Giuseppe Russo
Avanti.it
In occasione del settantaseiesimo anniversario della fondazione del Movimento Sociale Italiano, avvenuta, dopo lunga gestazione, il 26 dicembre del 1946, diversi esponenti di Fratelli d’Italia, la forza politica che può definirsi erede della tradizione della fiamma tricolore, hanno celebrato la ricorrenza con tweet nostalgico-familistici che non sono passati inosservati. Dapprima Isabella Rauti, sottosegretario alla difesa e figlia di Pino, una delle anime più nere della storia della repubblica (vedi sotto), ha pubblicato un testo in cui si rendeva “onore ai fondatori e ai militanti missini” , chiudendo con l’hashtag “leradicinongelano”, che è una citazione tratta da Il Signore degli anelli che campeggia anche nel sito dedicato alla memoria di suo padre, che non a caso fu, all’epoca, fra gli ispiratori dei cosiddetti “campi Hobbit”. Successivamente, e facendo assai più chiasso, le ha fatto eco il presidente del Senato Ignazio La Russa, il quale, tirando in ballo a sua volta il padre Antonino, che fu fra i fondatori del MSI in Sicilia, ha descritto la traiettoria del partito della fiamma con queste parole in un post pubblicato sul suo profilo Facebook: “la via della partecipazione libera e democratica in difesa delle idee rispettose della Costituzione italiana”.
Appena sei giorni prima di questa ricorrenza, Giorgia Meloni si era sottoposta, ad onor di telecamere e taccuini, ad un rito che avrebbe dovuto sancire la sua definitiva “legittimazione”: la partecipazione alla cerimonia dell’Hannukkah, la festività ebraica nota anche come “festa delle luci”, presso il museo ebraico di Roma. In quella sede, la premier si era abbandonata a scenografiche lacrime dopo aver fatto dichiarazioni contro “l’ignominia delle leggi razziali” promulgate illo tempore dal regime fascista, lodando a più riprese la “capacità resiliente” del popolo ebraico e ribadendo che il viaggio in Israele sarà calendarizzato nei primi mesi del 2023. Giorgia Meloni ha dunque ripercorso le orme del suo predecessore (come leader postfascista) Gianfranco Fini, il quale si recò in Israele nel 2003 producendosi in dichiarazioni analoghe sulle leggi razziali e indossando la kippah, il tradizionale copricapo ebraico, a beneficio delle onnipresenti telecamere. A Fini, va detto, tutto questo non portò una gran fortuna, e parecchi dei suoi lo scaricarono come “traditore”, una delle accuse più ricorrenti in ambito neo e postfascista.
Accogliendo la premier piangente, la presidente della comunità ebraica Ruth Dureghello si era sbilanciata sostenendo che le sue dichiarazioni contribuivano a “contrastare definitivamente le ambiguità che in una parte del paese sono ancora presenti sul fascismo e sulle sue responsabilità”. Appena una settimana dopo, sbigottita davanti alle esternazioni via social di Isabella Rauti e Ignazio La Russa, la stessa Dureghello si è rimangiata tutto, attaccando il presidente del Senato con queste parole: “Quando si ricoprono ruoli istituzionali il nostalgismo assume contorni gravi e ridicoli”. All’interno dell’ebraismo italiano è stata poi rispolverata una vecchia polemica, quella sulla presenza della fiamma tricolore nel simbolo di Fratelli d’Italia. Fra coloro che più si sono spese per chiedere alla Meloni di depurare l’emblema del suo partito vi è la senatrice a vita Liliana Segre, la quale, per uno scherzo del destino, aveva sposato uno che del Movimento Sociale Italiano era stato addirittura candidato, quell’Alfredo Belli Paci che si era presentato nelle liste della fiamma (da “indipendente”, ha avuto modo di precisare lei) alle elezioni per la Camera del 1979 nella circoscrizione Milano-Pavia. L’estate scorsa, ad un mese dal voto, fu proprio La Russa a ricordare l’episodio alla Segre, la quale, oltre a sostenere di aver “molto sofferto” all’epoca, aveva giustificato il marito per l’improvvida scelta poiché costui era costernato davanti al “disordine” dilagante nell’Italia degli anni ’70.
