Riccardo Giordano
Avanti.it
Il breve spazio che sta tra la nascita e la morte è un lampo di luce, che si accende in un oceano d’oscurità: un istante di consapevolezza che si affaccia sull’abisso dell’ignoto.
Cosa c’è stato prima che io nascessi, cosa ci sarà dopo la mia morte?
Nel tentativo di rispondere a queste domande, l’uomo si è sempre rivolto alla religione: confrontarsi con le vette del divino, infatti, serve a prendere coscienza della profondità del nostro interiore, esplorarne la memoria più antica e svilupparne le facoltà ancora sconosciute, rendendo ancora più luminosa e ampia quella scintilla di consapevolezza. I riti, i simboli sono le chiavi attraverso cui possiamo accedere a quella dimensione, di là dal tempo e dallo spazio, che i più chiamano “anima”.
Oggi, però, la religione appare un fatto assai diverso.
Il mistero ha lasciato il posto alla politica, all’interesse o, nel migliore dei casi, all’esercizio di un mero moralismo. Il prete è divenuto sostanzialmente un assistente sociale, un impiegato statale che quasi sorride dinnanzi alle questioni che riguardano le esperienze dell’anima: l’uomo è rimasto solo.
La magia del rito, la ritmica delle parole, la potenza delle immagini sono state sostituite dal ragionamento e dal sentimentalismo che, mescolandosi caoticamente, non fanno altro che allontanarci da noi stessi.
Non stupisce, allora, se il verso del Padre Nostro “non ci indurre in tentazione”, non venendo oggi più compreso, viene cambiato in “non ci abbandonare alla tentazione”. L’idea di un principio superiore che, nel suo primo contatto con l’uomo, lo tenta mettendolo alla prova – quasi come se fosse il diavolo – atterrisce l’animo del pavido borghese.
La Pasqua è il periodo ritualmente più intenso della tradizione cristiana.
Dalla celebrazione dei sepolcri, fino alla messa di resurrezione, è una lunga sequela di simboli che, vissuti in comunione con la rinascita primaverile, producono nell’anima un’intensa esperienza: il contatto col fuoco interiore che – ascendendo dal basso verso l’alto, dalle profondità della terra nella vastità degli spazi cosmici pullulanti di vita – dissolve le ombre cineree della notte oscura, permettendo il contatto con la luce dello Spirito.
L’immagine del chicco di grano che morendo nella terra genera una nuova vita, collegata al mistero eucaristico, risveglia intuizioni profonde. Non è un caso, infatti, che la passione e la morte del Cristo vengano celebrate di venerdì, nel giorno sacro a Venere e all’amore; giacché è proprio all’apice del movimento erotico che l’anima, sperimentando contemporaneamente gioia e terrore, si separa per un istante fugace dal fantasma dell’individualità, per affacciarsi sull’abisso dell’infinito. Il problema sta dunque nel prendere coscienza di questo attimo fuggente, nel vivere consapevolmente questa ebrezza.
Ulteriori riflessioni, collegate a quanto appena scritto, si potrebbero fare intorno al simbolismo della veglia pasquale, che richiama il tema della “veglia perenne” del mito cavalleresco (lo star svegli mentre tutto intorno a noi dorme e ci richiama al sonno) e all’accensione del cero nella chiesa avvolta nella più fitta oscurità. Ma più potente delle parole è lasciar agire dentro di noi le immagini.
Oggi tutte queste ritualità stanno venendo progressivamente abbandonate, in ossequio all’ossessione modernista della Chiesa attuale. Un processo degenerativo certamente accelerato dalle restrizioni della psicopandemia.
Questo processo di laicizzazione non riguarda, ovviamente, solo la Chiesa cattolica; e ad esso va aggiunto l’attacco che, da più parti, viene portato a tutte le autorità e le istituzioni religiose. Pensiamo anche alla recente vicenda che ha visto protagonista la massima autorità del buddhismo tibetano, il Dalai Lama, già da molto tempo coinvolto in vicende più politiche che spirituali.
