Riccardo Giordano
Avanti.it
Immaginiamo un sole che lentamente sorge dal mare. Diamo vita all’immagine e immergiamoci nel silenzio e nella quiete del primo mattino: è un momento magico, in cui ancora non è presente il clamore delle piccole e grandi vicende del vivere quotidiano, ma si sono già dissolti i fantasmi della notte.
Ci troviamo, in buona sostanza, in un punto intermedio tra i contenuti psichici della nostra coscienza di veglia e quanto invece si agita nel campo oscuro dell’inconscio. L’uomo che rimane desto, e riesce a fissare questo punto di passaggio, trova il varco per accedere a una più profonda e intensa azione interiore.
Ma torniamo all’immagine del sole che si leva dalle acque e viviamola intensamente dentro di noi, cercando di assaporare il riverbero che essa suscita nella nostra anima. Abbiamo qui due elementi: il sole e il mare. Ora, l’acqua, simbolicamente, rappresenta il nostro mondo psichico, con tutti i suoi multiformi aspetti costantemente in movimento. Rappresenta la forza delle emozioni che, come le onde, vanno e vengono dentro di noi, manifestandosi contraddittoriamente; ma rappresenta anche la lotta tra ciò che appare in superficie e ciò che invece si nasconde nel profondo, allusione alla dialettica esistente tra la nostra personalità più antica, “storica”, che si è formata nel corso del tempo, e quella attuale. Queste due parti sono sempre in lotta tra di loro. Non sempre ce ne accorgiamo: finché non cominciamo a portare luce nel nostro mondo interiore, questa lotta resta latente. Può accadere anche, tuttavia, che in conseguenza di particolari eventi traumatici che accadono nella nostra vita quotidiana, questa contraddizione possa emergere sotto forma di disagio, malessere, e qui i sintomi di questo disagio vengono a essere l’espressione simbolica dei contenuti che vivono al di sotto della soglia della nostra coscienza ordinaria.
Il sole al contrario, sollevandosi sul mare, rappresenta il nucleo profondo della coscienza che, spogliandosi di ogni forma, trova in sé il fondamento del suo stesso essere. In quanto fonte di luce e calore – cioè di pensiero e volontà – strettamente congiunti fra loro, il sole è il fondamento stesso dell’autocoscienza, cioè della coscienza che sa immediatamente di se stessa, indipendentemente da ogni sostegno esterno che possa rifletterne l’attività.
Per usare un’immagine, è l’uomo che non ha bisogno del suo riflesso in uno specchio per sapere di se stesso, per conoscersi e percepirsi. L’uomo che veramente aspira alla conoscenza di sé, deve realizzare questa separazione: la separazione tra il sole e il mare, che si realizza mediante innanzitutto un processo di auto-osservazione, che è la capacità di guardare a se stesso come se si stesse guardando un’altra persona. Non si tratta di rinnegare se stessi, ma al contrario di assumere la propria personalità egoica come una veste coscientemente indossata, e non più come un ruolo imposto, inconsapevolmente interpretato. Se io posso guardare i contenuti che si agitano nella mia anima, allora essi non hanno più potere su di me. Piuttosto, sono io che posso decidere se lasciarli manifestare o imporgli il silenzio.
Si potrebbe dire perciò che l’uomo che è veramente uomo è come un sole che sorge dal mare, laddove invece l’uomo ordinario, non riuscendo a percepire la differenza tra sole e mare, chiama “io” la mescolanza caotica di questi due che, stando al quadro immaginativo che stiamo evocando, corrisponde al riflesso della luce solare sulle acque del mare. Riflesso tremolante e incerto, continuamente mutevole, esattamente come mutevole è la nostra percezione dell’io.
Un tale “io” non solo non è libero, in quanto meccanicamente determinato dalle componenti psichiche della personalità che abbiamo assorbito dall’ambiente circostante, ma non è mai neppure capace di pensare cose nuove, di intravedere nuovi spazi, nuove possibilità. Ed è così che la vita dei più trascorre, con la costante ripetizione sempre delle stesse vicende, sempre delle stesse esperienze, che ogni volta mostrano una forma diversa ma hanno un contenuto simile.
Quante volte abbiamo sentito alcuni maledire il destino, perché si trovano a dover rivivere le stesse situazioni e incontrare lo stesso tipo di persone, e quindi a commettere sempre gli stessi errori. No, non è il destino, ma semplicemente il nostro lasciarci vivere dalla vita, l’abbandonarci a essa come foglie in balia del vento.
Se vogliamo veramente essere padroni della nostra vita, capaci di un’azione pura che non sia il mero riflesso meccanico di quello che si agita dentro di noi, dobbiamo distaccarci da noi stessi, “separarci”, accedendo a quella fiamma che è la pura consapevolezza, e questa deve cominciare a manifestarsi in ogni atto della nostra vita. L’uomo che accede a questa scintilla di consapevolezza non deve più percepirsi come uno spettatore del mondo, ma deve iniziare a percepire che tutto ciò che è fuori di lui è, esattamente come in un sogno, la proiezione del suo mondo interiore.
Per questa ragione, più l’uomo resterà in balia dei turbini del suo inconscio, e più la realtà che dovrà affrontare sarà turbolenta e caotica. Sarà la prigione perfetta che egli stesso si è costruito. Più l’uomo, invece, eleverà la parte superiore della sua anima a contatto col sole della coscienza profonda, e più nel mondo fluiranno ordine e armonia.
Questo discorso non è un’astrazione e deve essere chiaro a chi oggi si propone di fare politica, laddove a questo termine sia restituita la sua antica dignità. L’azione politica non è l’organizzazione manageriale della comunità, della vita collettiva: la dimensione più alta della politica, infatti, non sta nel tracciare una rotta, ma nel comprendere i motivi che ci spingono a metterci in viaggio.
Chi è convinto che l’uomo altro non sia che una specie animale, vagamente più evoluta, non farà che costruire un mondo-pollaio. Se invece si riconosce che nell’uomo si manifesta la bellezza della lotta tra il profondo anelito al trascendente, all’universale, e il bisogno della centralità dell’io, della coscienza individuale; allora ci si renderà conto che questa bellezza è la vera molla che ispira l’arte, la politica, l’architettura, e ogni aspetto della dimensione umana, orientando la vita dell’uomo verso un piano in cui la dimensione orizzontale si realizza nell’intersecarsi con la dimensione verticale dell’esistenza. Esattamente come in quel supremo esempio di bellezza architettonica rappresentato dalle grandi cattedrali gotiche, dove la vita profana e quella spirituale si intersecano in una vivente concezione del sacro.
Se resteremo in balia delle pulsioni istintive che si agitano nel nostro inconscio – in altre parole, della prospettiva egoica – allora il mondo che proietteremo intorno a noi sarà un mondo dominato dalla logica mercantilistica, che si esplicita non solo nel dominio dell’economia su ogni altra attività, ma perfino in ogni altra aspetto della vita umana, facendo sì che la logica dell’usura, dell’interesse, penetri perfino nell’ambito della relazione tra uomo e uomo; per cui non ci si chiede più che cosa possiamo dare all’altro, ma sempre e solo che cosa possiamo prendere dall’altro.
Se invece noi lavoriamo per trascendere la dimensione egoica, per entrare in contatto con la parte superiore dell’anima, lì dove splende il sole della coscienza pura; allora il mondo intorno a noi sarà lo specchio di questo ordine e armonia interiori.
[in copertina: Michail Aleksandrovič Vrubel’, Il demone seduto nel giardino, 1890]
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