Marco Di Mauro
Avanti.it
I giornali italiani plaudono: le elezioni parlamentari tenutesi ieri in Estonia hanno riconfermato per altri quattro anni la premier Kaja Kallas, fervente europeista, atlantista e acerrima nemica di Putin. Proveniente da una carriera forense, scelta a suo dire perché nessuno dei suoi ricchi e celebri familiari l’aveva intrapresa e non voleva “essere paragonata a loro” (intervista a The Parliament Magazine del 2016), alla fine Kallas viene folgorata sulla strada del Riigikogu (il parlamento estone) e nel marzo 2011 viene eletta deputata proprio con il partito fondato diciassette anni prima da suo padre Siim Kallas, il Partito Riformista Estone (Eesti Reformierakond), presiedendo la commissione affari economici fino a luglio del 2014, quando si candida alle europee con l’ALDE (Alleanza Liberali e Democratici per l’Europa).
Papà Kallas è tutt’altro che un parvenu della politica del paese: già membro della segreteria del PCUS, è passato dopo la perestroika alla carica di governatore della Banca Centrale, praticamente gestendo le finanze di Tallinn nella fase di passaggio dal sistema sovietico alla sfera liberista occidentale. Dal 1994 scende in politica appunto inventandosi come ‘riformista’, e il suo partito si pone come l’opposizione atlantista al Partito di Centro (Eesti Keskerakond) – il più antico del paese, formatosi nel 1991 come evoluzione del Fronte Popolare Estone e, essendo la componente politica che si pone, almeno idealmente, in continuità con il decaduto establishment sovietico, è da sempre il partito di riferimento della popolazione russofona del paese, corrispondente a un quinto dei cittadini estoni. Siim Kallas è stato il principale fautore e promotore dei negoziati per l’ingresso del suo paese nella grande famiglia dell’Unione Europea: un anno dopo la fondazione del suo partito è già ministro degli esteri con il governo di Tiit Vähi – del Partito della Coalizione, la cosiddetta ‘destra’ estone, che aveva ottenuto la maggioranza in collaborazione col Partito Popolare Rurale – e avvia i negoziati per l’ingresso nell’Unione, per poi essere riconfermato anche nel 1999 dal successivo governo di Mart Laar come ministro delle finanze; nulla di strano che un riformista sia ministro in due governi conservatori: la destra estone, antirussa per vocazione, appoggiava questo ex funzionario sovietico in quanto espressione di interessi sovranazionali che avrebbero portato all’ingresso nella sfera occidentale e allontanamento dalla Russia. E dopo l’ottimo lavoro svolto prima agli esteri per l’avvio dei negoziati e poi alle finanze per adeguare l’economia agli standard tecnocratici europei, ecco che nel 2002 al governo Laar succede il governo Kallas, che dura un anno soltanto; ma ecco che il 1º maggio del 2004 l’Estonia è ufficialmente un membro dell’UE – poco più di un mese prima era entrata a far parte della NATO insieme a Lettonia, Lituania, Slovacchia, Slovenia, Romania, Bulgaria – e lo stesso giorno Siim viene promosso alla politica che conta, quella sovranazionale, occupando per i successivi dieci anni la carica di commissario europeo nelle commissioni Prodi (dove ha trattato con Joaquín Almunia gli “Affari Economici e Monetari”) e Barroso I (“Affari Amministrativi, Audit e Lotta Antifrode”) e II (“Trasporti” e “Affari Economici e Monetari”).