Sulla parabola del Movimento Sociale Italiano, che attraversò la storia della repubblica da quel fatidico 26 dicembre del 1946 fino al gennaio del 1995, quando si sancì la sua trasformazione in Alleanza Nazionale (sigla con la quale si era presentato alle vittoriose elezioni politiche del 1994 nella coalizione berlusconiana), l’interpretazione storiografica che va per la maggiore è quella del politologo Piero Ignazi, autore della più esaustiva monografia sulla storia del partito della fiamma, Il polo escluso. Profilo storico del Movimento Sociale Italiano (ma l’opera più sfiziosa è Fascisti immaginari. Tutto quello che c’è da sapere sulla destra di Luciano Lanna e Filippo Rossi). Il MSI, che fu chiamato “movimento” per distinguerlo dai partiti antifascisti e “sociale” in omaggio alla Repubblica Sociale Italiana, regime al quale i suoi leader si sono sempre detti più vicini rispetto al fascismo del ventennio (una leggenda metropolitana dura a morire voleva che la sigla stesse per “Mussolini Sei Immortale”), si è trovato sempre “escluso” dalle maggioranze di governo poiché estraneo al cosiddetto “arco costituzionale” fatto da quelle forze politiche che avevano avversato il regime mussoliniano e guidato il processo di transizione dalla monarchia alla repubblica. Questa “esclusione” non era assoluta: i voti dei parlamentari missini risultarono decisivi per la fiducia al governo del democristiano Tambroni, nel 1960 (esecutivo che cadde subito dopo a causa dei moti antifascisti genovesi) e per l’elezione dell’altro democristiano Leone alla presidenza della repubblica nel 1971. Innumerevoli furono inoltre le amministrazioni locali in cui i neofascisti fecero parte delle maggioranze, in taluni casi addirittura a braccetto con il Partito Comunista Italiano, come nel caso della giunta che guidò la regione Sicilia negli anni ’50 sotto la presidenza dell’esponente della destra democristiana Silvio Milazzo. L’azione politica del MSI si svolse inoltre nel segno dell’inclusione in tutte le trame eversive che caratterizzarono l’Italia negli anni ’60 e ’70, giocando di sponda sia con i servizi segreti di casa nostra (più o meno “deviati”), sia con quelli di oltreoceano, a dispetto della sbandierata retorica “antiamericana”, e finendo con l’accreditarsi come “partito dell’ordine” presso quel settore di opinione pubblica preoccupato dai fremiti ribellistici che agitavano il paese. Il Movimento Sociale (in quegli anni guidato da Giorgio Almirante) fu soprattutto “il partito del golpe”, prefiggendosi apertamente di “fare come in Grecia”, dove nel 1967 aveva preso il potere una giunta militare (un’efficace rappresentazione, seppure in chiave grottesca, di questo milieu fascio-golpista si ha nel film Vogliamo i colonnelli di Mario Monicelli).
Altro che la “partecipazione libera e democratica in difesa delle idee rispettose della Costituzione italiana” come ha detto La Russa, che negli anni si era fatto una fama di “fascista simpatico” nonostante il ghigno mefistofelico (è stato addirittura doppiatore de I Simpson). Il Movimento Sociale Italiano è stato uno strumento degli americani e dei poteri forti di casa nostra in funzione anticomunista, con buona pace dei tanti militanti “in buona fede” che pure ha avuto e anche dei cani di Pavlov della piddinosfera, che hanno vomitato a profusione tweet d’indignazione in cui hanno dimostrato di non conoscere la differenza (storica, se non altro) fra “fascismo” e “neofascismo”, e la cui sintesi potrebbe essere “Mussolini è cattivo”. A chiarire da che parte stava il suo partito di gioventù è stato proprio Ignazio La Russa, che in un’intervista al Corriere della Sera ha così replicato alle contumelie ricevute a mezzo social: “Rispetto le sensibilità della comunità ebraica, ma li invito a documentarsi bene. Anche perché il Msi è sempre stato schierato a favore di Israele, mentre pezzi di sinistra, spesso, tifavano per i palestinesi”. Giova in questa sede ricordare che i servizi segreti italiani (quelli ufficiali e quelli “ufficiosi”) furono messi in piedi al termine della guerra (coinvolgendo perlopiù reduci della Repubblica di Salò) sotto la direzione degli americani e del nascente Mossad, i cui uomini furono i primi “istruttori” delle nostrane barbe finte.
Per cogliere l’essenza del neofascismo, ad ogni modo, non è all’esperienza di La Russa che bisogna guardare, ma a quella della prima “twittatrice” e del suo celebrato padre, ad Isabella e Pino Rauti.
