Riccardo Giordano
Avanti.it
Immaginiamo di trovarci in un incubo, in presenza di un grave pericolo: la nostra attenzione è talmente catturata da quanto sta accadendo, dalla profonda e intensa emozione che suscita dentro di noi, che non ci accorgiamo di stare sognando.
Più tentiamo di reagire, in qualunque modo, alla minaccia che incombe, più ci lasciamo coinvolgere, e più proiettiamo la nostra attenzione all’esterno dimenticandoci di noi; più ci dimentichiamo di noi e più diamo consistenza al sogno, lo rendiamo reale, lasciandoci in balia degli eventi.
Sappiamo bene come, attraversando un momento di difficoltà, siamo talmente concentrati sul problema che ci affligge da dimenticare tutto il resto, il contorno dei fatti – finendo così col rendere immenso qualcosa che, osservato nella corretta prospettiva, non sarebbe altro che un piccolo intoppo. La mente umana, come Ulisse, deve imparare il segreto per non lasciarsi sedurre dal canto delle sirene e restare, saldamente, raccolta in se stessa, nel suo nucleo profondo dal quale è possibile osservare la realtà con il giusto equilibrio.
Il pensiero idealista ha posto l’uomo dinnanzi a una diversa prospettiva delle cose: e se la realtà non esistesse al di fuori dell’atto che la pensa? Se il pensiero avesse, in sé, la medesima radice dell’essere?
Se ciò fosse vero; è chiaro che non ci si può riferire al pensiero comune, alla dialettica razionale, ma a un tipo di pensiero più profondo o, per meglio dire, più “alto”, come – per usare una immagine – la vetta di una montagna, da cui è possibile conoscere le cose in maniera più ampia e “pulita”.
Un tale tipo di pensiero, identificato dalla filosofia antica con l’intuizione, è stato ed è al centro delle speculazioni metafisiche d’Oriente e d’Occidente che, attraverso discipline quali la concentrazione e la meditazione, si sono poste il problema delle vie per giungere a sperimentarlo. In un testo anonimo della tradizione ermetica occidentale, il Kybalion, leggiamo: “Tutto è mente. L’universo è mentale”. Come ogni creazione umana è stata, prima, pensata da qualcuno, così la natura tutta potrebbe essere il pensiero di una mente superiore a cui l’uomo, mediante determinate discipline, può elevare la sua propria mente.
Il filosofo Friedrich Nietzsche, nelle sue Inattuali, aveva scritto che il “fatto” in sé è sempre stupido, non parla da sé, ma ha bisogno che qualcuno lo interpreti. Più in generale, d’altra parte, tutta la speculazione moderna in ogni campo, dalla filosofia alla scienza passando per l’arte, ha finito col mettere al centro della sua ricerca il tema della coscienza e dei suoi enigmi.
Nella meccanica quantistica, partendo dal principio di indeterminazione di Heisenberg, si è finito col mettere in crisi l’antica concezione del mondo quale insieme di oggetti. Come ha scritto il fisico statunitense John Wheeler: «“Colui che partecipa” è incontrovertibilmente il nuovo concetto introdotto dalla meccanica quantistica. Elimina il termine di “osservatore” della fisica classica, cioè di colui che se ne sta dietro una spessa lastra di vetro e osserva ciò che succede senza rendervi parte» (Gravitation, 1973). Pensiamo, spostando la visuale dall’ambito scientifico, a quanto accade nell’arte contemporanea dove, rispetto a quella classica, il focus non è più sull’oggetto che viene riprodotto, ma sulla percezione e sulle sue infinite quanto misteriose possibilità. Il discorso si fa ancora più interessante quando ci si addentra nei campi ancora inesplorati aperti dalla psicologia del profondo e dalla psicosintesi.
Ciò su cui si vuole richiamare l’attenzione è, appunto, il tema della centralità della coscienza che deve essere portato all’interno anche della prassi politica. Potrà sembrare una frase fatta, ma non si può scartare come una boutade l’ipotesi che il caos di questo nostro tempo sia, in realtà, nient’altro che la proiezione del caos che ci portiamo dentro come individui e come comunità. Se il mondo è dominato dalle cupe leggi dell’interesse e dell’usura, ciò potrebbe essere non perché questa è l’unica logica possibile delle cose, ma bensì perché questa è la condizione interiore che noi siamo andati costruendoci nel corso del tempo, negando ogni dimensione più profonda della vita e del mondo, per rinchiuderci nella fredda logica del profitto e del danaro.
