Marco Di Mauro
Avanti.it
La fragile, posticcia democrazia irachena è di nuovo sull’orlo del collasso. Sono ormai dieci mesi, ovvero dalle elezioni di ottobre 2021, che il paese non riesce ad avere un governo stabile.
Devastato economicamente e socialmente dall’attacco americano del 2003 che ha destituito il capo sunnita Saddam Hussein, fatto un milione di morti, depredato il paese di tutte le sue ingenti risorse petrolifere, l’Iraq è da ormai vent’anni il paese emblema dell’imperialismo neocon americano. Quello che sprofonda le nazioni nel caos, rendendole dei discount di risorse per l’assalto delle multinazionali.
Dopo la guerra a Saddam, CIA e Mossad hanno creato Daesh, che ha continuato la spirale di violenza e devastazione, ma è proprio la sconfitta dell’ISIS che ha fatto emergere nuovi poteri e sfere di interesse nel paese, che sono proprio le parti in causa nella crisi odierna. Dopo la destituzione di Saddam, la maggioranza sciita, che riconosce nell’Ayatollah iraniano Ali Khamenei la massima autorità religiosa, ha rialzato la testa, aprendo il paese all’influenza iraniana. Da allora non solo le milizie dell’IRGC hanno ingresso libero nel paese, ma il parlamento iracheno ospita partiti di matrice sciita apertamente filo-iraniani, riuniti nella coalizione Quadro di coordinamento sciita, che hanno espresso l’ultimo vero premier di Baghdad prima della crisi attuale, Nuri al Maliki.
Gli sciiti filo-iraniani si sono guadagnati la reputazione durante la guerra all’ISIS, con figure di rilievo come il generale iraniano Qassem Soleimani e il suo braccio destro iracheno Abu Mahdi al-Muhandis, entrambi uccisi nel raid che l’allora presidente Trump trasformò in un grottesco show, offrendone la testa al suo amicone Benny Netanyahu. Da allora, la cittadella fortificata che a Baghdad ospita tutti gli uffici occidentali, dalle ambasciate ai centri di addestramento, la cosiddetta Zona Verde, è divenuta un posto molto meno sicuro di quanto già non lo fosse in precedenza. Numerosi lanci di razzi iraniani hanno interessato la zona, puntando soprattutto l’ambasciata USA, e recando pochi danni. Ma all’inizio di novembre 2021 anche il primo ministro Mustafa al-Kadhimi uscì indenne da un attentato con un ordigno esplosivo non rivendicato, ma molto probabilmente di matrice iraniana. Questo fu un primo episodio di violenza iraniana contro le istituzioni irachene, e la causa sono proprio le elezioni di ottobre 2021.
Queste ultime infatti hanno determinato una vera e propria svolta politica nel paese, dando un chiaro segnale che l’ingerenza iraniana non era più gradita: il blocco Fataj, massima espressione dei filo-iraniani nel parlamento e nell’esercito iracheno, ha riscontrato una vera e propria débacle, vedendo i propri seggi in parlamento ridursi a 15 su 329 da 48 che aveva ottenuto nelle elezioni precedenti. Ci furono proteste in tutto il paese, una destabilizzazione senza precedenti in una democrazia che pure è abituata all’instabilità, e il vincitore di quelle elezioni, Muqtada al-Sadr, non ha mai potuto governare fino ad oggi.
