Le delegazioni del governo colombiano e dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln) hanno annunciato la proroga del terzo ciclo del tavolo dei colloqui di pace, che è attualmente in corso all’Avana. Secondo un comunicato congiunto, questa decisione è stata presa per ” l’importanza delle questioni all’ordine del giorno (partecipazione della società al processo di costruzione della pace, cessate il fuoco, azioni e dinamiche umanitarie)”. Le delegazioni hanno riferito che stanno “portando avanti positivamente il loro lavoro” e che la chiusura del terzo ciclo è rinviata all’8 giugno.
“Continueremo a sviluppare una visione comune del conflitto e delle soluzioni che il paese richiede”, hanno affermato le delegazioni, che hanno affermato che “immediatamente” intendono articolare l’accordo con il Messico, raggiunto questo marzo, nonché “la serie di accordi che si saranno fatti al tavolo con le visioni e le proposte” di Petro, il presidente che si è affermato in Colombia con un ambizioso programma di cambiamento.
La Colombia è stata da anni attraversata da un conflitto interno che ha visto protagonisti diversi gruppi guerriglieri marxisti e non, gruppi paramilitari e clan di narcotrafficanti. In particolare un ruolo di forte potere alternativo a quello governativo era quello assunto dai guerriglieri delle Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (Farc), per anni celebri in tutto il Latinoamerica e nel mondo.
Nonostante l’accordo di pace firmato nel novembre 2016 con gli alti comandi delle Farc, la Colombia risulta ancora essere uno dei paesi maggiormente a rischio quanto a conflitti interni. Tale rischio è dato oggi principalmente dalla presenza guerrigliera dell’Esercito di Liberazione Nazionale (Eln).
Il gruppo – che come le Farc è di impronta marxista-leninista seppur accompagnato dalla teologia della liberazione – è attivo nel paese sin dagli anni sessanta. Conta circa 5mila guerriglieri e si finanzia grazie al sostegno popolare e alle tasse imposte nei territori che controlla. Dopo anni di guerriglia in varie zone del paese, il governo colombiano e l’Eln hanno avviato dei negoziati di pace nel 2002. I colloqui si sono fermati bruscamente nel 2019 a causa di un’autobomba esplosa a Bogotá che uccise 21 persone e ferendone circa 70 e di cui l’Eln ha rivendicato la paternità.
Il fatto, spiegarono, fu una risposta agli attacchi dell’esercito colombiano avvenuto durante un precedente cessate il fuoco. Dopo la sospensione unilaterale del governo colombiano gli alti comandi della guerriglia rimasero all’Avana. Inutili le richieste del governo colombiano, all’epoca capeggiato da Duque, di estradizione. Cosa che l’11 gennaio 2021, quasi due anni dopo l’accaduto, ha dato l’opportunità agli Stati Uniti di inserire Cuba nella lista nera degli Stati che sostengono il terrorismo.
Dopo una serie di tentativi e intercessioni i negoziati sono ripresi con la nuova amministrazione presidenziale colombiana nel novembre 2022, prima a Caracas e poi in Messico. Cuba, quindi, ospita in questi giorni il terzo turno di colloqui di pace con l’obiettivo del raggiungimento di una tregua che soddisfi le parti e risponda alle speranze di “pace totale” perseguite dal presidente Gustavo Petro.
Le attività delle delegazioni si inseriscono in una situazione politica particolare per la Colombia. Il presidente Petro, infatti, ha di recente fatto un rimpasto di governo per rafforzare il percorso di riforme apertamente in rotta con gli interessi statunitensi, che in Colombia gestiscono ampie fette del settore agricolo, delle pietre preziose, degli idrocarburi e dei vari giacimenti non convenzionali. A questo si aggiungono la lotta al narcotraffico e alla corruzione e il conflitto armato con le milizie dissidenti delle Farc che non hanno sottoscritto l’accordo di pace del 2016. Un mix di scontri interni e interessi internazionali che fanno della Colombia un centro nevralgico delle lotta politica e di classe dell’intero continente.
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