La situazione in Sudan si fa sempre più esplosiva. I combattimenti tra le forze armate governative, guidate dal generale Abdelfattah Al Burhan e la RSF (Rapid Support Force), la forza paramilitare guidata dal generale Mohamed Dagalo, non sembrano cessare, anzi mostrano chiari segnali di un incremento delle violenze e degli scontri. Al momento si parla di più di 500 morti, di cui circa la metà dei feriti, stando alle fonti ufficiali; tuttavia, le organizzazioni umanitarie presenti nel paese riferiscono di una situazione ancora più drammatica, con un numero di morti e feriti non precisato a causa della mancanza di strutture ufficiali che possano garantire un corretto conteggio di morti e feriti. Nonostante le richieste giunte dall’Onu ai due contendenti di raggiungere al più presto un accordo di pace – per il quale era previsto già per il 6 aprile un incontro fra Burhan e Dagalo, poi saltato – e di rispettare la tregua di 72 ore stabilita giovedì scorso, le due fazioni continuano a combattersi in battaglie principalmente urbane. Decine di migliaia di civili hanno abbandonato la capitale Khartoum ed altre città dirigendosi verso il confine con l’Egitto o il Ciad, in cerca di rifugio.
Nel frattempo, le ambasciate di tutto il mondo già ieri hanno provveduto ad iniziare l’evacuazione dei cittadini e del personale diplomatico non necessario presenti nel paese. I cittadini francesi sarebbero stati attaccati con un bombardamento aereo poiché accompagnati verso l’aeroporto da un plotone delle forze RSF, le truppe “ribelli”. E a confermare l’accaduto è un tweet sul profilo della RSF. “Le Forze di supporto rapido” si legge nel tweet “sono state attaccate da aerei durante l’evacuazione di cittadini francesi dall’ambasciata del loro paese, passando da Bahri a Omdurman, che ha messo in pericolo la vita dei cittadini francesi ferendo uno di loro e il sopravvivenza del resto dei cittadini”. Il comando delle RSF accusa la controparte di aver “violato il diritto internazionale ed umanitario” mettendo in pericolo la vita dei cittadini stranieri.
La situazione, dunque, è destinata a peggiorare e ad esplodere in un vero e proprio conflitto armato che rischia di trasformarsi in una tragedia umanitaria che destabilizzerà un intero continente, in particolar modo i paesi dell’Africa centrale, come il Ciad e altri paesi non confinanti come il Niger. I due sfidanti, Burhan e Dagalo, non sono nemmeno due soggetti solitari. Dietro i due generali si nascondono gli interessi e gli armamenti stranieri: Se Burhan può godere del sostegno diplomatico e militare dell’Egitto di Al-Sisi, Dagalo è quasi sicuramente il principale interlocutore dell’Etiopia che ha forti interessi espansionistici proprio nei territori dell’autoproclamatosi indipendente Sud Sudan e che sono al momento controllati proprio dalla RSF. Ma Dagalo gode anche del sostegno, segreto e mai ufficialmente espresso, di Haftar, il padrone indiscusso di metà della Libia. E secondo alcuni analisti occidentali, anche gli Emirati Arabi e la Russia starebbero sostenendo la RSF per poter continuare a gestire le ingenti risorse minerarie della regione che sarebbero sotto il controllo delle forze della RSF. Sull’appoggio della Russia in favore di Dagalo e della RSF, nutriamo forti dubbi. In primis, come già vi abbiamo raccontato su queste pagine, la Russia aveva raggiunto un accordo col governo di Burhan per la creazione di una base militare navale sulle coste sudanesi che si affacciano sul Mar Rosso; quindi, sarebbe vero il contrario, qualcuno appoggia e fomenta la RSF anche in funzione anti-russa. In secondo luogo, la Russia non ha interesse ad una destabilizzazione dell’area, ma anzi ha tutta la necessità affinché la sua crescente influenza nella regione – Ciad e Niger, ma anche nel poco più lontano Mali – possa trovare conferma e stabilità. Un conflitto in Sudan ha il potenziale destabilizzante per tutta l’area, dall’Etiopia alla Libia passando per l’Egitto; una destabilizzazione che, storicamente, rientra più nella dottrina del caos americana ed occidentale.
Al momento ci sono tutti gli elementi per poter parlare di una proxy war, cioè di una guerra per procura conto terzi. Il punto è stabilire chi si cela dietro i due gruppi che si stanno combattendo e soprattutto perché. Ma questo potrà essere più chiaro più avanti con il progredire degli eventi.
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