Giuseppe Russo
Avanti.it
Domenica 12 giugno, oltre ai referendum sull’ordinamento giudiziario, si rinnoveranno le amministrazioni in 974 comuni italiani, di cui 27 capoluoghi di provincia. Si voterà in sette fra le prime venti città italiane per numero di abitanti: Palermo, Genova, Verona, Messina, Padova, Parma e Taranto. I simulacri di partito che si agitano nei palazzi e nei sottoscala del potere apparente arrivano a questo appuntamento elettorale sfibrati da quasi un anno e mezzo di draghismo, dopo due anni e mezzo di una “emergenza” all’ombra della quale si sono ritrovati tutti insieme appassionatamente. Eppure, ad ogni tornata di elezioni comunali riprende l’allestimento del teatrino “bipolarista”, con il “centrodestra” da una parte, il “centrosinistra” dall’altra e varie liste ciniche (che si autodefiniscono “civiche”) a guarnire l’insalata della democrazia. Lo spettacolo purtroppo non tira più: si prevede l’affluenza più bassa della storia della repubblica per quel che riguarda le elezioni amministrative. Ad ogni modo, i partiti (ciò che ne resta) ci provano: ecco come sono messi.
Il Partito Democratico
Il partito-regime, di solito, parte avvantaggiato nelle elezioni locali, mantenendo, nonostante tutte le demolizioni più o meno controllate, un minimo di radicamento sul territorio che gli altri liquami politici non hanno. Così, intorno al corpaccione piddino prendono forma ovunque coalizioni e carrozzoni più o meno tendenti al “centro” piuttosto che “a sinistra”. Il canovaccio ricorrente è il medesimo al quale siamo abituati: un candidato sindaco “indipendente” supportato da una ridda di liste e listine sulle quali troneggia, spesso unico simbolo riconoscibile a livello nazionale, quella del Partito Democratico. Pur partendo nettamente sfavoriti a Genova e Palermo, i candidati del “campo largo” (Letta dixit) potrebbero strappare agli avversari qualche bandierina, su tutte quella di Parma, dove il PD in quanto tale non ha mai governato, oltre a quelle dei comuni di Piacenza, Rieti e Frosinone, dove vengono schierati, rispettivamente, una consigliera regionale e due ex sindaci. Difficile appare invece l’impresa di riconquistare due ex roccaforti “rosse” come La Spezia e Pistoia, mentre ci si aspettano conferme dai sindaci uscenti di Padova, Lucca e Taranto, dove a fronteggiare il piddino Rinaldo Melucci (peraltro sfiduciato dal consiglio nel novembre 2021) ci sarà l’ex segretario del PD Walter Musillo appoggiato da tutto il centrodestra. Fra i candidati più rappresentativi e/o inquietanti, l’ex calciatore cattocomunista Damiano Tommasi a Verona, il giovanissimo, fighissimo e rampantissimo Andrea Furegato a Lodi, venticinquenne ma già “impiegato in uno dei principali gruppi bancari italiani”, e la deputata nonché star della tv trash Stefania Pezzopane a L’Aquila, politica di lungo corso che ebbe qualche fiammata di notorietà nazionale un paio di anni fa in virtù della sua relazione con il “toy boy” Simone Coccia, concorrente del Grande Fratello.
Il Movimento 5 Stelle
Fa specie ricordare che questa banda di tonni finiti dentro la scatoletta rappresenterebbe il principale gruppo parlamentare nonché l’azionista di maggioranza del governo Draghi. Dilaniati dalla querelle fra i “movimentisti” di Giuseppe Conte, che minacciano (a salve) di sfiduciare l’esecutivo, e i “neoandreottianisuperdraghisti” di Luigi Di Maio, i pentastellati stanno per compiere un altro passo verso l’estinzione. Il tour nazionale dell’ex premier Giuseppi è stato un fiasco colossale: i bei tempi della santificazione a reti unificate appartengono ad un’altra era geologica. Il Movimento 5 Stelle, aderendo quasi dappertutto al “campo largo” a egemonia piddina, si candida tutt’al più a diventare il principale “cespuglio” del partito di Enrico Letta. Il disatro è tale che nessuno dei (pochi) primi cittadini uscenti del Movimento si è ricandidato; a Parma, città che precocemente tributò i suoi consensi al “grillismo”, non è stata neppure presentata la lista; a Verona quelli del “mai alleanze” son costretti a diluirsi in un’improbabile lista civica col Partito Socialista, mentre a Rieti, unicum nella penisola, prende corpo la “lista Conte” (suo è il grottesco simbolo dell’immagine in home) per le (poche) bimbe nostalgiche dell’avvocato del popolo. In due capoluoghi, Piacenza e Carrara (dove il sindaco era dei 5 Stelle), il Movimento dà vita ad una sperimentale coalizione con vari segmenti della “sinistra” (se ne parla in basso), in altri due, Cuneo e Barletta, corre solo contro tutti con la purezza delle origini: in tutti i casi, sarà già un miracolo riuscire ad eleggere un consigliere comunale. Soli o male accompagnati, è lo stesso: il tramonto delle stelle è cominciato da un pezzo. Sullo sfondo, il faccione barbuto di Alessandro Di Battista, che minaccia nuovi movimenti ancor più movimentisti.