Giuseppe Umberto Rauti, noto anche come “il Gramsci nero”, è uno che ha vissuto almeno cinque vite. Nella prima di esse è un giovanissimo sottotenente nella Guardia Nazionale Repubblicana, un corpo di polizia della Repubblica di Salò, il quale dopo la guerra finisce prigioniero prima degli inglesi e infine dei francesi. Nella sua seconda vita, Pino Rauti è il capofila della corrente “spiritualista” del neonato Movimento Sociale Italiano, corrente che si ispira alla dottrina del filosofo Julius Evola. La terza vita del “Gramsci nero” è quella che lo vede a capo del Centro Studi Ordine Nuovo: ufficialmente, un movimento frutto della scissione della componente “evoliana” del MSI, di fatto “un servizio segreto clandestino”, come lo definisce Stefania Limiti nella sua opera Doppio livello. Da capo indiscusso di Ordine Nuovo, Pino Rauti sarà coinvolto in diversi episodi dello stragismo e della strategia della tensione: la sua organizzazione, che aveva avuto “in gestione” dalla NATO il presidio del confine nordorientale in funzione antijugoslava, controllava depositi di armi e di esplosivi, godeva di appoggi nell’esercito, era in prima fila in quella “guerra psicologica” contro il comunismo lanciata dagli angloamericani a metà negli anni ’50. Vincenzo Vinciguerra, l’ex terrorista nero condannato all’ergastolo per la strage di Peteano del 1972 (l’unico della sua area ancora in carcere, mentre la legge si è mostrata assai benigna con gli altri stragisti neofascisti) ed autore del fondamentale Ergastolo per la libertà. Verso la verità sulla strategia della tensione, ha definito i membri di Ordine Nuovo “uomini-arma della NATO”. Nel 1969, dopo aver preso parte come relatore al celebre “convegno sulla guerra rivoluzionaria” organizzato dall’istituto di studi militari “Alberto Pollio” nel 1965 (universalmente considerato il consesso nel quale venne preconizzata la cosiddetta “strategia della tensione” che prenderà corpo negli anni successivi a suon di stragi), Pino Rauti rientra nel MSI per capeggiare la “sinistra” interna che si oppone al segretario Almirante e vivere la sua quarta vita. Del partito neofascista dal quale era negli anni entrato e uscito in base alle direttive del SID, il servizio segreto militare (come sostenuto nel già citato Doppio livello), Rauti diventa addirittura segretario per una breve stagione agli inizi degli anni ’90. La sua segreteria sarà così scellerata che il MSI arriverà ai minimi storici in termini di consenso elettorale. Dopo la cosiddetta “svolta di Fiuggi” del 1995 con la conseguente trasformazione del Movimento Sociale in Alleanza Nazionale, per Rauti è tempo della quinta vita: dapprima fonda il Movimento Sociale Fiamma Tricolore, formazione che raggruppa i contrari alla svolta postfascista e che contribuirà, coi suoi candidati “di disturbo”, alla sconfitta del centrodestra (ed alla vittoria dell’Ulivo di Prodi) nel 1996, e successivamente, con l’implosione della “estrema destra”, dà vita al velleitario ed effimero Movimento Idea Sociale. Le aule di giustizia, va detto, hanno dopo lunghi iter processuali assolto Pino Rauti, finito sul banco degli imputati sia per la strage di Piazza Fontana del 1969 che per quella di Piazza della Loggia del 1974. Nel processo su quest’ultimo misfatto, il procuratore Roberto Di Martino dichiarò in aula a proposito di Rauti:”La sua è una responsabilità morale, ma la sua posizione non è equiparabile a quella degli altri imputati. La sua posizione è quella del predicatore di idee praticate da altri, ma non ci sono situazioni di responsabilità oggettiva”.
