Facendo un bilancio di questa campagna elettorale che va consumando i suoi ultimi rantoli, c’è una cosa che accomuna i cattivi del “Sistema” e i buoni dell’ “Antisistema”: la formulazione, a poche ore dall’apertura delle urne, di “appelli al voto” che tradiscono un certo nervosismo. Ε sì, perché buoni e cattivi discordano su tutto, ma condividono i seguenti assunti: votare è importantissimo, ogni singolo voto conta tantissimissimo, chi non vota è un pessimo cittadino, quando non un farabutto, una canaglia, un sabotatore più o meno consapevole al servizio di questo o di quello. Su quest’ultimo punto si registra in verità una certa difformità di vedute: per quelli del “Sistema” a promuovere l’astensionismo sarebbe il supercattivo Putin (con Repubblica che strilla alla “guerra ibrida” con “bombardamento digitale di fake news”), per quelli dell’ “Antisistema”, invece, a spingere per la desertificazione elettorale sarebbe il Sistema stesso con le sue lingue biforcute.
Così, da un lato troviamo, pescando nel mazzo, lo spot che invita a “vivere la democrazia” promosso dall’europarlamento (trama: alcuni vegliardi, fra i quali un sopravvissuto ad Auschwitz, una reduce della Primavera di Praga, un irredentista lettone ed un italiano farneticante invitano i nipoti ad andare a votare), l’appello al voto dei vescovi europei (i quali riconoscono, bontà loro, che “l’Ue non è perfetta”) e l’appello al voto della CGIL (la quale, oltre a chiedere “alle lavoratrici ai lavoratori di respingere l’estrema destra”, rileva che”Negli anni più recenti, davanti alle crisi generate dalla pandemia da Covid-19, le istituzioni europee hanno saputo reagire con intelligenza e lungimiranza.”); dall’altro lato della barricata, fra gli impavidi che combattono il Sistema, gli appelli diventano invece invettive contro gli astensionisti, i quali sarebbero “infiltrati del nemico” pronti persino a “sputare sulla Costituzione” e via ringhiando, mentre l’unica speranza di far prevalere il Bene risiederebbe nel votare in massa i nostri paladini e farli entrare nei palazzi di Bruxelles e di Strasburgo, dove spaccheranno tutto a beneficio dei popoli umiliati e offesi; infine, troneggiano i ripetuti, accorati appelli al voto del Sommo, Inattaccabile e Divineggiante Mattarella, il quale ha prima invocato la mobilitazione elettorale assieme ai capi di Stato di Austria e Germania (“Chi mette in dubbio i principi democratici mette in dubbio l’Ue”) e poi, in occasione delle celebrazioni del 2 giugno, ha fatto l’appello degli appelli appellandosi alla “sovranità europea” che verrebbe “consacrata” con le imminenti consultazioni, dichiarazione che ha suscitato l’ira del leghista (già “antisistema” pure lui) Claudio Borghi, il quale ha osato invocare le dimissioni del Sommo, facendo “insorgere le opposizioni” e ravvivando una soporifera campagna elettorale: alla fine, queste variazioni nella sceneggiatura porteranno alle urne altre migliaia di cittadini “suggestionabili”.
Le invettive minacciose contro gli astensionisti rappresentano l’ultima arma (spuntata) adoperata dagli alfieri dell’antisistemismo elettorale per accalappiare qualche “indeciso” dell’ultima ora. Costoro non si capacitano di andare a sbattere ogni volta contro un muro di gomma: è proprio fra gli italiani più “consapevoli” ai quali loro si appellano che si è venuta a creare, dopo il marasma degli ultimi anni, una frattura insanabile con le “istituzioni” di ogni ordine e grado e con le ritualità ad esse associate, prima fra tutte quella legata al momento elettorale. Di fatto, gli “antisistemici” stanno già mettendo le mani avanti, esattamente come fecero in occasione dell’ultima disastrosa tornata elettorale: il loro fallimento sarà dovuto all’astensionismo ed agli “infiltrati del nemico”. La loro pochezza è tutta qua .Per loro, “fare politica” significa partecipare alle elezioni e andare in tv, non necessariamente in quest’ordine.
La Repubblica Italiana non esercita alcuna forma di sovranità, né sul suo territorio né sui suoi cittadini. Le massime cariche politiche hanno un margine d’azione assai limitato (per usare un eufemismo): devono seguire l’Agenda e basta. Il sistema politico-elettorale è congegnato in modo tale da impedire la rappresentanza di ogni “devianza” rispetto all’Agenda stessa, e se pure qualche “rivoluzionario” riuscisse ad entrare nei sacri palazzi sarebbe, nel migliore dei casi, ridotto all’impotenza. In questi famosi palazzi, in realtà, non alberga più alcun Potere: essi sono, tutt’al più, un palcoscenico minore nella Società dello Spettacolo Assoluto. Alla luce di queste considerazioni, che dovrebbero essere patrimonio di tutti quegli italiani “consapevoli” di cui si parlava sopra, ci si chiede che senso abbia prestarsi, in queste condizioni storiche e con questi rapporti di forza, ad una simile sceneggiata.Non siamo più nel Novecento: credere di determinare in qualche modo la politica del paese con le schede e le matite appare un atto di ingenuità colossale. Ε quindi, davanti ad istituzioni ostili ed organicamente corrotte, sottrarsi alla vacua ritualità elettoralistica diventa un obbligo morale, una tappa obbligata nel percorso di “consapevolezza”. Sia chiaro, se pure l’astensionismo dovesse raggiungere numeri stratosferici, non crollerà alcun “Sistema”. Si tratta, in effetti, di una situazione in cui si perde sempre: in uno dei due casi, però, non ci si rende complici di quelli che, invece, vincono sempre.
