Riccardo Giordano
Avanti.it
Per chi ama avventurarsi nella terra del mito non certo per fuggire dalla realtà, ma piuttosto per restituirle un significato che la inquadri in uno scenario più ampio, Excalibur di J. Boorman è un capolavoro imperdibile.
Un film che offre non solo una sintesi perfetta della leggenda cavalleresca, ma anche e soprattutto notevoli spunti di riflessione per chi ha deciso di intraprendere il difficile cammino della conoscenza di sé.
Come per ogni creazione artistica, esistono diverse chiavi di lettura del film.
Quella di cui si tratterà in queste brevi – e quindi necessariamente incomplete – riflessioni identifica la terra oscura e “guasta”, il regno in balia del caos a causa delle lotte per il potere, con la nostra interiorità.
Basta osservarsi un poco, nel corso del vivere quotidiano, per accorgersi che anche noi siamo una terra divisa e caotica in cui i più diversi aspetti della vita psichica, mediante la violenza delle passioni, tentano disperatamente di fingersi l’io. È così che la nostra personalità ha più colori dell’abito di arlecchino e muta con la stessa frenesia di un mare in tempesta: la conseguenza di tutto ciò è un terribile senso di solitudine e di vuoto, lo struggimento per una patria perduta, per una terra ferma che ci permetta di sostenere lo sguardo di quella infinita eternità che ciascuno di noi è.
Occorre che sorga un re capace di portare, senza lottare, ordine e giustizia: occorre che sorga un centro unico e profondo di coscienza capace di reintegrare i diversi aspetti degli “io” in un’unica essenza. Colui che deve essere re, infatti, deve poter legittimamente impugnare l’antica spada del potere che, come ci viene ricordato nel film, deve servire per unire e non per dividere, per sanare e non per ferire: non è una lotta contro se stessi, non è il rifiuto dell’oscurità o del caos che ci portiamo dentro, ma la capacità di amare il nostro nemico, di penetrarlo con la luce della propria coscienza tanto da trasformarne l’inconscia meccanicità; è un cambiamento di polarità nella direzione della forza, ciò che occorre compiere.
Non a caso, ci viene mostrato che Artù nasce dalla lussuria di Uther sapientemente trasmutata dalla volontà magica di Merlino: il male non sta nelle cose, negli istinti o nelle passioni, ma nella coscienza che restando passiva dinnanzi ad esse se ne lascia travolgere invece di dirigerle.
“Il segreto di ogni vittoria sta nel non lottare”: questo è l’insegnamento che Merlino impartisce al giovane Artù quando, estratta la spada dalla roccia, molti cavalieri non vogliono riconoscerne l’autorità. Fuori è la guerra, mentre nella foresta, dove i due si sono rifugiati, cala la notte e con essa i fantasmi delle nostre paure più antiche.
“Cosa devo fare?” chiede il giovane re. “Dormi” risponde il vecchio mago, “riposa nell’alito del drago”.
Come il naufrago in balia delle onde più si agita per uscirne e più sprofonda, così anche noi quando siamo travolti dalle tempeste della vita dobbiamo imparare a non reagire: ogni sforzo, ogni tentativo di trovare una soluzione, non fa altro che tenerci ancora di più nella tempesta. Non dobbiamo mai dimenticare che, poiché il pensiero crea, più pensiamo a qualcosa e più le diamo vita, più le nostre energie vitali verranno vampirizzate da ciò che occupa la nostra immaginazione inconscia.
“Non lottare” non significa fuggire, ma spezzare la meccanica reattività dell’anima per aprirsi a un potere più grande, che tutto può e conosce: lo spirito. Questo agente superiore, che i mistici identificano in una figura divina, ha sede nella rossa caverna del cuore ed è il nostro Io superiore. Per entrare in contatto con esso dobbiamo, tuttavia, aver prima raggiunto il silenzio della mente, il quieto raccogliersi della forza del pensiero in un unico punto.
Questa immobilità interiore, questa quiete del sistema nervoso, è il principio della vera azione spirituale: ciò che gli orientali chiamano “agire senza agire” e che, nell’insegnamento ermetico, è stato rappresentato immaginativamente dal dodicesimo arcano dei Tarocchi, l’Impiccato, e dal simbolo della Vergine da cui nasce il Sole radiante o Christo. Si potrebbe, ancora, evocare la figura di Odino che, appeso all’albero Yggdrasill, riceve la conoscenza delle rune, della terra invernale, coperta di neve come il bianco mantello di Maria, che appare morta mentre in profondità è tutto un fermento di forze, le quali operano preparando la rinascita primaverile.
