Con l’arrivo del 2023 termina lo sconto sul costo del carburante introdotto dal governo Draghi a marzo dello scorso anno. Utilizzando l’extra-gettito a disposizione nel bilancio i ministeri dell’Ambiente e dell’Economia del precedente governo avevano applicato uno sconto alle accise sul carburante per contenerne i costi che avevano toccato il record di quasi 2,20 euro a marzo 2022. Lo sconto “universale”, durato dieci mesi, ha avuto un costo totale di sette miliardi di euro, fondi che nella manovra economica del nuovo governo Meloni sono stati destinati ad altro. Per cui adesso il taglio delle accise è stato eliminato del tutto, dopo che già a novembre era stato tagliato del 40%. Il caro benzina attuale, che comunque è molto al di sotto del record dello scorso anno e che avviene in concomitanza con il calo delle quotazioni del petrolio, è dunque legato esclusivamente a scelte politiche, cioè la manovra economica ha dirottato altrove quei fondi precedentemente finalizzati a tagliare le accise su benzina e diesel.
Il governo ora, per nascondere la scelta politica parla del problema della speculazione. Il primo a parlarne è stato il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin secondo cui un eventuale sforamento dei 2 euro a litro sarebbe “solo speculazione”, accusa che ricalca quella del predecessore Roberto Cingolani che aveva parlato di “speculazione in atto” e che avevano portato la Procura di Roma ad aprire un fascicolo, ma a distanza di mesi pare non essere stata scoperta alcuna speculazione. Per fare chiarezza e comprendere la pantomima è necessario sapere che in realtà il governo può fare ben poco sui prezzi perché trovandoci in un libero mercato è normale che ogni distributore di benzina sceglierà il prezzo più conveniente e adeguato, e se le condizioni di mercato portano un aumento dei prezzi non significa che i distributori stiano commettendo un reato. Il reato di speculazione avviene quando tanti concorrenti si accordano per aumentare i prezzi a discapito dei consumatori.
Intanto su richiesta del governo da qualche mese sono partite delle verifiche ai distributori da parte del Garante per la sorveglianza dei prezzi. Oggi la premier e il ministro del Tesoro Giorgetti hanno persino incontrato il comandante della Guardia di Finanza per stabilire la strategia di contrasto ad eventuali speculazioni sui prezzi del carburante. Lo scorso anno in seguito a controlli avevano rilevato che metà pompe di benzina controllate non erano in regola, tuttavia si trattava esclusivamente di infrazioni legate alla comunicazione dei costi, e non alla speculazione sui prezzi.
Il vero problema del costo del carburante in Italia sono le tassazioni, tra le più alte in Europa. Rispetto alla media europea, gli italiani pagano un litro di benzina 24,8 centesimi in più, e l’italia è anche prima per tassazione sul diesel. Sul costo del carburante il 60% sono introiti dello stato, oltre all’IVA sono presenti sedici accise, imposte extra aggiunte decennio dopo decennio legate a eventi anche archiviati dalla storia (dalla guerra in Etiopia del 1935/36 fino all’alluvione di Firenze del 1966, oltre che il terremoto in Irpinia del 1980 e altri eventi più recenti). Molti politici nell’ultimo decennio avevano preso l’impegno di eliminarle o ridurle, tra cui Renzi e poi Salvini. Anche Giorgia Meloni aveva spesso aspramente attaccato le tasse sul carburante definendole “scandalose”, eppure arrivati al governo pare che nessuno riesca a destinare fondi per questo. Adesso le priorità del governo sono altre, come l’invio delle armi all’Ucraina. Per il governo è meglio dunque dare la colpa ad una fantomatica speculazione piuttosto che assumersi in prima persona la responsabilità di aver causato l’aumento dei costi del carburante.
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