Che sia una coincidenza del caso o uno scherzo del destino, proprio nello stesso anno in cui papà esce di scena, Kaja viene eletta a Strasburgo, dove viene subito notata come esperta nel settore digitale – è membro della commissione permanente su industria, ricerca ed energia (ITRE) nel gruppo che si occupa di robotica e intelligenza artificiale – e segnalata da Politico tra i “Titani della tecnologia” ovvero i lacchè politici che hanno manifestato qualità più notevoli nell’implementazione della transizione tecnologica. Ormai la rampolla è pronta, e viene scelta dalla mafia globalista transnazionale per guidare l’Estonia proprio in vista della guerra d’Ucraina a causa del suo incrollabile atlantismo di famiglia: nel 2018 è segretaria nazionale di Eesti Reformierakond e il suo partito alle elezioni del 2019 è il più votato con il 28,93% (162.363 preferenze) seguito da Eesti Keskerakond al 23,19% (129.618 preferenze) ed Eesti Konservatiivne Rahvaerakond (il Partito Popolare Conservatore, nato nel 2012 come evoluzione in senso sovranista del vecchio Partito Popolare Rurale – poi denominatosi Unione Popolare – unitosi con il Movimento Nazionalista Estone) al 17,76% (99.671 preferenze). Tuttavia non è riuscita a ottenere il governo, in quanto centristi e conservatori hanno fatto fronte comune, accaparrandosi un 40,95% e mettendola in minoranza, si forma così il governo di Jüri Ratas. Ma, si sa, le vie della NATO sono infinite, e sebbene Ratas fosse un funzionario dei tecnocrati al pari della Kallas, tuttavia il suo partito rappresenta i quasi 300mila russi presenti in Estonia, e questo non avrebbe potuto garantire all’alleanza atlantica un appoggio totalmente incondizionato, così ci ha pensato uno scandalo a rimettere in pari le cose: a gennaio 2021 vien fuori che alcuni membri del Keskerakond avrebbero ricevuto un finanziamento di un milione di euro per le elezioni locali dell’autunno 2021 da parte dell’imprenditore Hillar Teder, il quale avrebbe ottenuto in cambio un finanziamento di 39 milioni da parte dell’agenzia pubblica KredEx per un progetto immobiliare a Tallinn. Così Ratas si dimette, e poco dopo il partito di centro si accorda coi riformisti per un governo con Kaja Kallas primo ministro; dopo non molto arriva la rottura, in quanto sorgono divergenze tra i centristi e i riformisti per quanto riguarda gli aiuti alle famiglie colpite dalla crisi energetica e dalla rottura dei rapporti economici con Mosca: in un discorso al parlamento tenuto poco più di un mese prima dell’inizio dell’Operazione speciale russa in Ucraina, la premier attribuiva il fatto che i prezzi del gas nel paese fossero quadruplicati non a una riduzione delle forniture da parte di Mosca dovuta alla crescente ostilità, ma alla dipendenza del paese dai combustibili fossili; a giugno del 2022 i parlamentari di EK sostennero un disegno di legge presentato dai loro ex alleati di EKR che prevedeva di raddoppiare il volume del pacchetto di aiuti economici alle famiglie colpite da inflazione e caro energia, e di tutta risposta Kaja Kallas estromise dall’esecutivo i sette ministri centristi e chiese la fiducia del parlamento; le viene accordata dai socialdemocratici (Sotsiaaldemokraatlik Erakond) e da Isamaa (“Patria”, partito cristiano e conservatore), suoi storici alleati. Così da luglio scorso i centristi sono estromessi dal governo.
