È salito a dieci il necrologio di Ischia, dove da stamattina lavorano senza sosta i volontari della protezione civile venuti da Napoli, Aversa, Siano, e da altre città campane. Già i media fanno la bava, e attribuiscono la tragedia al cambiamento climatico, dimentichi – colpevolmente, dato che basterebbe una semplice ricerca su Google – del fatto che già nel 2005, 2009 e 2015 l’isola aveva patito frane e smottamenti dopo eventi atmosferici particolarmente violenti. L’isola di Ischia è geologicamente predisposta a questo tipo di eventi, essendo parte emersa del sistema vulcanico dei Campi Flegrei e i suoi terreni nati dalla sedimentazione di terreni vulcanici particolarmente sottili. Tutti lo sanno da sempre: cittadini, amministrazioni comunali e nazionali, giornalisti. Eppure, proprio il governo Conte bis ha promulgato un condono per tutte le strutture a rischio dell’isola, frutto della speculazione edilizia selvaggia o bisognosi di interventi di manutenzione, ma Giuseppi uno – come riportato ironicamente da Dagospia – si sta impegnando per dissociarsi da Giuseppi due. Ma il povero avvocato del popolo non è l’unico responsabile: a Ischia l’abusivismo è routine e il condono una certezza, con tre sanatorie avvenute già nel 1983, 1994, 2003. Prassi politica locale era condonare in cambio di voti, e questo ha portato la situazione dell’isola al collasso. Anche su questo hanno sbavato gli sciacalli, puntando il dito sui cittadini, i soliti terroni che si fanno la casa abusiva e non rispettano le regole, quasi a voler suscitare un “ben gli sta!” nell’assonnata ragione (che sappiamo cosa genera) del pubblico televisivo. Ma la verità è che l’assetto idrogeologico – come parte del patrimonio archeologico – dell’isola è stato distrutto dalle grandi opere turistiche, spuntate nei posti più impensabili, e dalla prassi politica su descritta, la stessa che ha trasformato la Campania Felix tra Acerra, Caivano e Afragola in un inferno di asfalto, monnezza e cemento. E sbavano gli sciacalli di Napoli e Roma: come hanno dimostrato le ultime tragedie su scala nazionale, dall’Aquila ad Amatrice, i disastri naturali sono un business che fa gola a molti dell’apparato statale e regionale: consentono di instaurare un regime d’emergenza e di sbloccare fondi su fondi che ingrassano la solita gentaglia mentre i luoghi disastrati restano disastrati. Nella stessa Ischia, dopo il terremoto del 2017 furono stanziati 500 milioni di euro per la ricostruzione e riqualificazione delle aree devastate, ma dopo cinque anni ci sono ancora detriti e macerie. L’Italia che ad ogni morto batte cassa.
MDM
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