Artù, dunque, è l’Io spirituale che attende di nascere nel centro del nostro essere: lo vediamo raffigurato, in mille rappresentazioni sacre, come un bambino stretto al petto della madre – l’anima – che porta i segni della regalità: egli è il sole d’ariete che incomincia la sua ascesa nel cielo primaverile, un dolce tepore che occorre custodire nella coppa del cuore. Egli è identificabile anche con la figura del Re del mondo, Signore di pace e di Giustizia, il Melkisedek del racconto biblico, e poggia la sua autorità sul principio Tu e la terra siete uno. Questo è il segreto che non si deve mai dimenticare, pena la necessità di intraprendere un cammino di ricerca per ritrovare ciò che è stato perduto: il Graal.
La misteriosa coppa da cui è possibile bere il sangue redentore è il cuore, dove la coscienza risvegliata ritrova la sua identità con il mondo: chi vuole cambiare la propria vita, così come chi vuole cambiare il mondo, deve anzitutto cambiare se stesso. È il pensiero che crea la realtà; non certo il pensiero razionale, concettuale, ma il pensiero vivo, il pensiero del cuore, che gli alchimisti identificarono con l’espressione “luce astrale ignificata” e cioè una immaginazione potentemente vissuta nel fuoco dell’attenzione, in cui soggetto conoscente e oggetto conosciuto sono una sola cosa.
Questa luce mentale, materia plastica di cui sono fatti i pensieri e i sogni, deve essere riscaldata dal calore del sangue e, così, prendere vita. Per riuscire in questa impresa, e il film lo mostra benissimo, occorre la fiducia incrollabile di un puro folle (Parsifal) che dopo essersi purificato dalle acque del desiderio, dalla brama del possesso, comprende che la conoscenza si conquista per servire e non per servirsene: Qual è il segreto del Graal? Di chi è al servizio?” “al Tuo, mio Signore”. “Chi sono io?” “Tu sei il mio signore e re, tu sei Artù”.
È al servizio della parte più profonda di noi, dello spirito, che va compiuta l’impresa: non per servire gli interessi egoici. Non basta possedere la spada del potere, la forza che nasce dal collegamento con lo spirito, ma ad un certo punto del proprio cammino occorre raggiungere anche la coppa della comprensione, della “pietà”: a Excalibur occorre associare il Graal.
Ci sarebbero tanti altri aspetti da rilevare, ma lo spazio ristretto impedisce di approfondire oltre.
Tuttavia, ancora una considerazione deve essere spesa su due aspetti strettamente collegati tra loro: la spada imprigionata nella roccia e una misteriosa luce verde, che sempre accompagna le scene più importanti del film. Per comprendere questa correlazione, possiamo riferirci a quanto scrisse il celebre Gustavo Rol: «ho scoperto una tremenda legge che lega il colore verde, la quinta musicale e il calore. Ho perduto la gioia di vivere. La potenza mi fa paura».
In Gustavo Rol: la vita, l’uomo, il mistero di Maurizio Ternavasio, a proposito della visualizzazione della luce verde leggiamo: «in quel momento si sentì pervadere da una sensazione di calore che stava irradiando alla base del cranio e, al contempo, gli parve di sentirsi trasfigurato, come se il suo io avesse ceduto il passo a un io diverso, più completo, capace di vibrare sull’onda creativa del cosmo».
Verde è il colore che, tradizionalmente, si attribuisce a Venere nonché all’eros, da un lato, e alla luce astrale dall’altro; ed è la chiave, quindi, per passare dal visibile all’invisibile, dal noto all’ignoto, operando creativamente in sé e nel mondo. In questa luce verde vibra la potenza della immaginazione, in essa si muovono le larve e gli spettri delle concupiscenze più sfrenate, che si deve imparare a padroneggiare.
Essa, però, è anche il filo d’Arianna che occorre seguire per giungere a quel mondo delle Idee dove vivono gli Archetipi della realtà, fino alla sorgente della pura luce dove, nel candore più splendente, ogni forma si risolve in pura presenza.
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