La “Sinistra”
Nonostante la proliferazione incontrollabile di partiti, movimenti, gruppi, gruppuscoli e sette che rivendicano l’appartenenza alla “Sinistra”, nonostante la periodica riproposizione di toccanti appelli all’unità e alla lotta fessa e indefessa contro la transfobia o cose del genere, nonostante tutta la retorica e la prosopopea, quest’area politica, in tutte le sue accezioni possibili e immaginabili, va silenziosamente eclissandosi dalle schede elettorali, camuffandosi e mimetizzandosi all’interno di liste “civiche” che dovrebbero risultare più accattivanti agli occhi dell’elettorato. Così, Articolo 1, la formazione guidata da Roberto Speranza, non presenterà alcuna lista autonoma, e non si capisce come mai, se è vero che la popolarità del ministro è altissima, questi non la debba capitalizzare attraverso le urne. Sinistra Italiana di Fratoianni si presenta col suo simbolo solo a Genova, mentre altrove prendono piede accrocchi di sigle fantasma dai nomi più o meno altisonanti. In Emilia-Romagna fa ormai tendenza il modello “Coraggiosa”, inaugurato dalle bolognesi Elly Schlein ed Emily Clancy, oggi rispettivamente vicepresidente della regione e vicesindaco del capoluogo: sotto questo simbolo, esportato anche all’Aquila, si presentano a Parma e Piacenza liste che dovrebbero almeno entrare nel consiglio comunale. E fin qui si è parlato della “Sinistra” più o meno governativa, parlamentare, istituzionale. La “Sinistra” “di opposizione”, “di classe” o “movimentista” è messa, se possibile, assai peggio. Con tutte le falci e i martelli che si agitano per bucare l’indifferenza delle masse, solo gli elettori di Genova e Pistoia troveranno sulla scheda uno di questi simboli: quello del trotskista Partito Comunista dei Lavoratori nel capoluogo ligure e quella dello stalinista Partito Comunista di Marco Rizzo nella città toscana. Potere al Popolo!, che ostenta radicamento sui territori e nelle tanto decantate “lotte sociali”, presenta la sua lista solo a Palermo. Rifondazione Comunista si palesa col suo simbolo, che fino all’altro ieri attirava centinaia di migliaia di voti, solo in alcuni centri minori, promuovendo improbabili fronti rossi, rosè o fucsia nelle città maggiori, come a Genova, Parma e Padova. In certi casi, ambiziose candidature unitarie “a sinistra del PD” coinvolgono anche il Movimento 5 Stelle, come nei già citati casi di Piacenza e Carrara. La tragedia della “Sinistra” è già da un pezzo degenerata in farsa; quando degenera anche la farsa, si produce questa roba qua.
Il “Centro”
Da quando è collassata la cosiddetta “Prima Repubblica”, si sprecano gli appelli per riportare in vita qualche Democrazia Cristiana geneticamente modificata e si avvitano i dibattiti intorno a quel non luogo della politica rappresentato dal fantomatico “Centro”. Sotto tale dicitura, oggi si raggruppano quelli che il coordinatore di Italia Viva ha definito i “draghetti”, ovvero quelli che puntano a rendere permanente il “governo delle larghe intese” ed osano tirare per le squame il Drago stesso affinché prenda in mano le redini del “Centro”, invitandolo maldestramente ad attuare la stessa forma di suicidio che pose fine all’esperienza di quel draghetto ante litteram di nome Mario Monti. Pasdaran dell’UE, della NATO, del liberismo e del transumanesimo, i “centristi” italiani del XXI secolo non sognano di rifare la DC, ma di partorire un Macron italiano. Per il ruolo, si sono da tempo candidati Renzi e Calenda. Alle elezioni del 12 giugno, come da tradizionale prassi “centrista”, gli italovivisti renziani e gli azionisti calendisti (assieme ai comprimari più europeisti della Bonino ed agli ancor più europeisti del movimento Volt) si schierano un po’ di qua e un po’ di là. Italia Viva appoggia il centrodestra a Genova, Palermo e Rieti, mentre a Verona si schiera con l’ex sindaco leghista Tosi, supportato anche da Forza Italia. Ad Asti, Alessandria, Lucca e L’Aquila, dà vita ad ambiziose coalizioni “civiche” con le altre frattaglie di cui sopra, senza però aggregarsi a quella che appoggia il più quotato dei candidati di Calenda, Fabrizio Ferrandelli a Palermo. Azione, dal canto suo, si muove con maggiore autonomia, proponendo un maggior numero di candidature estranee ai principali schieramenti. Nessuno dei due partiti, ad ogni modo, si presenta col proprio simbolo: i renziani si nascondono dietro formule tipo “Viva Viterbo”, i calendisti, più originali, dietro “Spezia sul serio” o “Pistoia davvero”. Folklore politico per folklore politico, vale la pena menzionare qualcuno dei mille pseudopartiti che si richiamano alla Terra Promessa del “Centro”. Più o meno funziona così: un tizio megalomane viene eletto a qualche carica pubblica, si monta ulteriormente la testa e fonda un “movimento” tramite il quale conquistare il mondo, affidandone poi il simbolo “in franchising” a qualche intrallazzista di bassa lega (pronto a fondare a sua volta, alla prima occasione, il suo “movimento”) in occasione di un’elezione comunale. E così, in rigoroso ordine alfabetico, ecco Alternativa Popolare (erede dell’NCD di Angelino Alfano), Cambiamo!, Centro Democratico, Coraggio Italia, Democrazia Cristiana Nuova (del redivivo Totò Cuffaro; da non confondere con la Nuova Democrazia Cristiana), Democrazia Liberale, Democrazia Solidale, FARE!, Mezzogiorno Federato, Movimento Politico Schittulli, Noi di Centro (quel “Noi” sarebbe Mastella), Noi con l’Italia, Nuovo CDU, Nuovo PSI Liberal Socialista, UDC (ci sono ancora pure loro), Verde è Popolare. Fuori elenco, l’insuperabile modello Emiliano, il presidente pugliese che ha fondato, bruciando sul tempo il distratto Giuseppi, il movimento “Con”, al quale basterà poi aggiungere il nome della località: Con Taranto, Con Castellaneta, Con Galatone….