Conquistatasi la ribalta mediatica mondiale per il suo atlantismo intransigente e la sua russofobia mai nascosta, denominata la “nuova lady di ferro” – suoi interventi più famosi quelli in cui accusa Mosca di inviare spie in Europa e in cui chiede aiuto agli alleati atlantici affinché il suo paese non sia schiacciato dall’ingombrante vicino, oppure in cui chiede che i beni congelati ai russi siano spesi per supportare l’Ucraina, mentre si cerca di non far sapere in occidente il fatto che la Kallas sia promotrice di leggi per l’annullamento dell’insegnamento della lingua russa nelle scuole primarie e in generale contro la minoranza russa che ricordano il governo ucraino, oppure che ha interrotto il rilascio di visti e permessi di soggiorno agli studenti russi – era davvero poco probabile che nella nazione che ha la capitale più vicina a Pietroburgo, in tempi di guerra russo-americana come questi, non sarebbe stato riconfermato un governo indiscutibilmente atlantista. Così, alle urne ieri Eesti Reformierakond ha fatto man bassa, strappando, rispetto alle precedenti elezioni, due piccole circoscrizioni settentrionali ai centristi – piccole per modo di dire, in quanto una è quella della capitale Tallinn – e una a ovest, la popolosa Pärnumaa, ai conservatori, con una vittoria schiacciante del 31,2% (190.646 preferenze) ritrovandosi con 28mila voti e 3 seggi in più rispetto al 2019, seguiti da EKR al 16,1% che ha invece perso 1698 voti e 2 seggi, e dal sonoro tonfo dei centristi di EK, che al 15,3% hanno perso 36.369 voti e 10 seggi. In calo anche Isamaa e i socialdemocratici che perdono insieme circa 15mila voti e rispettivamente 4 e 1 seggi. Da questo punto di vista, tutti i partiti tradizionali hanno subito perdite o battute d’arresto, meno che i riformisti, che hanno conquistato tutte le circoscrizioni elettorali del paese, meno due: quella meridionale che racchiude le contee di Põlvamaa, Võrumaa, Valgamaa, rimasta nelle mani dell’EKR, e quella nord-orientale di Ida-Virumaa, ultima roccaforte dell’EK. Se questo da un lato è innegabilmente il frutto della radicalizzazione dell’opinione pubblica dovuto al primo anno di guerra d’Ucraina, che ha portato dunque i più assoggettabili dalla propaganda mediatica a schierarsi con la “lady di ferro”, dall’altro Jaak Madison, eletto coi conservatori nella contea di Järva e Viljiandi, non si fa alcuno scrupolo a denunciare brogli elettorali, ricordando a Postimees che “L’Estonia è il campione mondiale di frodi elettorali”, mentre Oliver Kask, il presidente della Commissione elettorale, ha dichiarato in televisione subito dopo la fine delle votazioni che c’erano stati alcuni intoppi con il sistema di voto elettronico, in quanto il ministero degli interni avrebbe inviato un’enorme mole di correzioni e aggiunte nei registri elettorali digitali proprio nell’ultima settimana prima del voto. Pertanto ci sarebbero stati voti assegnati al candidato sbagliato, voti raddoppiati o ripetuti, arrivando addirittura a parlare con estremo candore di “situazioni impreviste in cui una persona si presenta una seconda volta e vuole votare per qualcun altro” e “ci sono piccoli sospetti che forse in due casi sono stati commessi brogli elettorali, ma la commissione elettorale non ha chiarezza e prove precise”. Tuttavia, sebbene sia chiaro come il sistema elettorale estone non sia tra i più trasparenti e regolari al mondo, è chiaro che una vittoria così netta e con un tale scarto dagli avversari è difficile da ottenere con i brogli elettorali, poiché significherebbe aver manipolato almeno 70mila voti.
Si segnala invece un vero e proprio exploit per Eesti 200, che è balzato dal 4,4% del 2019, con il quale non aveva superato nemmeno la soglia di sbarramento che nel paese è al 5% – a un 13,3% che ne fa il quarto partito del paese con 14 seggi e 81.331 preferenze. Il dato è significativo in quanto Eesti 200 è sì un partito europeista e atlantista, ma è l’unico partito del paese la cui fondatrice denuncia apertamente la “diaspora” dei russofoni dal paese e sostiene l’integrazione tra russi ed estoni. A riprova del fatto che la realtà a volte sa essere più originale di qualunque narratore, a fondarlo è stata nel 2018 Kristina Kallas – che a quanto pare non ha legami di parentela con gli altri due Kallas ‘eccellenti’ – ricercatrice dell’università Tartu che più volte si è opposta a quello che definisce il “populismo” del primo ministro