Senza entrare nello specifico della vicenda, ciò che colpisce è che, da una parte, si tenta di screditare mediaticamente una figura oggi invisa alla Cina solo in quanto tale, per ragioni di opportunismo politico; dall’altro lato colpisce però anche la difesa fanatica compiuta, a priori e in ogni caso, da chi vede in questa figura il punto di riferimento per la propria vita spirituale.
Potrà forse sembrare provocatorio ciò che ora andremo a dire.
Teniamo presente, innanzitutto, che questo processo di laicizzazione e destrutturazione dei punti di riferimento religiosi viene compiuto dal potere in un’ottica di transizione transumanista, in quanto un uomo in balia del caos è un uomo più controllabile.
Le religioni, che originariamente nascono da un bisogno puro, e cioè dall’esigenza di tracciare un primo punto di incontro tra l’uomo e il sacro, col tempo hanno visto consolidarsi in misura sempre maggiore un’autorità politica ed economica. E qui c’è anche da guardare con sospetto a certo tradizionalismo guenoniano il quale, quando nell’Ottocento iniziò ad affermarsi la libera ricerca spirituale, si fece strumento di un tentativo di incarcerare nuovamente, di mantenere i liberi cercatori sotto il giogo di un’istituzione religiosa.
Tuttavia, per quanto possa sembrare paradossale, se l’uomo non si abbandonasse a questo processo, ma lo assumesse invece attivamente, questa distruzione dei principi spirituali potrebbe svolgere un ruolo positivo. Permetterebbe cioè all’uomo di essere infine padrone del proprio destino, come individuo che nella sua ricerca del sacro non deve più sottomettersi a una mediazione esterna (una tradizione, un guru, un maestro), ma deve da solo imparare a riconoscere le fondamenta di quei principi tradizionali, che possono essere di volta in volta assunti per la propria crescita personale.
È chiaro che questo discorso può risultare pericoloso, ma la pericolosità è tipica della via della ricerca, e l’uomo deve avere il coraggio di farsene carico. Altrimenti, noi vogliamo la libertà solo a parole, ma nei fatti cercheremo sempre qualcuno che con un bastone ci guidi; solo vogliamo sceglierci il pastore che più ci aggrada e si adatta alla nostra umoralità, un padrone confacente al nostro interiore.
Noi tutti abbiamo, naturalmente, paura della sofferenza.
Ci siamo detti contro il vaccino, ma quando cerchiamo un’autorità esterna che ci deresponsabilizzi, in realtà siamo alla ricerca di un “vaccino” per l’anima, che allontani da noi la sofferenza. Invece di capire che è proprio la sofferenza che ci fa crescere, e che deve essere trasformata in conoscenza.
Ciascuno, in questo processo, deve essere assolutamente responsabile di sé, e fare le proprie scelte in maniera autocosciente e libera, imparando a riconoscere i fatti e gli insegnamenti non più per l’autorità esterna che li riconosce e li valida, ma perché abbiamo imparato a riconoscerne da soli la forza e la verità, senza dipendere da un ipse dixit.
La capacità di seguire un percorso spirituale sta anche nello sbagliare, a patto di prenderne consapevolezza e riconoscere il proprio errore, rialzarsi e andare avanti; così come, quando facciamo cose buone, non dobbiamo inorgoglirci ma ciò deve essere uno stimolo per non fermarci e andare avanti.
Questo è il mistero della Croce (che secondo Fulcanelli sarebbe il crogiuolo in cui la materia viene messa in putrefazione), questo è il mistero della Via Crucis, che di lacerazione in lacerazione, di spoliazione in spoliazione, mette l’anima di fronte alla nuda essenza di se stessa.
In copertina Frieda Harris, L’Eremita (dettaglio) – Arcano IX dei Tarocchi di Crowley, 1940
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