L’ex ministro della cultura, Dario Franceschini, con internet non ci sa proprio fare. Dopo il flop di verybello.it (ma che nome è?), il sito web di Expo 2015, creatura dello stesso Franceschini, lanciato nel gennaio dello stesso anno e durato solo una manciata di mesi (risale al 2 novembre 2015 l’ultimo tweet della piattaforma) con una spesa per le casse dello stato di oltre 35 mila euro, il 29 dicembre scorso è stata decisa la messa in liquidazione di ItsArt, dall’attuale titolare del dicastero della cultura, Gennaro Sangiuliano. La “Netflix belpaesana”, ideata durante il primo lockdown ed aperta nel 2021, è una piattaforma nata per compensare il mancato accesso allo spettacolo dal vivo e, allo stesso tempo, raggiungere un bacino di utenti nazionale ed internazionale anche dopo l’emergenza. Frutto di un accordo tra Cassa depositi e prestiti (socio di maggioranza) e la piattaforma di entertainment Chili S.p.A., un’azienda italiana operante nella distribuzione via internet di film e di serie TV, fondata a Milano nel giugno del 2012, che vede tra i soci fondatori Stefano Parisi, candidato, sconfitto da Giuseppe Sala, a sindaco di Milano per il centrodestra nel 2016, il portale è attivo dal 31 maggio 2021, live e on demand, con contenuti “esclusivi” (mah, alcuni contenuti risultano disponibili gratuitamente, per esempio, su RaiPlay) in Italia e all’estero per “celebrare e raccontare il patrimonio culturale italiano in tutte le sue forme e offrirlo al pubblico di tutto il mondo”. I numeri sono impietosi: 20 milioni di euro spesi da “Pantalone”, di cui 7,5 milioni nel solo 2021 a fronte di appena 246 mila euro di ricavi nello stesso anno, e solo 141 mila utenti registrati. “ItsArt è un pozzo senza fondo, va assolutamente rivisto tutto il progetto“, aveva dichiarato, all’indomani della pubblicazione del bilancio, lo scorso giugno, il capogruppo della Lega in commissione Cultura alla Camera, Daniele Belott. Se, ancora una volta, lo Stato, per mano di Cdp, ha buttato via denaro pubblico, tuttavia il partner privato Chili, che avrebbe dovuto sborsare 6 milioni di euro, poi ridotti a un solo milione, per “entrare nell’affare”, ha visto rimpinguate le sue finanze dall’operazione, dopo otto anni di bilanci in perdita dalla sua fondazione, grazie all’incarico, a pagamento ovviamente, di svolgere la manutenzione ordinaria e straordinaria della piattaforma.
Parafrasando il nome della prima creatura franceschiniana, potremmo arrischiarci a dire che è stato un “Verydisastro”.
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