Conquistatosi il favore della maggior parte della popolazione combattendo prima contro gli americani dal 2003 e poi contro l’ISIS, Sadr è in Iraq la persona che più rappresenta il concetto di sovranismo così come lo intendiamo in occidente. Figlio del potente e amatissimo religioso sciita Mohammad Sadeq al-Sadr, Muqtada ne ha ereditato nel 1999 i fedelissimi seguaci, affermandosi prima come capo militare con l’Esercito del Mahdi e poi, dopo averlo sciolto per creare le Brigate della Pace (Saraya al-Salam), come capo politico. Dapprima nemico giurato degli USA e alleato dell’Iran, dopo la vittoria contro l’ISIS volta la faccia all’Ayatollah per perorare con veemenza la battaglia contro le ingerenze di Teheran nella vita politica del paese, riuscendo così ad aumentare significativamente il suo seguito e a divenire così sempre più influente per la capacità di far scendere in piazza migliaia di uomini e destabilizzare la scena politica in suo favore. È così che nell’autunno del 2021 riesce a far anticipare le elezioni a ottobre – che hanno registrato un’affluenza del 41%, la più bassa della storia irachena – e persino a vincerle, pur non riuscendo mai a creare una coalizione di governo. Le proteste degli affiliati di Fataj, che denunciano brogli elettorali, non riescono a ottenere nulla, e Sadr gli nega anche la possibilità di entrare nella coalizione di governo. Tuttavia, pur avendo preso 73 seggi, non ha i numeri per creare una coalizione di governo. Il fronte di opposizione filo-iraniano comprende la coalizione per lo Stato di diritto del primo ministro uscente Nuri al-Maliki (33 seggi); l’Alleanza Fatah di Hadi al-Amiri (17 seggi), ala politica dell’organizzazione Badr affiliata alle Forze di Mobilitazione Popolare; la colazione Aqd al-Watani guidata da Falah al-Fayyad (4 seggi), anch’essa legata alle FMP e all’Iran; e l’Alleanza della vittoria dell’ex primo ministro Haider al-Abadi (4 seggi) – per un totale di 64 seggi (significativo della disfatta della coalizione è che tutti insieme non raggiungono i seggi del solo partito di Sadr). Ci sono anche i 37 seggi della coalizione sunnita Takaddum, guidata dal ri-eletto presidente del parlamento iracheno, Mohamed al-Halbousi (poi respinto per incostituzionalità della rieleziine) e i 31 seggi del Partito Democratico Curdo di Masoud Barzani.
Nessuno di questi ha voluto formare una coalizione con Sadr, che dapprima ha provato le vie diplomatiche. Poi a giugno ha deciso di far ritirare i suoi eletti dal parlamento, nella speranza di giungere a nuove elezioni, ma ha soltanto ottenuto che i suoi avversari si alleassero, e la formazione di un nuovo governo con a capo Nuri al-Maliki. Così, è passato alle maniere forti, sguinzagliando le sue Brigate della Pace: il 26 luglio i sadristi in migliaia assaltano la Zona Verde e occupano il parlamento, dando una prima dimostrazione di forza, per poi liberarlo dopo un giorno di occupazione. Se di tutta risposta Maliki si presenta in parlamento armato di fucile d’assalto, screditando completamente tutto il fronte filo-iraniano, è il successore del padre – sul piano religioso, dove Sadr non ha mai brillato – Kazem Al Haeri a dargli il colpo di grazia: in un discorso pubblico invita tutti gli sciiti iracheni a seguire l’Ayatollah Khamenei e accusando apertamente Sadr di non avere le conoscenze religiose né le capacità di guidare gli sciiti e il popolo iracheno. Queste parole portano Muatada al-Sadr ad annunciare le sue dimissioni e il ritiro dalla vita politica, mossa consapevolmente orientata a deresponsabilizzarsi di quanto succede subito dopo: migliaia di suoi sostenitori assaltano di nuovo il parlamento, scontrandosi apertamente con le forze di sicurezza irachene e assaltando e dando alle fiamme le sedi delle Forze di Mobilitazione Popolare, in quella che è una sfida diretta a Teheran. Queste ultime, strategicamente, non rispondono alla provocazione, ma lo stesso non vale per le forze di sicurezza: il bilancio degli scontri di fine agosto è di 22 morti e decine di feriti. I sadristi hanno anche lanciato diversi razzi contro l’ambasciata USA e costretto il personale dell’ambasciata olandese a evacuare in fretta e furia. Alla fine, il parlamento è stato sgomberato e il governo ha ripreso le sue attività. Muqtada al-Sadr, persa la reputazione e fallita anche la via della violenza, ha sconfessato le azioni delle sue Brigate, criticandole aspramente, ed elogiato il comportamento delle FMP.
Cosa riserva il futuro all’Iraq, paese martoriato da vent’anni di guerre e corruzione e da una democrazia che definire posticcia è un eufemismo, non è dato sapere. Allo stato dell’arte, scoperta la carta al-Sadr, gli USA ne hanno altre da giocare, e Teheran non starà a guardare.
Fiorenzo dice
il male da sconfiggere è l’America