Riccardo Giordano
Avanti.it
La paura è la grande nemica di ogni ascesi interiore.
La paura di lasciarsi andare, di oltrepassare le colonne d’Ercole del già noto; la paura di sciogliere i vincoli che ci legano alle forme della personalità ordinaria, la paura di immergersi nell’ignoto, nell’universale.
In alchimia, tradizionalmente, si parla delle battaglie che l’anima deve affrontare quando si trova ad attraversare le incerte acque dell’opera al nero – la “nigredo” – che i mistici hanno chiamato anche “l’oscura notte dell’anima”, sottolineando la similitudine tra questa dolorosa esperienza e la morte.
La paura, però, può rivelarsi anche un prezioso alleato nel cammino verso la rigenerazione di sé: essa ci aiuta infatti a misurare con attenzione i nostri passi, ma soprattutto ci ricorda l’importanza di non smarrire mai il proprio centro profondo, senza il quale non può esservi rinascita, ma si avrebbe piuttosto una perdita di sé – se pure attraverso la dissoluzione in un oceano di luce infinita.
Per imparare a trattare con la paura, dobbiamo innanzitutto comprendere che essa, così come ogni altra emozione, è sostanzialmente energia: un fuoco che si accende in noi e che scaturisce dalla parte più profonda del nostro essere. Il nodo da sciogliere sta nel fatto che noi, ordinariamente, non abbiamo coscienza di questo fuoco puro, ma lo percepiamo solo quando esso si è ormai già manifestato nella nostra anima, rivestendo le forme, le immagini che in essa dominano.
Nelle emozioni, sostanzialmente, dobbiamo divenire in grado di distinguere l’aspetto essenziale da quello formale: il primo aspetto è identico in tutte, ed è la forza vitale; il secondo muta in consonanza con i diversi aspetti della vita psichica di ciascuno. Distinguere questi due aspetti è fondamentale, dal momento che l’emotività non è qualcosa che deve essere spento, ma piuttosto essa deve essere dominata e trasmutata. Questo può avvenire solo laddove si comprenda che non ci si deve opporre a essa, né la si deve fuggire, bensì bisogna immergersi nell’emozione con volontà cosciente.
La chiave sta dunque nel silenzio, intenso non come il “non parlare” con la bocca, ma piuttosto come il tacere della mente che, obbediente al nostro comando, non proietta più forme. Quando, mediante l’arte della concentrazione – di cui si è già discusso in precedenti articoli – si diviene capaci di questa sorta di immobilità interiore, si raggiunge quello stato di “verginità dell’anima”, e si può quindi osservare l’irrompere dell’emozione nell’anima, senza più farsi travolgere dal turbine psichico che essa genera.
Questo accade perché gli si toglie il terreno fertile dell’immaginazione: allora, la catena associativa si spezza, l’immagine non richiama ulteriore immagine, e il fuoco del profondo precipita in se stesso come il serpente che morde la sua stessa coda. L’inganno è spezzato, l’anima conquista la sua libertà.
È a questo punto che l’energia vitale può essere percepita nella sua nuda essenza, e ci si può collegare volitivamente ad essa, imponendole l’immagine che si è liberamente scelta.
Ciò che prima uccideva, per usare una espressione alchemica, sconquassando l’anima, ora può divenire il farmaco che le restituisce la sua antica mobilità, quel principio di libertà per mezzo del quale essa può tornare in pieno possesso delle sue facoltà.
Potrà sembrare strano, ma il segreto della volontà non è che nella immaginazione. Nessuno sforzo o tensione nervosa può servire allo scopo, piuttosto la calma e precisa immagine di ciò che si vuole raggiungere deve essere creata nella mente, pazientemente, ogni giorno, fino alla completa identificazione con essa.
Come la chioccia cova l’uovo – con un calore moderato e costante – così la cosa immaginata deve stare nella mente ed essere scaldata dal calore del proprio sangue, dalla ripetizione dell’atto immaginativo: non come qualcosa che si dovrà raggiungere in un futuro – atteggiamento, questo, che creerebbe fatalmente una distanza, tra me e la cosa “desiderata” – ma come qualcosa che si è invece già raggiunto, come qualcosa che è già realtà.
Attraverso questo sistema, si opera non più attraverso il sistema nervoso – che resta sostanzialmente inerte durante il processo – ma attraverso il sistema circolatorio: attraverso l’elemento eterico del sangue, e cioè attraverso il calore, il solo vero filo d’Arianna che conduce la coscienza nel centro del cuore, dove ha sede l’Io spirituale, eterno.
Come ci suggerisce l’immagine del XVI arcano dei tarocchi, dove vediamo una folgore che colpisce e distrugge una torre, l’uomo, in quanto coscienza individuale, verrebbe dissolto dal suo affacciarsi sull’ignoto. Questa verità procura in lui una terribile paura, che ne paralizza l’ascesi e il lavoro spirituale.
Come può allora l’uomo liberarsi dalle catene di questa paura?
Egli può farlo solo laddove coltivi, fin dall’inizio, un’immaginazione che lo porti a sentire non più il corpo come contenuto dell’anima, ma piuttosto il contrario: dobbiamo realizzare infatti che è la nostra anima, che si espande nell’universo, a contenere al suo interno il nostro corpo. Questa facoltà di immaginazione porterà l’uomo, piano piano, a spezzare la passiva identificazione con il corpo fisico.
Quando egli si sperimenta come una coscienza che ha il corpo fisico, ma che non è il corpo fisico, in questo modo la forte presa che ha normalmente su di noi la paura dell’ignoto può venir meno.
Ed ecco ciò che si diceva all’inizio: la paura diviene nostra alleata. È proprio la paura, infatti, a mostrarci la strada per il rovesciamento di questa polarità interiore, senza il quale rovesciamento nessuna azione spirituale può andare a buon fine.
In copertina: Anselm Kiefer, Nigredo-Morgenthau, 2012
Marina Siccardi dice
Molto profondo, la paura,che istintivamente porta alla fuga,affrontata guardata negli occhi osservata non porta alla morte ma.. all’evoluzione dell’anima. L’Anima si avvicina allo Spirito Eterno.
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