esplicito divieto di sfoggiare simboli arcobaleno e di introdurre nel paese, fra le altre cose, carne di maiale e materiale pornografico, ritenendo gli stranieri benvenuti ma tenuti a rispettare le regole, logica che è stata sposata dal ministro degli esteri britannico James Cleverly, il quale ha invitato i notoriamente chiassosi supporter di Inghilterra e Galles ad adeguarsi alle usanze qatariote. Fra i divieti che saranno in vigore durante il periodo “mondiale”, vi è anche quello di consumare birra all’interno degli stadi, intorno al quale si è consumato un braccio di ferro fra la Budweiser, multinazionale che figura fra gli sponsor della competizione con un investimento di 75 milioni di dollari, e la famiglia reale, la quale ha espresso attraverso lo sceicco Jassim bin Hamad bin Khalifa al-Thani la sua ferma contrarietà al consumo di alcolici al di fuori di aree “controllate” situate a chilometri di distanza dagli impianti. Pur essendo a rischio il ricco contratto di sponsorizzazione, i vertici della FIFA, evidentemente ubriacati dai soldi degli sceicchi, hanno preso le parti di questi ultimi. Per scoraggiare ulteriormente il consumo peccaminoso, una pinta costerà intorno ai 14 euro.
Tutta l’ipocrisia dell’Occidente è venuta a galla nel momento in cui i più si sono accorti, a pochi giorni dall’inizio delle gare, di quanto fosse “impresentabile” il regime qatariota. Lo stesso sbigottimento non si è manifestato nel recente passato, in tutte quelle circostanze in cui il Qatar, che fra le petromonarchie del Golfo Persico è quella che più ha puntato sullo sport per la promozione della sua immagine, si è comprata le manifestazioni sportive, facendosi largo a suon di miliardi nonostante il suo territorio desertico ed i suoi appena due milioni di abitanti. Dall’inizio del nuovo secolo, da quando cioè lo sceiccato ha preso ad investire massicciamente nello sport, il Qatar si è prima accaparrato l’organizzazione di eventi su scala continentale, dai Giochi Asiatici del 2006 alla Coppa d’Asia di calcio del 2011, per poi estendere il suo raggio d’influenza all’intero pianeta, “vincendo” le gare di assegnazione per i mondiali di pallamano maschile del 2015 (competizione nella quale il Qatar arrivò secondo grazie ad arbitraggi più che compiacenti), per quelli di ciclismo del 2016 e per quelli di atletica leggera del 2019, oltre che per quelli di nuoto che si terranno nel 2024. Inoltre, si tengono annualmente a Doha e dintorni il Qatar ExxonMobil Open, torneo del circuito professionistico di tennis che si svolge dal 1993, il Commercial Bank Qatar Masters, torneo di golf in mezzo al deserto con un montepremi di due milioni di dollari (prima edizione nel ’98), il gran premio di motociclismo tappa del “motomondiale” (dal 2004). Il Qatar riuscì a comprarsi pure il Barcellona F.C., che per un secolo aveva rifiutato gli sponsor sulle divise di gioco: nel 2011 la Qatar Foundation spodestò l’UNICEF, il cui logo era comparso sulle camisetas della squadra catalana a partire dal 2006 nell’ambito di una campagna di beneficenza, diventando il primo “vero” sponsor nella storia della società e lasciando poi dopo due anni il testimone alla Qatar Airways. Ma queste son quisquilie rispetto alla duratura “amicizia” fra il Qatar ed il paese capofila dell’Occidente, quegli Stati Uniti che hanno nell’emirato arabo, le cui costa si estendono a poche miglia marine da quelle iraniane, il più solido alleato nella regione. Ad Al Udeid, a Sud-Ovest della capitale Doha, sorge la più grande base militare americana del Medio Oriente, la cittadella dalla quale partì l’attacco all’Iraq nel 2003: i diecimila soldati yankee ivi stabilmente stanziati hanno la duplice funzione di vigilare sui traffici di petrolio e gas e di tenere a bada i dirimpettai iraniani in quello che è il tratto più problematico del Golfo Persico. Quella che di fatto è una monarchia assoluta appena “temperata” dall’elezione parziale dei membri di un parlamento che ha funzioni puramente consultive, oltre che uno stato islamico fondato sulla Shari’a, rappresenta di fatto il principale partner economico e geopolitico dell’Occidente nell’arena mediorientale. Questa la ragione per cui agli emiri si perdona tutto, e non solo in nome del business.
Per costruire gli stadi che ospiteranno le partite e tutte le infrastrutture annesse e connesse, sono morti almeno 6000 operai, in prevalenza indiani, pakistani, filippini e nepalesi, in quello che è fondamentalmente un paese abitato da stranieri: su due milioni e e mezzo di abitanti (la cifra varia in base alle stagioni ed alla disponibilità di lavoro), i cittadini qatarioti sono appena 300000. Questo eccidio di lavoratori consumatosi nell’ombra e nell’impunità è stato paragonato a quello che accompagnò la costruzione delle piramidi d’Egitto: la schiavitù si è solo fatta più raffinata. Nonostante il governo dell’emirato abbia recepito alcune “raccomandazioni” della Internacional Labour Organization rispetto alla tutela dei diritti fondamentali, all’adozione di un salario minimo ed alla cessazione di pratiche odiose quali la “cauzione” che gli stranieri sono tenuti a versare al datore di lavoro prima di essere assunti, nei cantieri si è continuato a morire per terminare a tempo di record quelle che si possono definire, letteralmente, delle cattedrali nel deserto. A lavori ultimati, parecchi operai originari del subcontinente indiano si sono riciclati come “tifosi”: la rete già pullula di video di improbabili bande di argentini e senegalesi vestiti a festa (tutti rigorosamente uomini) che ballano e sventolano bandiere a onor di telecamere. Contro questi mondiali insanguinati, corrotti e anticalcistici ha preso piede una campagna di boicottaggio internazionale che coinvolge i gruppi ultras di diverse squadre europee, ex calciatori “eretici” come Eric Cantona, esponenti del mondo dello spettacolo (Rod Stewart avrebbe rinunciato ad un compenso milionario), tutti i nostalgici del calcio di una volta, che non era pulito, ma non era neanche così zozzo. Stanno per cominciare i mondiali della vergogna: pur tentati dal boicottaggio, noi di Avanti.it dedicheremo all’evento una striscia quotidiana, Il Qatar siamo Noi, consapevoli che anche attraverso lo spettacolo dei circenses è possibile distillare il succo della Storia.
Il Contadino dice
È uno scandalo!
Togliere la birra allo stadio è come levare la mascherina ad un covidiano, non si fa!
Già è difficile di suo, fare il tifo per quel branco di ragazzini milionari, viziati e presuntuosi, farlo da sobri è uno sforzo sovrumano. Per fortuna anche a sto giro siamo esentati da questo ingrato compito
Ali dice
😅