Riccardo Giordano
Avanti.it
La natura, dicono gli alchimisti, è il solo libro che contiene l’intero segreto della loro grande opera: la trasmutazione della materia oscura in pietra lucente.
Il processo ciclico di morte e rinascita, che si ripete ogni anno secondo il ritmo delle stagioni, nasconde il segreto della purificazione della materia: la progressiva separazione del sottile dallo spesso che, di grado in grado, conduce alla manifestazione della nuda essenza, liberata dalla forma più grossolana.
Il segreto di questo procedimento sta nel volgere l’attenzione non tanto alla materia in trasformazione, quanto piuttosto alla forza che la mette in moto. Per tal via si può giungere a percepire la vita come energia che pervade tutta la creazione, la forza unica che fa battere il nostro cuore così come fa fiorire la natura o pulsare le stelle. Questa forza, dagli alchimisti paragonata a un fuoco, è la chiave della rigenerazione interiore dell’uomo, ciò che gli permette di vivere consapevolmente, di essere artefice del proprio destino e non più foglia in balia del vento, marionetta nelle mani dell’istinto animale o del condizionamento sociale. Aspirazione dell’alchimista è liberare l’anima dall’incantesimo delle forme sensibili, per modellarla a immagine degli archetipi divini.
Il libro della natura mostra tutto questo all’uomo, ma certo occorre saperlo leggere.
È necessario, cioè, imparare a immergersi immaginativamente nella percezione sensibile così che la vicenda della natura non resti un semplice fatto esteriore, ma possa ritornare a essere esperienza cosciente dell’anima. Si tratta, in altri termini, di passare dal piano del divenire a una dimensione superiore dove il tempo e lo spazio, così come ordinariamente li pensiamo, non esistono più. Ciò che prima era un semplice accadimento fisico, deve ora tornare a essere un atto dello Spirito; l’atto attraverso cui la coscienza ritrova la sua intima connessione col mondo. Nei testi orientali leggiamo di Shiva che, impassibile, contempla la danza di Shakti intorno a sé; similmente, negli scritti alchemici troviamo la figura del Cristo al centro della ruota dell’anno: in entrambi i casi, l’allusione è alla coscienza quale “motore immobile” del processo rigenerativo.
È bene ricordare che quando si parla di immaginazione, ovviamente, non ci si riferisce certo al fantasticare scomposto, quanto piuttosto alla fredda capacità della mente di scolpire viventi immagini della realtà, per mezzo delle quali ciò che è entrato in noi attraverso la porta dei sensi possa continuare a vivere nell’anima, anche quando il dato sensibile è venuto meno. È in questo modo che, ascoltando – il più impersonalmente possibile – il riverbero interiore di tali immagini, si può giungere a contemplare le forze sottili che esse rievocano dalle profondità della nostra anima. Non bisogna mai dimenticare che, dal punto di vista dell’insegnamento ermetico, la conoscenza non è il ragionamento astratto intorno a un oggetto, ma la capacità di divenire l’oggetto stesso, di sperimentarne consapevolmente l’intima natura. Conoscere, in altri termini, corrisponde immediatamente a un cambiamento di stato, alla reintegrazione dell’oggetto conosciuto nel soggetto conoscente.
Il sonno della lunga notte invernale, il freddo dei mesi più bui dell’anno, evocano nella nostra anima un senso di smarrimento: la mettono dinnanzi ai limiti della condizione umana e le fanno sperimentare tutto il peso della solitudine in cui è confinato l’individuo. I più cercano di sfuggire a questa condizione tuffandosi nella frenesia del vivere materiale; altri, attratti da una prospettiva più spirituale, si perdono nella nostalgia di tempi lontani, delle lunghe e calde giornate, e attendono fiduciosi che il sole torni a illuminare le loro vite.
Pochi, se non pochissimi, attraversano questo gelido deserto di solitudine e accettano di fare i conti con se stessi, di guardare nelle profondità della loro “terra”.
È così che, assaporando il frutto amaro della morte, giungono a portare l’attenzione sul tepore del proprio sangue, e si accorgono che in esso è il segreto stesso della vita, intesa non solo come esistenza materiale, ma anche e soprattutto come vita dell’anima – come vedremo a breve.
Accorgersi del calore del proprio sangue, prenderne consapevolezza, è l’iniziale accendersi della scintilla dell’Io, il primo incontro con lo Spirito. Io sono sveglio, anche mentre tutto, intorno a me, dorme. Questo tepore, che ci raccoglie nella profondità di noi stessi, è il filo d’Arianna che, attraverso la via eterica del sangue, ci conduce alla fiamma del cuore.