Isabella Rauti, oltre ad essere figlia di quel Pino che tanti servizi aveva reso alla repubblica italiana, è stata anche moglie dell’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, ed ha consumato tutta la sua esperienza all’interno della “fascisteria” romana. Militante e pluricandidata nel movimento paterno fino alla metà degli anni 2000, rientrò poi nei ranghi della “destra del centrodestra” (della quale seguirà le mutazioni partitiche: Alleanza Nazionale, Popolo della Libertà, infine Fratelli d’Italia) , venendone ricompensata con una prima poltroncina, quella di consigliere nazionale di parità al ministero del lavoro e delle politiche sociali nei governi Berlusconi II e III. Nel Berlusconi IV transitò al dipartimento pari opportunità, dove fu prima “consulente” e poi capo dipartimento. Nel 2010 giunse l’ingresso nei palazzi dalla porta principale, con l’elezione a consigliere regionale del Lazio. Rimasta a piedi dopo lo scioglimento anticipato della giunta della “camerata” Renata Polverini (nel cui “listino” la Rauti era stata eletta, senza passare dalle preferenze), ci pensò il governo di Enrico Letta a trovare un posticino per Isabella Rauti, alla quale fu affidato il ruolo di “consigliere del ministro dell’interno per le politiche di contrasto della violenza di genere, sessuale e del femminicidio”. L’approdo in Senato maturò finalmente nel 2018 in quota Fratelli d’Italia: Dopo la riconferma alle elezioni di quest’anno, è arrivato il coronamento di questa lunga marcetta su Roma con la nomina a sottosegretario alla difesa nel governo Meloni. Isabella, insomma, dopo un lungo giro è tornata a casa, in quel ministero della difesa per il quale aveva a lungo “lavorato” suo padre. La sua passione per l’esercito, del resto, è tale che nel 2015 divenne “Maggiore della Riserva Selezionata”. Per chi non lo sapesse, “Nell’ambito delle Forze di completamento volontarie, per la sola categoria degli Ufficiali, lo Stato Maggiore dell’Esercito, ha avviato il progetto “Riserva Selezionata” al fine di disporre di un bacino di personale – uomini e donne – in possesso di particolari professionalità d’interesse non compiutamente disponibili nell’ambito della stessa per soddisfare eventuali esigenze operative, addestrative e logistiche”.
Altro che polemiche: i fascisti di Stato cadono sempre in piedi, e giocano nella stessa squadra dei loro “avversari”.
Andrea dice
Il problema non è tanto che cadano in piedi, quanto il fatto che sotto i piedi ci sia il nulla. Gli americani, con le loro cento e oltre basi militari in Italia, hanno occupato il Paese dalla fine dell’ultimo conflitto, e spiritualmente ci hanno colonizzato il cervello, sia la parte destra che quella sinistra. Chi avrebbe detto che in meno di trent’anni, i “comunisti” sarebbero diventati i propagandisti dell’ordine “euroamericano”, e corrotti fino al midollo? Fra la Schlein e l’Isabella Rauti, a parte la mimetica, che cosa c’è di diverso? Guy Debord disse che il destino della “società dello spettacolo” non sarebbe stato il dispotismo illuminato. Il destino sarebbe stato il dispotismo e basta. Elly e Isabella unite dal nulla dello spettacolo, finito in nulla dispotico. Qualsiasi cosa facciano, vano spettacolo resterà, con tanti morti, sia vivi che morti, al seguito. Vecchi interpreti e nuovi interpreti per giungere al nulla. Dispotico. Almeno, sappiamo chi c’è dietro Giorgia, ma dietro un Bonaccini, Schlein, Franceschini, Mattarella?… Dietro l’enigmatica figura di Mattarella chi c’è? La Germania è il paese delle funzioni, con “stile” piccolo-borghese, dopo la 2GM; la Francia è il paese dove ciò che non è massonico è ebraico, e viceversa… Il nostro che paese è? Che stile ha? Post “comunista” o post-democristiano che cosa significano? Post-fascista che cosa significa? Dall’Arbasino di “un paese senza…” ad oggi, quanto roba è passata? “Senza un paese…”
Andrea dice
Poi, se l’albero si riconosce dai frutti, quale è stato il partito più pernicioso della “prima repubblica”? Dai “comunisti” che cosa è uscito? Dai “socialisti”? Dai democristiani? Dai missini? Nulla. Penso ai pochi che ancora possono essere ricondotti al Psi, e sprofondo nell’orrore. Bersani e D’Alema sono ciò che rimane del Pci; Casini è ciò che avanza della DC… Se Meloni è il residuo del Msi, non c’è malaccio. Isabella Rauti è solo una cozza, e non conta nulla. A Bologna, uno dei padri dell’Ulivo – Antonio La Forgia – scomparso nel giugno scorso, nella sua vita, con tappe intermedie, riuscì a passare da Ingrao a Renzi, dalla sinistra comunista della mitica sezione universitaria comunista, luxenburghiana, alla liberaldemocrazia… Tempi passati per tutti. Tutto nella fiamma, quella con cui si bruciavano le lettere indesiderate di vecchie fiamme.