Riccardo Giordano
Avanti.it
Tutti ricordiamo le parole che accompagnano la scena principale di Blade runner, capolavoro noir di Ridley Scott, quando l’androide salva il poliziotto che gli stava dando la caccia: “Io ne ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi; navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire”. Queste parole, poeticamente evocative, sono la chiave per comprendere un film che, di là dalla trama fantascientifica, vuole essere una potente meditazione sul tema della morte e, quindi, sul significato più profondo della vita. Un film che, attraverso un clima onirico reso ancora più evocativo dalle splendide musiche di Vangelis, ci obbliga a fare i conti con una realtà distopica, esattamente quella in cui ci troviamo a vivere, in cui la vita, ridotta alla mera sopravvivenza biologica, è dominata dalla reattività, dalla incosciente esecuzione di un programma preimpostato, esattamente come accade a una macchina – in questo senso, siamo già in pieno transumanesimo. Perché gli androidi, invece di sfuggire a chi gli da la caccia, rischiano nel tentativo di tornare, in una sorta di viaggio iniziatico, alla sorgente che li ha programmati (la Tyrell Corporation, il cui motto è “più umano dell’umano”)? La risposta a questa domanda ci permette di intuire il significato più alto della vita umana: il tentativo eroico, poiché si tratta proprio di una lotta contro i mille condizionamenti (consci e inconsci) che determinano la nostra personalità, ciò che ordinariamente chiamiamo “io”, e che in realtà non è altro se non la maschera che ci è stata messa sul volto per impedirci di vedere il nostro volto. Si, l’uomo è il prodotto dell’ambiente in cui si trova a vivere, è la spugna che ha assorbito parole e gesti, ma lo è solo perché, dimentico di sé, si è lasciato passivamente condurre dalla vita come una foglia in balia del vento. Se siamo ciò che siamo, se ci ritroviamo a vivere sempre le medesime vicende, ciò accade per la nostra inerzia, per la pigrizia che tentiamo di nascondere sbraitando, inutilmente, contro un nemico esterno che ci ha resi schiavi. Allora ce la prendiamo con lo stato, con la società, con la vita, con il destino, in alcuni casi con Dio: tutto pur di non guardarsi dentro, pur di non uscire dalla passività di una esistenza meccanica e assumersi la responsabilità di cambiare, di essere responsabili delle proprie scelte e dei propri pensieri.
“… e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia”: ecco il primo lampo della coscienza che permette di uscire dalla condizione di sogno. Ciò che fa dell’uomo veramente un Uomo è la consapevolezza di esistere, che egli non è il frammento di un tutto indistinto, ma individuo che preserva la memoria di sé anche quando si relaziona con l’altro, con ciò che è più grande di lui. Questo, in effetti, è il segreto dell’Amore che, come ci ricorda l’insegnamento ermetico, è la forza che unisce senza confondere, che fa di due anime una sola anima senza che tuttavia nessuna delle due perda la precisa coscienza di sé. Amare non vuol dire annullarsi nell’altro, così come conoscere non vuol dire dimenticarsi di sé nella evidenza della cosa conosciuta, o agire lasciarsi trascinare dall’azione. Dinnanzi al grande mistero della morte, che pone l’uomo dinnanzi all’abisso di ciò che sta di là dal tempo e dello spazio, dinnanzi all’enigma dell’infinito e dell’eternità, l’uomo non deve annullarsi come chi si abbandona al sonno, ma piuttosto deve reintegrarlo come dimensione di profondità della propria coscienza, come universale (Dionisiaco) a cui fa da centro l’imperturbabile centralità della propria consapevolezza (Apollineo). Tutto ciò che abbiamo vissuto, dalle esperienze più belle che ci hanno permesso di intravedere e quindi di assaporare la dimensione dell’eterno, a quelle più dolorose che ci hanno costretto nella solitudine della nostra individualità, sono le tappe che ci hanno condotto ad essere ciò che siamo e che, soprattutto, possono condurci a realizzare quella sintesi perfetta, quella integrazione tra le componenti più profonde della nostra interiorità – perennemente in lotta tra loro – che è la meta della trasmutazione alchemica così come della psicologia del profondo. Finché non comprenderemo l’importanza di questo passaggio fondamentale, resteremo prigionieri di una lotta che pone in sofferenza la nostra psiche, sempre lacerata dalla necessità di fare una scelta rinunciando, cioè spingendo nel campo oscuro che sta di là dalla soglia della coscienza, una parte fondamentale del nostro essere. In effetti, la lotta tra materia e spirito, tra individuale e universale, così come abbiamo visto e vediamo svilupparsi in tutti gli ambiti culturali che caratterizzano la nostra civiltà è la proiezione sul piano esteriore di un conflitto interiore che ci allontana dalla comprensione della realtà: spirito e materia non sono altro che i due volti di un’unica medaglia, sono aspetti e polarità di un unico centro che è la coscienza.