La vita, si è detto, è calore. La coscienza, quindi, è calore.
Ogni sentimento, ogni volontà, così come i pensieri “intensamente” pensati, cioè la vita dell’anima, sono calore. Ordinariamente non ci facciamo caso, sempre distratti dall’immediato apparire psicologico, dalla forma, ma ogni sentimento accende in noi un calore.
È così che la carezza della madre, il bacio della persona amata, la presenza di un amico, accendono in noi un fuoco che vive segretamente nel tessuto eterico della nostra interiorità: noi non ce ne accorgiamo, ma la calma discende in noi, un senso di completezza che ci fa sentire un palpito d’eternità. Ma proprio perché non ce ne accorgiamo, non ne siamo coscienti, questo tepore fugge via e il sentimento si trasmuta nell’ombra di un freddo ricordo che tormenta l’anima.
Ecco dunque che, quando attraverso la consapevolezza del tepore del nostro sangue – per mezzo del quale siamo consapevoli di noi stessi, indipendentemente dal riflesso del mondo esterno – giungiamo nella rossa caverna del cuore, il fuoco che vi arde ci permette di incontrare realmente la presenza dell’altro: riconosciamo il suo fuoco attraverso il nostro fuoco.
Non si tratta di poesia, ma di qualcosa di profondamente reale. Solo chi può sentire se stesso, solo chi ha trovato il proprio centro, solo chi non ha più bisogno di appoggiarsi egoicamente a qualcuno, può veramente incontrare l’altro. Ecco perché è solo grazie al gelido tocco della solitudine, che ci offre la consapevolezza del tepore del nostro sangue, che possiamo giungere a realizzare l’Amore che è la fiamma che unisce, senza confonderli, due esseri in un solo essere.
La vicinanza fisica, allora, diviene il “rito” esteriore attraverso cui può essere celebrata l’unione di due o più anime. Quando i nostri padri, la notte del solstizio d’inverno, si radunavano attorno al fuoco – poi divenuto l’albero natalizio – non lo facevano solo per restare svegli nella notte più buia dell’anno, ma anche e soprattutto per saldare vincoli di fratellanza.
Chi ha compreso tutto ciò, chi lo ha interiormente realizzato e vissuto, si prepara alla primavera che viene. Egli sente il fuoco della sua coscienza, saldo nel centro del cuore, sollevarsi dalle profondità della terra, ascendere e riversarsi nel cosmo attraverso le porte dei sensi. Quel fuoco spirituale che in autunno è disceso nella terra – lì dove deve essere coscientemente ritrovato al solstizio d’inverno – ora ritorna nel cosmo, ridestando la natura dal sonno materialista a cui la ragione l’aveva condannata.
In effetti, per restare nel simbolismo alchemico, possiamo dire che l’uomo risvegliato è il Vaso in cui lo Spirito compie la sua grande opera, ovvero prende coscienza di Sé, giacché l’uomo è l’universo che guarda se stesso.
“Tu e la terra siete uno” è il segreto del Graal che deve essere realizzato da colui che aspira ad essere Re. Concludendo queste brevi e quindi, necessariamente, incomplete riflessioni, si può sollevare una considerazione che attiene all’ambito del vivere quotidiano e alla politica; che, in tempi di gravi cambiamenti come quelli che stiamo vivendo, deve necessariamente ritrovare il suo aspetto più nobile ed elevato.
Sulla base di quanto si è scritto, va rilevato come il dedicarsi alla propria ascesi interiore, al perfezionamento di sé, sia il compito primario che attende l’uomo di oggi. Questo compito non è una sublimazione del proprio egoismo, o un vezzo narcisistico, ma piuttosto il solo atto che può fondare un rinnovato senso della “comunità” non più intesa come stanco retaggio del passato o, peggio ancora, vuota retorica; ma come il cosciente riconoscimento di individui che percorrono lo stesso cammino.
In copertina: Paul Klee, Gioco delle forze in un paesaggio del fiume Lech, 1917
Maurizio dice
Bravo Riccardo,fa piacere leggere su un quotidiano qualcuno che parla di ascesi dei nuovi tempi.
So bene da dove vengono questi pensieri.
Luca dice
Grazie per avere condiviso questo bel testo.
Lorenzo dice
meno male che c’è ancora chi coglie l’essenza del vivere. grazie