In un articolo scritto in occasione delle ultime elezioni politiche, avevo delineato una breve storia dell’astensionismo distinguendone quattro tipologie: l’astensionismo “di principio”, quello “di rigetto”, quello di “strafottenza” e quello “tattico”. Ne riporto qui le descrizioni a beneficio dei lettori. Il Libro bianco a cui si fa riferimento è uno studio sul fenomeno astensionistico commissionato dal governo nel 2022.
L’astensionismo di principio
Forma politicamente più “matura” di tutti i filoni astensionistici, questa tendenza è storicamente legata agli anarchici, i quali, rifiutando il meccanismo della delega e diffidando di tutte le “istituzioni borghesi”, non partecipano, appunto, “per principio”. Nella lunga e tumultuosa storia degli anarchici, va detto, ci sono pur state delle eccezioni, dalle candidature di “protesta” di Amilcare Cipriani e Francesco Saverio Merlino alle elezioni del 1882 e successive (proprio negli anni in cui, con la “conversione” di Andrea Costa al socialismo e la sua elezione in parlamento, maturava la frattura fra anarchici e socialisti in Italia), fino all’appoggio informale al Fronte Popolare nelle “epocali” elezioni spagnole del 1936. Gli anarchici ottocenteschi, ad ogni modo, sono i nonni dell’astensionismo di principio; i nipoti, frantumati dalla collisione con la postmodernità, si ritrovano dispersi in mille babeliche tribù: sono, riprendendo la citazione dal Libro bianco, “quelli con posizioni radicali”, (“anche neo-autoritarie” ci aggiungono loro a sfregio) che non riconoscono alcuna legittimità al sistema politico, e ne rifiutano in toto le pratiche. Per questi astensionisti consapevoli, le elezioni sono una carnevalata, una truffa, uno strumento di distrazione. L’azione politica segue altre traiettorie. Gli astensionisti di principio sono pochi ed emarginati, ma nell’imminenza dei ludi elettorali si fanno sentire, consegnando ancora una volta le loro parole al vento.
L’astensionismo di rigetto
Straripante in questi ultimi vent’anni, l’astensionismo di rigetto accomuna uomini e donne delle più diverse estrazioni sociali, culturali e politiche. Figli più o meno legittimi del riflusso e della “fuga nel privato” degli anni ’80, i “rigettisti” hanno sovente alle spalle una o più scombussolanti delusioni politiche. Ebbri di cinismo, sguazzano nella consapevolezza che niente e nessuno potrà far vibrare un’ultima volta le corde della loro sensibilità ferita a morte. L’astensionismo di rigetto, consolidandosi, può diventare astensionismo di principio, ma più spesso si risolve in astensionismo di strafottenza.
L’astensionismo di strafottenza
Gli esperti commissari del Libro bianco, dopo non essersi fatti scrupoli a definire “alienati” quegli altri, descrivono gli astensionisti che rientrano in questo filone come “indifferenti”. Quella della meno eufemistica strafottenza, però, appare più appropriata come categoria.Giovani o meno, gli strafottenti hanno semplicemente altro per la testa, e della politica se ne strafottono solennemente. Ciò non vuol dire che non si trovino spesso ad onorare, a modo loro, la democrazia, televotando per cacciare questo o quel famoso da un’isola, da una casa, da un divano. A occhio, al contrario di quel che si afferma nel Libro bianco, sono assai più dei “rigettisti”. Solo qualcosa come “Chiara Ferragni for president!” potrebbe “avvicinare alla politica” una (minima) parte di essi. [Quest’ultima frase risulta un po’ “datata”]
L’astensionismo “occasionale” o “tattico”
È quello di chi opta consapevolmente per il non voto in determinate circostanze. Una tradizione ormai trentennale vuole che tale posizione venga di solito associata ai referendum abrogativi, quelli per la cui validità è necessario il quorum della metà più uno degli aventi diritto, e nei quali dunque l’astensione assume un valore politico. A sdoganare l’astensionismo “tattico” fu Bettino Craxi, che invitò tutti ad andare al mare nel 1991, in occasione del referendum sulla preferenza unica alla Camera, forte del caso dell’anno precedente, quando erano stati respinti per mancato quorum, primi di una serie che si sarebbe rivelata lunghissima, i quesiti sull’abrogazione della caccia e dell’uso di pesticidi. Nelle tornate referendarie gli astensionisti “tattici” sommano il loro peso a quello degli altri filoni dell’astensionismo, massimizzando l’impatto politico delle loro scelte. Associabili a questa categoria sono anche gli astensionisti “intermittenti” o “selettivi”, quelli che non partecipano in occasione di elezioni considerate poco importanti: le percentuali più basse si registrano, oltre che per le europee, per le regionali e, ove previste, le circoscrizionali o di quartiere.
Nella società spappolata in cui ci troviamo a vivere, l’astensionismo prevalente è quello “di strafottenza”; nella prossima tornata elettorale, tuttavia, potrebbe dilagare proprio l’astensionismo “tattico”, alimentato da tutti coloro che non riconoscono alcuna legittimità all’europarlamento (sulla cui “inutilità” non è il caso di dilugarsi in questa sede) ed all’Ue nel suo insieme, insofferenza che non riesce a trovare uno sbocco più propriamente “politico” a causa del sistema elettorale “truccato”. e della miseria dei caporali “antisistemici”.
In definitiva,se non ora, quando astenersi?
GR
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