L’Europa supera gli Stati Uniti nella fornitura di armi all’Ucraina. Nel paradosso dicotomico dei governi che giustificano l’invio di armi per la pacificazione del conflitto, risulta evidente, invece, l’obiettivo di farlo continuare ad libitum. Qualsiasi pista diplomatica viene sistematicamente smontata e, quando alcuni diplomatici si sono mostrati troppo “morbidi” e ragionevoli, sono stati fisicamente eliminati. Nemmeno le parole dell’ex cancelliere tedesco Angela Merkel, che ha dichiarato in un’intervista al quotidiano Die Zeit che “gli accordi di Minsk sono stati firmati col solo obiettivo di dare all’Ucraina il tempo di rafforzarsi”, sembrano aver riportato a più miti consigli. Secondo molti analisti geopolitici, che non hanno le fette di prosciutto davanti agli occhi, questo conflitto è destinato a durare perché il business è il conflitto stesso. Non conta chi abbia ragione o torto, conta che si combatta. L’industria bellica, che è alla base di quasi tutti gli stati occidentali, ha bisogno di guerre, di terrorismo, di conflitti, di scontri per potersi alimentare ed i governi, con la mediazione indispensabile dell’informazione globalista, servono solo a giustificare politicamente scelte ed azioni che altrimenti risulterebbero impopolari. E’ successo in Siria, in Iraq, in Afghanistan e l’elenco potrebbe continuare. Fino a quando l’industria bellica, con tutti i suoi gangli nei servizi segreti, nella criminalità organizzata, nel Dark Web, nei parlamenti, negli organi sovranazionali, continuerà ad “esportare” democrazia dalla cabina di un carro armato, rassegniamoci a vedere tante altre Ucraina in giro per il mondo. La guerra, che ci piaccia o no, è, a tutti gli effetti e con piena evidenza, un “prodotto del capitalismo” e, come tale, deve avere un mercato. E quel mercato, prima o poi, potremmo essere noi.
AD
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