estone. Il lancio del partito su scala nazionale fu in occasione delle parlamentari del 2019 con un controverso esperimento: la mattina di lunedì 7 gennaio i pendolari della fermata del tram di Hobujaama, a Tallinn, trovarono la fermata divisa in due lati, blu e rosso; dal lato blu era scritto in estone “Qui solo estoni” corredato da un numero di telefono al quale rispondeva una voce registrata che avvertiva delle imminenti elezioni del 3 marzo dove “loro” si sarebbero candidati e ammoniva: “noi estoni dobbiamo assolutamente restare uniti; assicuratevi di stare dalla parte giusta”; stessa identica cosa, a parti inverse, avveniva dal lato rosso, rivolgendosi in russo ai russi; divenuto subito virale sui social, l’arcano fu svelato il giorno dopo, quando nei luoghi dove erano apparsi i manifesti segregazionisti si trovarono quelli di Eesti 200 con su scritto, nello stesso carattere e con i due colori, “Estoni e russi: frequentate la stessa scuole” e “Estoni e russi: frequentate la stessa festa” e “Estoni e russi: un’occasione da non perdere”, lo stesso giorno Kristina Kallas tenne una conferenza stampa in cui denunciò che l’obiettivo delle pubblicità era attirare l’attenzione sulla segregazione nella società estone: “Vi abbiamo promesso che avremmo parlato onestamente delle cose e dei problemi reali che la società estone sta affrontando. Ieri abbiamo messo in evidenza una questione molto importante e dolorosa che è rimasta irrisolta per 28 anni. La divisione è un problema molto serio della società estone. I nostri figli frequentano scuole e asili separati, lavoriamo in posti separati, viviamo in quartieri separati, guardiamo canali televisivi separati, abbiamo eroi separati e persino festeggiamo il nuovo anno in due momenti diversi. Se questa non è divisione, allora cos’è?”. In Estonia, in effetti, autoctoni e russi vivono separati sin dai tempi dell’URSS, ma quello che sta cambiando sempre di più con le tendenze nazionaliste e russofobe è la disparità nei salari e nelle condizioni di vita, che vedono la minoranza sempre più povera a beneficio degli estoni.
Se tutti i commentatori hanno notato come la guerra abbia influito nettamente sui risultati, ci sono altri due aspetti emersi dalle urne estoni taciuti, più o meno consapevolmente, da tutti: il primo è la progressiva sfiducia verso i partiti post-perestroika, che vedono tutti una perdita netta e significativa dei consensi a favore del partito-regime, i riformisti della Kallas, che porteranno il paese verso altri quattro anni di totale vassallaggio alle politiche della NATO e del World Economic Forum; il secondo è che si è fatto sentire a gran voce Eesti 200, un movimento solidale con la parte russofona del paese, e questo è un segnale importantissimo di come una parte del popolo estone, più di un elettore su dieci, non approva la russofobia oltranzista e disapprova la guerra d’Ucraina; infatti è molto probabile che, sulla scia della radicalizzazione delle posizioni portata dalla guerra, una parte della popolazione abbia visto in Eesti 200 il modo più chiaro per dire no alla politica bellicista e all’economia di guerra. Un dato, questo, non per forza confortante, in quanto potrebbe anche trattarsi di un grido di aiuto espresso dalle minoranze russe.
Il Contadino dice
Ogni volta che si ragiona a proposito di votazioni, da quelle interne al PD, su su fino a quelle presidenziali statunitensi, immancabilmente salta fuori la parolina magica: “brogli”.
Ormai, in questo mondo post-pandemico, le votazioni hanno perso completamente di significato.
Due opzioni:
– un tempo le votazioni erano regolari, solo negli ultimi anni il meccanismo è saltato.
– sono sempre state truccate, in questi ultimi anni ci stanno palesando il gioco, un po’ per farci un piacere, un po’ per dirci che come cittadini non contiamo una fava.
In ogni caso, abbiamo certezza che alle votazioni, di qualsiasi ordine e grado, vince sempre chi “deve” vincere, punto.
Ormai nemmeno a quelle del condominio secondo me vale la pena esprimere la propria preferenza… quello dell’interno 8 è di sicuro un adepto di Soros
Guido Bulgarelli dice
hahaha…l’ho sempre sospettato
lucam dice
Estonia: superficie 45.228 km², popolazione 1.340.194. In pratica il nulla. Fossi in loro eviterei di irritare Mosca.
Guido Bulgarelli dice
é che contano sul fatto che gli yankees, al momento opportuno, gli reggano il gioco. Invece si dilegueranno come da lunga tradizione