Giorgia Audiello
Avanti.it
Nel contesto della grave crisi che affligge il sistema sanitario italiano, in cui medici, personale ospedaliero, macchinari e attrezzature scarseggiano, il ministro della sanità Orazio Schillaci, oltre a pensare di ristrutturare il sistema in direzione digitale, ha annunciato anche la decisione di depenalizzare gli errori medici, ad esclusione del dolo, per limitare la cosiddetta “medicina difensiva”: quest’ultima consiste nella prescrizione di diversi esami di controllo preventivi, volti a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per la cura del paziente in caso di denuncia. Secondo Schillaci, si tratterebbe di un approccio sbagliato che contribuisce unicamente ad ingolfare le strutture aumentando le liste d’attesa. Il ricorso alla medicina difensiva si è reso necessario anche a causa delle gravi carenze delle strutture sanitarie che riguardano personale, spazi e attrezzature. Guido Quici – presidente del sindacato dei medici della Cimo Fesmed – ha spiegato che «la carenza di medici e di macchinari, i turni sempre più massacranti e le continue richieste di prestazioni, aumentano ovunque il rischio di una diagnosi sbagliata o di una cura non corretta. E così alla fine per i camici bianchi il timore di commettere errori rende la giornata ancora più pesante. […] per evitare comunque possibili errori e richieste di risarcimento insostenibili, spesso negli ospedali si fa ricorso ad accertamenti eccessivi sui pazienti rispetto al fabbisogno reale». Dunque, la soluzione per non far gravare sui medici un peso eccessivo non è quella di aumentare gli investimenti nel settore per far sì che il personale svolga al meglio il suo lavoro con una più bassa probabilità di incappare in errori, ma è quella di depenalizzare eventuali sbagli dovuti ai turni eccessivamente stressanti e alle mancanze del sistema sanitario nazionale (SSN).
La giustificazione per la depenalizzazione degli errori medici fornita dal ministro Schillaci è che il 97% delle denunce – che ogni anno sono circa 35.000 – si conclude con l’assoluzione. Tuttavia, vi è il rischio che la depenalizzazione rischi di rendere più superficiale la condotta dei medici già costretti a lavorare in condizioni non idonee. Il punto è che si pretende di colmare le lacune del sistema sanitario non destinandogli maggiori investimenti pubblici – come richiesto recentemente dalle regioni che, in ogni caso, sono state le prime a contribuire allo smantellamento del SSN – ma ricorrendo ad espedienti quali quello della depenalizzazione e mettendo in atto i progetti dettati dal PNRR sanità che vanno nella direzione della cosiddetta “sanità 4.0”: il PNRR punta ad estendere i metodi e le tecnologie della quarta rivoluzione industriale anche al sistema sanitario, trasformando di fatto anch’esso in un’industria. Alla base di questo tipo di sanità vi è, infatti, la telemedicina – ossia la cura a distanza – per l’applicazione della quale è necessario ricorrere a gruppi di tecnologie innovative quali l’Internet of medical Things, il cloud computing, i Big Data e i Data Science. Tuttavia, proprio l’ammodernamento in senso digitale della sanità risulta un modo per sottrarre ulteriori risorse a questo settore in nome di una presunta maggiore efficienza di tutto il comparto. Già nel 2020, un articolo del Sole 24 Ore annunciava potenziali ulteriori tagli di spesa pubblica a partire dal 2023, previsti nella relazione tecnica allegata alla legge di bilancio, in cui si leggeva che «dall’anno 2023 per effetto dei processi connessi alla riorganizzazione dei servizi sanitari anche attraverso il potenziamento dei processi di digitalizzazione, si prevede una minore spesa di 300 milioni di euro annui, con conseguente riduzione del livello di finanziamento». Lo stesso Schillaci, con riferimento ai pronto soccorso, ha spiegato che «Il sovraffollamento trova una forte causa nel fatto che molti dei pazienti potrebbero trovare una risposta in altri luoghi. […] Per questo dico che rafforzando la medicina territoriale, rafforzando la rete dei medici di famiglia e delle farmacie, rafforzando la telemedicina, una parte dei pazienti potrà trovare l’attenzione che cercano in luoghi alternativi al pronto soccorso. […]».
Elemento fondamentale per la realizzazione integrale della sanità 4.0 è poi il fascicolo sanitario elettronico che conterrà tutte le informazioni mediche dei pazienti, le quali saranno accessibili in ogni struttura sanitaria nazionale: si tratta di un completo stravolgimento del concetto di assistenza medica in direzione digitale e della smaterializzazione del rapporto paziente-medico, così come prevede il PNRR nella parte relativa al settore sanitario, cui sono destinati in totale 15,63 miliardi, pari all’8,2% del totale. Il programma si articola in due componenti: “Reti di prossimità, strutture intermedie e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale” ed “Innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale”. La prima componente dedica quattro miliardi di investimento alla casa come primo luogo di cura e alla telemedicina, intesi come strumenti per ridurre il ricorso alle ospedalizzazioni e ai pronto soccoso.
Il governo italiano sta, dunque, eseguendo alla lettera le direttive di Bruxelles imposte attraverso il PNRR nella vana speranza di compensare il mancato finanziamento del settore sanitario attraverso la digitalizzazione del comparto, sperando così di colmare le gravi lacune dell’ambito medico e ospedaliero. Si muove in questa direzione anche la stessa depenalizzazione degli errori medici derivante dal contesto fortemente inadeguato in cui sono costretti ad operare, esponendo allo stesso tempo i pazienti alla mancanza di risarcimento o di giustizia nel caso di errori. D’altra parte, con la telemedicina, il rischio è che venga a mancare il rapporto diretto tra medico e paziente, senza considerare che ad oggi è ancora pressoché sconosciuta l’efficacia di questo tipo di terapia medica. Il tutto va, dunque, inquadrato nel contesto più ampio della transizione digitale che è destinata a travolgere ogni ambito della vita, smantellando – in questo caso – il sistema sanitario pubblico e favorendo indirettamente la penetrazione sempre più pervasiva del settore privato nella sanità.
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