Chi è l’uomo? Chi è l’androide? Nei tempi in cui viviamo, in verità, non c’è alcuna differenza tra le due figure: entrambe, come detto, dominate dalla meccanicità. Tuttavia, in questo scenario dominata dalla legge di azione e reazione, irrompe un elemento che è di là da ogni legge: lo Spirito. Ad un certo punto Deckard, il poliziotto protagonista di Blade runner, fa un sogno: un unicorno che corre libero nel bosco. È attraverso i sogni, anzitutto, che noi possiamo entrare in contatto con la dimensione più profonda di noi stessi, con quello spazio che sta di là dall’individuale. Ed è da questa dimensione di profondità che affiorano bagliori di consapevolezza, quegli spiragli che ci permettono di gettare lo sguardo, seppur per un breve momento, in uno spazio che oltre la linea della percezione sensibile: in questi momenti si intravedono le spiegazioni ai piccoli e grandi problemi che affliggono la mente, ma anche le domande che si trasformano in quella struggente nostalgia, che affligge l’animo di alcuni esseri inquieti, che avvertono l’impulso a mettersi in viaggio verso un “luogo” lontano, che sentiamo profondamente familiare seppur non riusciamo ancora a metterlo a fuoco nella nostra memoria. Anche questo sogno è stato previsto? Questo sembra trasparire da un dettaglio del film, cioè gli origami che un altro dei personaggi costruisce di volta in volta per sottolineare i passaggi più importanti del vissuto del protagonista. A ben vedere, però, questo non cambia la prospettiva del discorso che si sta facendo: non è importante “come” l’elemento di rottura di livello si introduce nella nostra vita, ciò che solo e veramente conta è l’effetto che esso produce una volta che decidiamo consapevolmente di seguirlo. È così che attraverso l’amore e la pietà i due protagonisti, il poliziotto Deckard e l’androide Roy, escono dalla meccanicità che lo schema prevedeva nelle loro azioni e sperimentano la libertà: “io non so perché mi salvò la vita, forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto l’avesse mai amata… non solo la sua vita, la vita di chiunque, la mia vita. Tutto ciò che volevano erano le risposte che noi tutti vogliamo: da dove vengo? Dove vado? Quanto mi resta ancora? Non ho potuto far altro che restare lì e guardarlo morire”.
Luciano dice
Molto profondo. Nella vita vi è anche chi ci accompagna nei momenti dolorosi non lasciandoci soli. Questa compagnia fa parte di ciò che cerchiamo. È una volta trovata non la lasciamo più. O per lo meno è difficile lasciarla.
Grazie.
Caterina dice
E io che in un momento dolorosissimo della mia vita non ho avuto nessuna compagnia che mi aiutasse a lenire il dolore perché hanno pensato che fossi abbastanza forte per superarlo da sola devo pensare di non meritarmela?
Claudio Bertella dice
Roy è una “macchina”?
Forse lo era,ma la ricerca della risposta alle sue domande lo portano a ragionare sulla vita.
Egli nasce come una macchina da distruzione,ma la sua ricerca lo porta a capire ed amare la vita.Roy muore pensando di spegnersi come una macchina.ma l’amore per la vita,la vita di tutti,lo rende più umano di molti umani.Roy è morto realmente?