Emanuele Quarta
Avanti.it
Con la sentenza di ieri della Corte di Cassazione francese che ha, ancora una volta, riaffermato il diritto degli ex terroristi a non essere estradati, è tornata alla ribalta mediatica la questione dei terroristi che ormai da oltre quarant’anni sono rifugiati in Francia. Il tema è delicato, sia da un punto di vista prettamente giuridico e processuale, sia da un punto di vista politico e diplomatico in relazione ai rapporti non sempre idilliaci tra la Francia e l’Italia. Ma procediamo con ordine.
Ieri la Cassazione francese si è espressa sulla richiesta di estradizione pendente su 9 terroristi italiani rifugiati in Francia da circa 40 anni. Nello specifico si tratta di Giorgio Pietrostefani, condannato a 22 anni di carcere come mandante dell’omicidio del commissario Calabresi (processo che già all’epoca in Italia fece sorgere dubbi sulla condotta della magistratura e sul modo in cui fu portata avanti l’istruttoria); scontati i primi due anni di pena, fu rilasciato perché stava per iniziare la revisione del processo; liberato, decise di espatriare in Francia da dove non ha mai smesso di professare la sua innocenza. Altri terroristi sono Valeria Petrella, condannata ad 11 anni per banda armata; Roberta Cappelli, ergastolo per associazione con finalità di terrorismo; Sergio Tornaghi, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Renato Briano, direttore generale della azienda Ercole Marelli; Maurizio Marzio, condannato a 5 anni per tentato sequestro; Enzo Calvitti, Raffele Ventura, Luigi Bergamin, Narciso Manenti e Giovanni Alimonti, i nomi degli altri. Questi nove terroristi non saltano fuori dopo un sorteggio, ma sono il frutto di un accordo nell’ambito dei più ampi negoziati sul Trattato del Quirinale firmato a fine 2021 fra l’allora premier Mario Draghi e il presidente Macron, al quale fu sottoposta una lista con più di 200 terroristi da estradare in Italia. I colloqui poi divennero risolutivi quando l’8 aprile il ministro della giustizia italiana dell’epoca, Marta Cartabia, si accordò col suo omologo francese Eric Dupont-Moretti, e tornò in Italia con una lista di nove nomi per i quali chiedere l’estradizione. Il 29 aprile, dopo la formale richiesta di estradizione da parte delle autorità italiane, la polizia francese con l’operazione ribattezzata “Ombre Rosse” ha arrestato i nove terroristi. Dopo l’azione della polizia, i nove hanno ovviamente fatto ricorso per la scarcerazione, in attesa del giudizio della Corte di Appello parigina sulla richiesta di estradizione. Nel giugno del 2022, la Corte di Appello aveva espresso il proprio no alla estradizione poiché – secondo la motivazione squisitamente giuridica della corte – gli imputati in Italia sono stati giudicati e condannati in contumacia, istituto procedurale che in Francia non esiste e per la quale l’Italia è stata più volte condannata dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), e non avrebbero dunque la possibilità di esercitare il diritto alla difesa in un nuovo processo. La Corte di Cassazione con la sentenza di ieri ha ribadito le motivazioni giuridiche espresse nella sentenza della Corte di Appello e ha aggiunto che “la quasi totalità dei richiedenti hanno vissuto in Francia per circa 25-40 anni, un paese in cui hanno una situazione familiare stabile, sono inseriti professionalmente e socialmente, senza più nessun legame con l’Italia, cosicché la loro estradizione causerebbe un danno sproporzionato al loro diritto a rispetto della vita privata e familiare”. Ancora una volta, dunque, la giustizia francese segue i principi della “dottrina Mitterrand” che dagli anni ’80 “protegge” i rifugiati politici italiani, anche quelli accusati di terrorismo.
Ma che cosa si intende con “dottrina Mitterand”? Con questa locuzione, ci si riferisce a quei principi politici – divenuti prassi giudiziaria – enunciati più volte da parte del presidente francese François Mitterrand su ispirazione del consigliere giuridico Louis Joinet. Storicamente la nascita di questa dottrina si fa risalire ad un discorso tenuto dal presidente al Palais des Sports di Rennes, nel 1985. In poche parole, Mitterrand disse che l’estradizione sarebbe sempre stata concessa per quei soggetti che fossero incontrovertibilmente legati a fatti di sangue, mentre per tutti coloro che avessero commesso crimini nell’ambito di una lotta politica e avessero mostrato ravvedimento tenendosi lontano da movimenti estremisti esistenti anche in Francia, l’estradizione non sarebbe mai stata concessa. E questo principio, mai formalizzato con una legge, fu anche ribadito in un successivo incontro fra Mitterrand e Bettino Craxi. La sinistra francese, gli intellettuali socialisti e comunisti francesi, hanno sempre espresso parere favorevole verso la decisione di Mitterrand di proteggere i terroristi perché negli ambienti intellettuali e politici di sinistra, veniva aspramente criticato il modo in cui la polizia italiana conduceva le operazioni anti-terrorismo e anche i procedimenti giudiziari considerati poco garantisti nei confronti dei diritti dell’imputato. Il tutto condito anche da una buona dose di fascino verso movimenti considerati di guerriglia al pari di quelli sudamericani. La dottrina Mitterrand rimase ufficiosamente in vigore fino al 2002, quando venne estradato Paolo Persichetti su richiesta delle autorità italiane che stavano indagando sulla morte di Marco Biagi, rivendicata dalle “Nuove Brigate Rosse”. Nel 2003 il Consiglio di Stato francese, il più alto tribunale amministrativo del paese, dichiarò la dottrina Mitterrand priva di valore giuridico, anche se nel caso di Battisti l’estradizione fu sempre negata anche dopo il caso di Persichetti.
Al di là delle motivazioni giuridiche della corte francese, il punto focale della questione è politico. Da una parte la Francia che con le sue motivazioni un po’ politiche e un po’ giuridiche – queste ultime necessarie per formalizzare le prime – ha sempre negato l’estradizione e, indirettamente, riconosciuto un valore politico agli atti, codice penale alla mano, ritenuti criminosi; dall’altra parte l’Italia che, lungi dal voler riconoscere valenza politica ad una stagione che ha visto scorrere tanto sangue, vuole anche a 50 anni di distanza imporre una giustizia che risulta tardiva e, per riprendere le parole dell’avvocato dei nove terroristi Irene Terrel, vendicativa. Il punto non è riconoscere o meno che questi soggetti hanno commesso dei crimini, fatto di difficile contestazione; il punto è riconoscere una valenza differente a dei fatti commessi in un epoca in cui in Italia si facevano saltare in aria le stazioni con il beneplacito dei servizi segreti o si piazzavano bombe nelle banche o sui treni, crimini per i quali ancora si attende di sapere i nomi degli esecutori e dei mandanti.
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