Giuseppe Russo
Avanti.it
I lavoratori della Ansaldo Energia di Genova sono scesi in sciopero il 12 ottobre per protestare contro la ristrutturazione che dovrebbe coinvolgere l’azienda in seguito al calo dell’attività legato alla guerra in Ucraina ed alle scelte di politica estera del governo italiano. La Ansaldo Energia S.p.A., erede di un ramo industriale del gruppo Ansaldo, società che ha fatto la storia del triangolo industriale italiano nel suo vertice genovese, è oggi una società controllata a maggioranza dallo Stato attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, che detiene l’88% delle quote azionarie, e dà lavoro diretto a 2300 persone, oltre a 500 operai che lavorano per ditte esterne subappaltatrici, con un indotto che coinvolge altri 5-6000 lavoratori. Partner di minoranza della CDP è la multinazionale cinese Shanghai Electric Group Company Limited, che è, fra le altre cose, il principale produttore di turbine a vapore al mondo. I diversi passaggi di proprietà che hanno caratterizzato gli ultimi trent’anni della Ansaldo Energia hanno fatto sì che la produzione si concentrasse sulle turbine a gas e a vapore e sulla realizzazione di centrali elettriche (anche “nucleari”), specializzandosi nella riconversione dei vecchi impianti a carbone. Allo stato attuale delle cose, l’azienda si trova senza ordini per il 2023 e, a detta del sindacalista Christian Venzano della FIM CISL, avrebbe cinque grandi commesse bloccate con un altro pezzo di ciò che resta dello Stato imprenditore, ovvero l’ENEL: fra i progetti fermi ci sono le conversioni delle centrali a carbone di Brindisi, Civitavecchia e La Casella, nei pressi di Piacenza. Secondo Federico Grondona della FIOM CGIL, il quale è stato il portavoce della mobilitazione del ponente genovese, per ora si tira avanti con i vecchi ordini e la manutenzione, ma per l’anno in corso si stimano 200000 ore di lavoro in meno.
A poche ore dall’inizio del presidio del 12 ottobre, quando già la UILM, l’organizzazione dei metalmeccanici organica alla UIL, si era sfilata dal fronte sindacale, giungeva una prima lettera di risposta da parte di Cassa Depositi e Prestiti. La missiva, pur venendo incontro a parte delle rivendicazioni operaie, su tutte quella di coinvolgere i lavoratori nella definizione del piano industriale per il futuro, è stata considerata una provocazione, poiché si chiudeva invitando gli scioperanti a “non ostacolare la produzione” e non faceva riferimento a progetti di ricapitalizzazione dell’azienda. La prima giornata di mobilitazione è stata dunque caratterizzata da blocchi stradali che hanno riguardato la Sopraelevata, il casello autostradale di Genova Ovest e Via Cantore nel quartiere di Sampierdarena: il già problematico traffico cittadino è stato paralizzato fino al tardo pomeriggio, con cassonetti rovesciati a mo’ di barricata, pneumatici bruciati e qualche momento di tensione con dei rider che hanno provato a superare i blocchi. Attestati di solidarietà sono giunti dagli studenti medi e dagli esercenti di Sampierdarena, una parte dei quali ha abbassato le saracinesche in segno di partecipazione alla lotta. L’indomani, il corteo partito dalle portinerie della Ansaldo Energia, nei pressi delle quali è stato allestito un presidio permanente, si è diretto, forte della partecipazione di mille persone, verso l’aeroporto Cristoforo Colombo e, dopo aver sfondato il cordone di polizia fra il vibrare dei manganelli, ha occupato lo scalo determinando la cancellazione di 9 voli e la sospensione dell’attività fino alle 19.15. Un’ora prima, intorno alle 18, era arrivata una seconda risposta da parte dei vertici di CDP, nella quale si menzionava la ricapitalizzazione come un obiettivo primario. Federico Grondona ha rivendicato il risultato come “un pareggio fuori casa contro il Real Madrid”, smobilitando il raduno e annullando lo sciopero generale dei metalmeccanici genovesi convocato per il giorno successivo.
La protesta operaia genovese del 2022 ricorda la vicenda analoga della paventata chiusura del cantiere navale di Sestri Ponente (parte dell’altro colosso semi-pubblico Fincantieri) di undici anni fa, quando i lavoratori occuparono in due occasioni, prima a gennaio e poi a settembre, il casello autostradale dell’aeroporto e le strade limitrofe. L’allora sindaca Marta Vincenzi, in quella che pare un’altra era geologica, si era unita al presidio considerando quella dei cantieristi la battaglia di tutta una città già scossa dai processi di deindustrializzazione (un dato su tutti la discesa dagli 800000 abitanti censiti nel 1971 ai 560000 stimati oggi); il sindaco in carica Marco Bucci ha invece condannato le “manifestazioni estreme a danno della città”, mentre il presidente della regione Liguria Giovanni Toti si è spinto fino a parlare di “teppismo” e di “gesti che ledono la libertà e la dignità del lavoro altrui”, alludendo agli effetti dei blocchi stradali del 12 ottobre. L’adozione di questa strategia “radicale” da parte dei principali sindacati confederali, i cui esponenti sono alla testa delle iniziative, segna una svolta che non può passare inosservata in questo scorcio iniziale di un autunno che da tempo si prevede caldissimo. Sul piano squisitamente politico, ancor prima dell’insediamento del governo Meloni, CGIL e CISL, non essendovi più un esecutivo “amico”, assolvono la loro funzione di obbediente articolazione del PD, opponendosi fuori tempo massimo alla macelleria sociale e smussando sul nascere le iniziative portate avanti dai sindacati autonomi o dai comitati spontanei di lavoratori. Sul piano della lotta sindacale, tuttavia, i due giorni genovesi fungeranno da modello per altre piattaforme rivendicative, ed è estremamente probabile che le interruzioni della circolazione stradale e le occupazioni di nodi infrastrutturali riguarderanno altre lotte nelle decine di stabilimenti che sono a rischio chiusura a causa delle scellerate disposizioni del governo Draghi in materia di politica estera e politica energetica. La crisi della Ansaldo Energia, che pure sarebbe fra le più “competitive” ed “innovative” delle imprese italiane rimaste in mano (parzialmente) pubblica è uno dei tanti effetti collaterali dell’economia di guerra: lo stesso amministratore delegato Giuseppe Marino ha riconosciuto che il conflitto “ferma gli investimenti” e che, prolungando la vita delle centrali a carbone, annulla la stessa ragion d’essere della ditta. La “libertà ucraina” che sta tanto a cuore ai governanti di tutti i colori comporta la chiusura di aziende strategiche, oltre al rischio di restare al buio e al freddo, e la disoccupazione coatta per migliaia di lavoratori che oggi hanno posti considerati “stabili”: la guerra è un passaggio fondamentale per l’instaurazione di quel “Nuovo Ordine Industriale” altrimenti chiamato “Grande Reset”.
Margherita dice
La politica criminale del fu governo DRAGHI HA DISTRUTTO DEFINITIVAMENTE IL NS PAESE. CHE DIO CI AIUTI