Francesco Santoianni
Avanti.it
Oggi, tutti i media a strapparsi i capelli per Elvira Vikhareva, “avvelenata con il bicromato di potassio per il suo essere una oppositrice di Putin”. Ma chi è questa Elvira Vikhareva?
Presentata sul Corriere della Sera come una sorta di Giovanna d’Arco, si direbbe, invece, non la conosca quasi nessuno. Su Instagram (diffusissimo in Russia fino al marzo 2022 e, così come Facebook e altri social ancora oggi usato, con alcuni stratagemmi, in Russia) raccatta, dopo questo battage pubblicitario, appena 2400 follower (6.000 su Facebook) mentre non è riuscita a farsi eleggere in nessuna delle tante elezioni alle quali si è presentata. Brogli elettorali? Improbabile considerato che i partiti che si oppongono a Putin in Russia (senza considerare il Partito Comunista della Federazione Russa) alle elezioni del 2021 hanno rappresentato il 20,48 dell’elettorato (Partito Liberal-democratico, 7,48%; Russia Giusta per la Verità, 7,41%; Gente Nuova, 5,36%) e che a Elvira Vikhareva non è stato impedito di far valere la sua voce come dimostrano i grandi manifesti elettorali riportati nel suo profilo Instagram.
Comunque sia, svanite le illusioni di poter rappresentare qualcuno e di essere una influencer di rilievo, la Vikhareva, dopo una intervista a Le Monde, decide di presentarsi come una martire del Cremlino facendo sparire per mesi la sua faccia dai social per ineffabili sintomi che l’avrebbero resa impresentabile e, qualche giorno fa, sbandierando il suo essere stata avvelenata, ovviamente da emissari del Cremlino, con il bicromato di potassio, una sostanza usata prevalentemente nell’industria fotografica. Le prove? Il suo dichiarare aver sofferto per mesi, oltre che per il suo essere sfigurata, di dolori addominali, aumento della frequenza cardiaca, intorpidimento, convulsioni e svenimenti. Ma se qualcuno tra i suoi follower le chiede di esibire prove più tangibili come qualche foto, un certificato medico o analisi di laboratorio la risposta della Vikhareva è che non vuole mostrarle per salvaguardare la sua privacy.
Ma perché mai bisognerebbe credere alla versione di questa mancata influencer e non sospettare, invece, che sia tutta una sceneggiata per attirare un po’ di attenzione? Certo i sintomi descritti dalla Vikhareva coincidono con quelli di persone allergiche al bicromato di potassio ma ci sarebbe da domandarsi perché mai i presunti emissari segreti di Putin, per far fuori una sedicente “oppositrice”, sarebbero ricorsi, non ad uno dei tanti efficacissimi veleni in dotazione ad ogni servizio segreto che si rispetti, ma ad una sostanza con una relativamente bassa tossicità e che si evidenzia ad una semplice analisi di laboratorio.
Appena un articolo fa ci eravamo posti la stessa domanda davanti al caso Litvinenko e al caso Skripal annunciando che, un giorno o l’altro, ci saremmo anche interessati del presunto avvelenamento del dissidente Aleksej Navalny. Il battage sull’“avvelenamento” della Vikhareva ci impone di affrettare i tempi sperando che questa strampalata saga dei fallimentari avvelenamenti degli oppositori di Putin sia definitivamente chiusa. Accenniamo, quindi, all’avvelenamento di Navalny.
La mattina del 20 agosto 2020, in un aereo di linea in volo da Tomsk a Mosca, dichiara di sentirsi male Aleksej Navalny, politico russo, nemico giurato di Putin e, quindi, beniamino dell’occidente. L’aereo effettua un atterraggio di emergenza a Omsk e lì Navalny viene ricoverato al reparto di rianimazione tossica dell’Ospedale delle emergenze. Poco dopo, la sua portavoce, Kira Yarmysh, anch’essa a bordo dell’aereo, dichiara che si tratta di un avvelenamento.
Dichiarazione priva di qualsiasi riscontro (i medici dell’ospedale di Tomsk, effettuate le dovute analisi, escludendo un avvelenamento, dichiarano che si tratta di un disordine metabolico) se non le affermazioni di tale Ivan Zhdanov, braccio destro di Navalny, secondo il quale una funzionaria della polizia russa avrebbe informato il capo dell’ospedale, e poi anche lui che si trovava nella stessa stanza, della scoperta di una misteriosa “sostanza mortalmente pericolosa”, tanto pericolosa da sentirsi di consigliare l’uso di tute protettive a chi si trova vicino all’oppositore.
Per quale motivo una anonima funzionaria della polizia russa dovesse sapere di un avvelenamento che imporrebbe l’uso di tute protettive e poi riferirlo casualmente anche a Zhdanov sfugge a qualsiasi logica; ma la “notizia” trova spazio su tutti i media insieme alla richiesta del partito di Navalny, Russia del Futuro, alla cancelliera Merkel e al presidente Macron di “salvare Navalny” facendolo subito ricoverare in un ospedale tedesco o francese. Richiesta subito esaudita: il 21 agosto, un aereo trasporta Navalny all’ospedale Charitè di Berlino.
Il 2 settembre un portavoce del governo tedesco conferma l’ipotesi dell’avvelenamento, affermando che le analisi su Navalny “hanno riscontrato la presenza del Novičok, agente nervino già utilizzato per avvelenare Sergej Skripal”. Il giorno dopo i tossicologi dell’ospedale di Omsk e le autorità russe chiedono la documentazione che supportava quelle dichiarazioni. Non l’hanno ancora ricevuta. Intanto, il 22 settembre Navalny, apparentemente in buona forma, lasciava l’ospedale Charitè di Berlino.
Come già detto, così come è stato per il caso Skripal, i media hanno preso per buona ogni bufala che servisse a crocifiggere il Cremlino. Senza porsi nessuna domanda sul Novičok.
Oltre alla ovvia (perché se è “cento volte più letale del Sarin” non ha ucciso Navalny?) ce n’è un’altra altrettanto intrigante. Il fantomatico Novičok, elaborato dal Sarin, inibendo repentinamente la colinesterasi, dovrebbe fare subito effetto. E visto che il malore di Navalny è cominciato mentre l’aereo era in volo, qualcuno glielo ha somministrato lì (inizialmente si era parlato in una tazza di tè). Quindi, basterebbe dare una scorsa alla lista dei passeggeri o dell’equipaggio per identificare il sicario; sicario che, tra l’altro, sarebbe così pazzo da maneggiare in un aereo una sostanza che avrebbe potuto determinare una strage, lui incluso. Altro enigma: perché le autorità russe avrebbero permesso il trasporto di Navalny in Germania se lì si sarebbero potute identificare le tracce del Novičok? Significativamente queste domande non hanno trovato spazio su nessun media mainstream.
In compenso, nel dicembre 2020 altra “rilevazione” di Navalny: il Novičock gli sarebbe stato somministrato non già in una bevanda che aveva consumato in albergo o in aeroporto o sull’aereo come aveva già dichiarato, bensì spruzzato sulle sue mutande (nello specifico “lungo le cuciture della zona inguinale”). La fonte? Un incauto agente dei servizi segreti russi che, telefonicamente, glielo aveva rivelato “per sbaglio” credendolo un suo superiore.
Bufala propagandata in Italia dal sito Open di Enrico Mentana che, tanto per capirci, è quello che segnala a Facebook quale utente bannare per l’inattendibilità di ciò che pubblica.
Lascia un commento