È troppo facile giudicare il passato sulla base del presente per affermare che è sempre stato così, che questo è l’uomo. Noi siamo quello che, consapevolmente o meno, abbiamo scelto di essere: quando per pigrizia ci siamo abbandonati alla guida della nostra natura istintiva, invece di ergerci a signori di essa.
Ciò che oggi appare sempre più evidente, invece, è che più ci ostiniamo a reagire (poiché di questo si tratta, di una mera e scomposta reattività, e non di vera azione, che nasce dalla chiara e calma visione delle cose) a ciò che accade fuori di noi, e più ci ritroviamo immersi nel fango: esattamente come un naufrago che più si dibatte per uscire dalla condizione di pericolo in cui si trova e più affonda.
Come le recenti vicende del mondo anti-sistema ci hanno ampiamente dimostrato, alla profondità dei temi proposti non ha fatto seguito (fatti salvi, come sempre, i pochi) la medesima profondità degli uomini che volevano incarnarli. E ciò lo abbiamo visto, anche e soprattutto, in questo: nella mancanza di una visione concreta di ciò che si voleva raggiungere e costruire, di là da ciò che ci si proponeva di combattere. Anche nell’ambito della spiritualità, tema più volte evocato nelle piazze in contrapposizione al pericolo transumanista, non si è andati oltre i riferimenti religiosi – che ormai lasciano il tempo che trovano – o il confuso sentimentalismo acquariano.
Se, dunque, veramente ci poniamo il problema di portare un cambiamento in noi stessi e poi nella realtà intorno a noi, se veramente vogliamo porci al riparo dal caos che ci circonda, se – per usare l’immagine evocata all’inizio di queste riflessioni – vogliamo risvegliarci da questo sogno per restituirlo alla sua più giusta prospettiva, all’interno di una visione più completa e profonda della realtà (non esiste un mondo della illusione contrapposto a un mondo reale, ma solo diversi piani di percezione di un unico mondo), ciò che dobbiamo fare è cambiare noi stessi. Mutare prospettiva, salire simbolicamente sulla montagna dalla cui vetta è possibile avere una visione integrale, che ci sveli la complessità degli eventi così da poter cogliere la rete che li lega tra loro.
Come scrisse il filosofo Cartesio, fotografando la condizione dell’uomo del suo tempo: la coscienza, il senso dell’io, nasce come riflesso lunare dell’attività cerebrale. È chiaro che, in questa condizione, la nostra coscienza è in balia del mulinare caotico della mente, sempre mutevole, e degli schemi che la strutturano, della dialettica che sempre scompone ogni cosa dal suo opposto, così come l’osservatore dall’osservato.
Se vogliamo conquistarci la possibilità di un’altra visione della realtà, dobbiamo anzitutto spezzare questa condizione di “riflessività”; portare la coscienza a ritrovare il suo centro in se stessa, ponendosi fuori dallo scorrere impetuoso del fiume dei pensieri. Se, in un momento di calma, posso fermarmi ad osservare il caotico cinemascopio nel campo oscuro della mia mente, se posso pormi momentaneamente fuori da questo vortice, allora io non sono il mio pensiero. Nell’attimo in cui posso accorgermi di ciò, la sua agitazione si quieta, e io ritrovo me stesso in una posizione di stabilità da cui guardare al mondo con occhi nuovi. Non più condizionato dal pensiero, posso sperimentare me stesso nella quiete del silenzio interiore: “sum ergo sum”, sono perché comincio ad avvertire in me la stessa presenza dell’essere.
Questo, naturalmente, è solo il primo passo di un viaggio interiore volto alla scoperta di se stesso: un viaggio che oggi acquisisce una valenza “rivoluzionaria”, poiché uomini nuovi sono la possibilità di una civiltà, di una politica nuova. Chi si avvia su questa strada può esserci realmente, in ogni cosa, in ogni situazione, come essere cosciente e quindi libero: senza che la mente voli via, impedendogli di assaporare l’intensità di ogni cosa e di ogni percezione, senza che sia l’inconscio a trascinarlo in quella continua contraddizione tra pensiero e azione. Chi diverrà capace di vivere consapevolmente ogni attimo della propria vita, si accorgerà che questo è lo spazio sacro in cui può essere incontrata, realmente, quella dimensione spirituale che sempre sfugge a chi pure la cerca nei sogni e nelle proiezioni fantastiche di confusi e incoscienti slanci emotivi.
[in copertina: Paul Cézanne, La danza, 1909]
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