Forza Italia
L’ormai mummificato Silvio Berlusconi, il cui nome pare tiri ancora fra gli over 80, ha detto e fatto tutto e il contrario di tutto, fra fantomatiche “federazioni” con la Lega ed appelli all’unità di un centrodestra che esiste soltanto come finzione politico-lettararia in occasione di elezioni regionali o comunali. Ad ogni modo, il Cavaliere Schiera i suoi “azzurri” compatti nella squadra di cui era stato il vincente presidente, puntando a riconfermare i suoi sindaci uscenti ad Asti, Monza e Gorizia. L’unica birichinata “centrista” matura a Verona, nel sostegno all’ex “duro” della Lega Flavio Tosi contro il primo cittadino in carica, il meloniano Sboarina. La verità è che Berlusconi, curatore fallimentare del suo stesso tramonto, è il vero “draghetto” della politica italiana: finché c’è lui, hai voglia di larghe intese.
La Lega
È estremamente probabile che queste elezioni sanciscano la defenestrazione di Salvini. La clamorosa successione di autogol di cui si è reso protagonista dalla famigerata estate del Papeete in avanti rappresenta un monumento all’idiozia; in alternativa, è possibile interpretare le sue mosse come quelle di un attore che recita, ora maldestramente ora divinamente, la parte che gli è stata assegnata dal Grande Regista. Fuori tempo massimo, Salvini ha provato a rimescolare le carte con qualche trucchetto da guitto, lanciando nelle città meridionali la lista “Prima l’Italia”, esattamente come aveva fatto qualche anno fa con il marchio “Noi con Salvini”. A Messina ha intruppato i suoi nella coalizione “centrista” dell’ex sindaco Cateno De Luca, candidato in pectore alle prossime regionali. Tuttavia, sarà già tanto se la Lega riuscirà a riconfermare i primi cittadini uscenti a Lodi e Alessandria; per il resto, sarà un massacro. Che il successore del “capitano” sia Zaia o Fedriga, poco importa: la “normalizzazione” della Lega è in realtà compiuta da tempo. I pagliacci escano dal campo di battaglia.
Fratelli d’Italia
Dopo aver vampirizzato la Lega ed essere volato nei sondaggi, il partito di Giorgia Meloni è pronto a passare all’incasso il 12 giugno, accreditandosi stabilmente come prima forza del centrodestra. Suoi esponenti sono candidati alla massima carica cittadina a Verona, Pistoia, L’Aquila, Como e Rieti: l’en plein pare a portata di mano. In altri lidi, Giorgia Meloni ha puntato i piedi, mollando la coalizione al suo destino: a Catanzaro, Parma e Viterbo Fratelli d’Italia presenta candidati autonomi dissociandosi da una probabile sconfitta. Il ruolo di opposizione parlamentare (vera o presunta) ha senz’altro giovato ai meloniani, ma ora è tempo di diventare grandi. Già si sprecano gli ammiccamenti col PD. Le larghe intese minacciano di farsi larghissime.
L’opposizione (con o senza virgolette)
Infine, si presentano in forza a queste consultazioni diversi di quei movimenti che hanno saputo accreditarsi, negli ultimi due anni di emergenze, come punti di riferimento dell’opposizione alla svolta autoritaria in atto. Fra le candidature “unitarie” di Francesca Donato a Palermo, Mattia Crucioli a Genova e Marco Adorni a Parma, e le diverse liste presentate in autonomia da ItalExit di Gianluigi Paragone e dal Movimento 3V, il variegato fronte che si è opposto al Green Pass, agli obblighi vaccinali, al draghismo ed alla russofobia affronta l’esame delle urne. Volendo essere noi dell’Avanti.it particolarmente attenti a tutto ciò che si muove in questo frastagliato universo, vi dedicheremo un focus venerdì prossimo.
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