Le iniziative occidentali sull’introduzione dei divieti di importazione di petrolio russo, del rigido tetto sui prezzi e dell’embargo dei prodotti raffinati russi hanno scosso il mercato petrolifero, anche se gli analisti sostengono che è ancora troppo presto per effettuare una valutazione complessiva dell’efficacia di tali sanzioni e del reale danno che apporteranno alle tasche della Federazione Russa.
Tuttavia, stando anche ai dati forniti dallo stesso governo russo, nei primi mesi del 2023 rispetto al 2022 le entrate dalla vendita di gas da parte dell’azienda di stato Gazprom e le entrate fiscali dalle aziende petrolifere, sono leggermente calate almeno a gennaio 2023 rispetto allo scorso anno, ma a febbraio c’è stato un aumento rispetto al mese precedente, con entrate in linea rispetto al febbraio dello scorso anno. In termini nominali, le entrate fiscali del mese di febbraio sono state pari a 521 miliardi di rubli (circa 7 miliardi di euro), rispetto ai 496 miliardi di rubli di gennaio. Quindi, nonostante il price cap e l’embargo occidentale, il governo russo non ha subito un durissimo colpo dalle sanzioni, diversamente da quanto ci si aspettava. Le maggiori aziende petrolifere al mondo, riunitesi in Texas, hanno detto che al momento “il mercato si trova in equilibrio” ma se la Russia dovesse tagliare la produzione, ci potrebbero essere degli scossoni sul mercato mondiale. Il dipartimento dell’energia americano, per bocca di un suo massimo funzionario, Amos Hochstein, si dice “contento dei risultati del price cap. E se la Russia dovesse tagliare la produzione, non crediamo ci possano essere grandi sconvolgimenti sul prezzo del petrolio”. In effetti, in risposta al limite imposto sui prezzi, all’inizio del mese la Russia ha dichiarato che a marzo avrebbe tagliato la propria produzione del 5% circa, vale a dire di 500.000 barili al giorno. Un taglio che potrebbe ripercuotersi in negativo (per noi, è ovvio) sui prezzi della materia prima, ma anche sui carburanti e i prodotti finiti derivati dalla raffinazione del petrolio.
Come sempre sulla questione, sia l’UE sia gli Stati Uniti fanno molta propaganda. Se i prezzi del petrolio schizzano alle stelle, allora la colpa è della Russia e della sua “criminale guerra”); se il prezzo cala, allora il merito è del tetto al prezzo che è in vigore da un mese, troppo presto per poterne valutare gli effetti a lungo termine. Ma i nostri governanti, oltre a dimenticare che da noi il prezzo di petrolio e, soprattutto gas, lo determina la speculazione – che ha effetti poi su bollette di luce e gas – fanno finta di non sapere che a determinare il prezzo di un prodotto non è l’acquirente, ma il venditore. E nel caso del petrolio, i paesi dell’Opec+ – tra i quali figura anche la Russia – possono decidere di comune accordo di ridurre la produzione per far salire i prezzi. E se l’Opec+ non è d’accordo, la Russia può decidere autonomamente di tagliare la produzione aumentando così il prezzo, così come ha già vietato l’esportazione di petrolio verso chi adotta il price cap. Senza dimenticare che dopo un anno, la storia delle sanzioni che funzionano non regge più; che i nostri politicanti dicano il contrario ci sta, perché fa parte del gioco delle parti. Ma se pure il popolo continua a credere a questa messinscena, nonostante un anno di rincari ed inflazione, allora la speranza di cambiare qualcosa si tramuta in disperazione.
EQ
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