Quando, all’inizio di aprile, l’esercito russo è smobilitato dall’Ucraina del nord, la propaganda atlantista ha subito parlato di arretramento e sconfitta, mentre le città nei dintorni di Kiev sarebbero state “liberate” dall’esercito ucraino – in un caso, Buča, con sorpresa da parte dei servizi segreti inglesi. Una smobilitazione che, lungi dall’essere una ritirata, rappresentava in realtà l’inizio della fase finale – nelle intenzioni degli strateghi del Cremlino – della guerra d’Ucraina: l’obiettivo della Suchoputnye Vojska (le forze terrestri russe) non è mai stato Kiev, né la conquista dell’intera nazione, o la destituzione del regime filo-americano di Zelens’kyj.
La guerra d’Ucraina può dividersi, sul piano militare, in tre fasi. La prima è stata quella più simile a un blitzkrieg, e difatti ha tratto in errore molti analisti: durata meno di 48 ore, 24 e 25 febbraio, è consistita nella distruzione di tutte le strutture militari più avanzate del paese con raid aerei “chirurgici”, rapidissimi e mirati, che hanno privato Kiev in sole due notti di aeroporti militari, depositi di carburante e munizioni, centri di addestramento, depositi di mezzi corazzati, basi missilistiche di contraerea, e l’intera flotta militare. In un lampo, le forze terrestri, la guardia nazionale e i battaglioni neo-nazisti si sono ritrovati a essere i soli a dover difendere il paese dall’avanzata russa.
La seconda fase è iniziata contemporaneamente, ad opera della fanteria e dei corazzati, con l’invasione del paese da nord (confine con la Bielorussia, per arrivare a Kiev dopo la presa di Chernihiv e tenere occupato l’esercito ucraino per impedirgli di concentrarsi tutto a est), nord-est (confine con la Russia, per conquistare il corso centrale del fiume Dnepr, Dnipropetrovs’k e Zaporižžja, dopo la presa di Charkov) e sud-est (confine col Donbas, per conquistare i principali sbocchi sul mar d’Azov, Mariupol’ e Berdiansk, e riconnettersi alle truppe che, occupata Cherson alla foce del Dnepr, si dirigevano verso Melitopol’). Dopo il primo mese di combattimenti, l’esercito di Kiev era pressoché annientato, il corso del fiume Dnepr sotto il controllo di Mosca da Dnipropetrovsk in giù, mentre a est l’esercito russo non aveva ottenuto i successi sperati. Gli irriducibili battaglioni neonazisti Azov e AFP avevano creato delle sacche di resistenza e causato lo stallo della fanteria russa a Kharkov, Izium e Mariupol’. Le ragioni sono molteplici: dal lato ucraino, il regime di Zelens’kyj, seguendo alla lettera i dettami dei padroni americani, ha istituito una leva forzata e obbligatoria di tutti i maschi adulti; gli americani e i loro vassalli europei nel mese di marzo hanno riempito il paese di tutte le armi – perlopiù datate e pluri-utilizzate – che avevano in cantina, finite in mano davvero a chiunque, sprofondando molte zone nell’anarchia e nel terrore, e rendendo la vita difficile ai russi per ragioni che spiegheremo a breve; infine, l’Ucraina orientale è il posto di massima concentrazione dei battaglioni neo-nazisti, i quali hanno compensato l’inferiorità numerica, tattica e di mezzi con la più vile delle strategie: sequestrare foltissimi gruppi di propri connazionali inermi per usare loro come scudi umani e le loro case come bocche di fuoco, impedendogli di fatto di utilizzare qualunque corridoio umanitario, pena la vita, così da poter attaccare i russi facilmente e rendergli difficilissimo rispondere all’attacco. Perché gli strateghi russi, assai diversamente dalla NATO in Iraq, Siria e Afghanistan, hanno scelto di non bombardare indiscriminatamente le città, facendo un sol fascio dei civili e dei soldati, obbligando le proprie truppe a una guerra molto più simile ai conflitti della prima metà del Novecento, una guerra d’assalto e di posizione. Si sono ritrovati, così, a combattere casa per casa, strada per strada, cercando di ridurre al minimo il coinvolgimento di civili, andando a stanare ogni singolo manipolo di soldati e subendo la guerriglia di chi sapeva che in campo aperto non aveva speranze. Questo è costato ingentissime perdite all’esercito russo, che, avendole previste e per non farsi trovare sguarnito nell’eventualità di un’escalation bellica mondiale, ha mandato in Ucraina le matricole dell’esercito regolare, accompagnate dai battaglioni abituati al lavoro “sporco” come il battaglione Sparta e i ceceni di Kadyrov, con mezzi corazzati di vecchia generazione. Pedine sacrificabili, ma non troppo: infatti, di fronte al calo del consenso popolare previsto con l’arrivo in patria di innumerevoli ragazzini russi nei sacchi neri, la terza fase si contraddistingue proprio per un cambio di tattica. È stato chiamato dalla Siria il generale Alexander Dvornikov, famoso per gli assedi ad anello, che comportano una guerra di logoramento, quasi di trincea, ma che limitano al massimo le perdite di vite umane. Praticamente, si circonda un luogo – che può essere una base o un’intera città – tagliando tutti i contatti con l’esterno, e si attende ad oltranza, costringendo il nemico a venir fuori per un attacco estremo o ad arrendersi per fame. Prima dell’accerchiamento, si manda l’aviazione a bombardare il grosso delle forze nemiche, se necessario.
Nella terza fase, inoltre, il flusso di armi occidentali è stato ridotto all’osso, sia dalla prontezza dei russi nell’intercettare e distruggere i convogli di rifornimento che venivano dalla Moldavia, sia dalle ingenti perdite di mercenari inglesi, canadesi e americani venuti in Ucraina. Così, smobilitato il nord del paese, i russi hanno concentrato immediatamente gli attacchi dell’aviazione a Kharkov, mentre la fanteria e i corazzati si sono diretti a Izium, per proseguire la “denazificazione”, terminare la conquista dell’oblast’ di Kharkov e annetterlo ai territori della Repubblica Popolare di Luhans’k. Inoltre, si è avviato l’assalto finale “ad anello” contro Mariupol’. Ad oggi, tutti e tre gli obiettivi sono raggiunti – anche se le ultime sacche di estremisti ucro-nazi resistono nell’acciaieria di Azovstal di Mariupol, tenendo in ostaggio centinaia di civili. Preso definitivamente l’oblast’ di Kharkov, conquistando definitivamente la parte sud-orientale del paese, i russi controllano quasi totalmente gli oblast’ di Dnipropetrovs’k, Zaporižžja e Kherson. La settimana scorsa quindi hanno varcato il Dnepr iniziando a bombardare Mykolajiv, avvicinandosi sempre più a Odessa (che intanto è circondata dalle truppe russe e privata della flotta). Si fa sempre più chiaro l’obiettivo di Mosca: prendere tutta l’Ucraina del sud, per riconnettere il Donbas con la Transnistria e creare la Nuova Russia. L’unica incognita, stante il cambio di strategia, sembra essere il tempo di riuscita dell’operazione, a meno che il blocco NATO-Ucraina non accetti le proposte di Putin per cessare la guerra – demilitarizzazione dell’Ucraina, garanzia di non ingresso nell’alleanza nord-atlantica, riconoscimento delle Repubbliche Popolari di Doneč’k e Luhans’k.
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