Dopo quattro giorni di colloqui promossi e mediati dal governo cinese e svoltisi a Pechino, le due massime potenze islamiche mondiali, Arabia Saudita e Iran, sembrano aver trovato per la prima volta un accordo dopo decenni di rivalità. Basata innanzitutto su motivi religiosi, in quanto la dinastia regnante di Riyadh si ritiene da sempre campionessa della Sunna, canone etico-religioso riconosciuto dall’85% dei seguaci dell’Islam a livello mondiale, mentre la rivoluzione islamica che destituì lo scià e portò al potere la repubblica dei pasdaran ha dato per la prima volta nella storia una patria alla minoranza sciita. Inoltre quando l’Iran, con l’ascesa di Khomeini, si distaccò definitivamente dall’orbita statunitense, la dinastia saudita mantenne invece con gli americani proficui rapporti economici e politici, così la contesa tra i due paesi negli ultimi cinquant’anni non ha fatto che inasprirsi, sia sul piano economico – entrambi grandi esportatori di petrolio, i due paesi si contendono da sempre il controllo del Golfo Persico – ma soprattutto sul piano politico: da un lato sono entrambi storici avversari del regime sionista che occupa illegalmente la Palestina dal 1948 come stato di Israele e si contendono il ruolo di garante dei diritti dei musulmani vessati nell’avamposto occidentale in Medio Oriente, ma se l’Iran lo fa concretamente armando e dirigendo la guerriglia anti-israeliana a Gaza e in Libano, Siria, Iraq, l’Arabia Saudita ha sempre solo condannato formalmente la strage di Palestinesi, avviando negli ultimi anni una lenta e il più possibile silenziosa normalizzazione dei suoi rapporti con Tel Aviv, a partire dagli Accordi di Abramo, a cui non ha partecipato formalmente, ma che indirettamente riguardano la petro-monarchia del Golfo molto da vicino. Molte anche le scaramucce belliche tra Teheran e Riyadh, a partire dalla partecipazione saudita all’invasione dell’Iran da parte di Saddam Hussein nel 1980, così come i sauditi accusano i pasdaran di appoggiare con armi e finanziamenti i ribelli Houthi che dal 2015 mettono in crisi gli interessi della monarchia in Yemen. A cavallo tra vecchio e nuovo millennio c’erano stati segnali di distensione, infatti nel 1998 i due paesi firmarono l’accordo generale per la cooperazione nel campo dell’economia e del commercio, degli investimenti, della tecnologia, della scienza, della cultura, dello sport e della gioventù, mentre tre anni più tardi, nel 2001, un accordo di cooperazione in materia di sicurezza. Entrambi gli accordi tuttavia furono sospesi quando il governo saudita a gennaio del 2016 condannò a morte lo sceicco secessionista Nimr al-Nimr, esponente di punta dell’islamismo sciita, i cui seguaci iraniani durante una protesta seguita all’esecuzione diedero alle fiamme l’ambasciata saudita a Teheran: da allora entrambi i paesi ritirarono i rispettivi ambasciatori, interrompendo ogni relazione diplomatica.
Con l’incontro di oggi tutto è cambiato, e galeotto di questa nuova corrispondenza d’amorosi sensi è stato Xi Jinping. Stando a quanto riferisce l’agenzia stampa iraniana ISNA, l’accordo per avviare i negoziati è arrivato quando il presidente Ibrahim Raisi si è recato in visita a Pechino a febbraio scorso. Oggi, dopo quattro giorni di negoziati, l’accordo è stato firmato proprio nella capitale della Repubblica Popolare Cinese da Ali Shamkhani, segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale iraniano, da Musaed bin Muhammad al-Aiban, ministro dei consiglieri, membro del consiglio dei ministri e consigliere per la sicurezza nazionale saudita e da Wang Yi, membro dell’Ufficio politico del Comitato centrale diel Partito Comunista Cinese e capo dell’Ufficio di presidenza del Comitato centrale per gli affari esteri. I due paesi si impegnano, oltre a riprendere gli accordi sospesi in precedenza, a riaprire le rispettive ambasciate entro due mesi, fissando a breve un colloquio tra i due ministri degli esteri. In verità, come ricorda il comunicato congiunto, un dialogo bilaterale era già partito nel 2021, ospitato prima dall’Iraq e poi dall’Oman; infine nel testo firmato oggi ufficialmente c’è un unico punto, quello finale, in cui compare un impegno assunto anche dalla Cina, dove si legge che «i tre paesi dichiarano la loro ferma volontà di utilizzare tutti gli sforzi per rafforzare la pace e la sicurezza regionale e internazionale». Un punto in cui, insomma, si richiamano direttamente gli sforzi di destabilizzazione operati soprattutto negli ultimi due anni da Stati Uniti e Israele, e fa pensare che la solerzia di Xi nel voler favorire un accordo tra i due paesi possa da un lato mettere in difficoltà il piano israelo-americano di crearsi una rete di alleati in Medio Oriente da contrapporre alla sfera iraniana, dall’altro ad assicurarsi un polo amico in Asia meridionale in vista della guerra che gli anglo-sionisti preparano contro la Cina con provocazioni sempre più aperte.
MDM
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