In Cile la destra incassa una clamorosa vittoria. Nella giornata di domenica 7 maggio si sono tenute le elezioni per eleggere i rappresentanti – 50 in totale più uno in rappresentanza dei popoli indigeni – della nuova Assemblea costituente che dovrebbe redigere ia nuova carta costituzionale, a seguito della bocciatura del primo piano di riforma, quello messo a punto dalla coalizione di sinistra guidata dal presidente Boric, respinto lo scorso settembre nel plebiscito nazionale. La vittoria della destra è stata particolarmente netta: il Partido Republicano (erede politico di Pinochet) ha ottenuto il 35% dei voti che gli consentono di eleggere 23 dei 51 consiglieri; si tratta dunque di una maggioranza assoluta dei seggi che verrà rafforzata dagli 11 rappresentanti eletti dall’altra coalizione di destra Chile Seguro. Gli eredi del pinochettismo, insomma, avranno 34 consiglieri, una solida maggioranza che garantirà loro la possibilità di redigere la nuova costituzione senza dover scendere a compromessi con la coalizione di sinistra Unidad para Chile che ha ottenuto soltanto il 28% dei voti, pari a 17 rappresentati eletti. Da segnalare anche l’enorme quantità di voti bianchi e nulli, circa 2 milioni in totale, segno di una grande disaffezione del popolo cileno verso la politica in un momento molto delicato per il paese, attanagliato dalla crisi economica e da una fortissima ondata migratoria.
Il leader del Partido Republicano José Antonio Kast, parlando davanti ai suoi sostenitori, ha dichiarato che questa vittoria è il segno “inequivocabile del cambio di rotta che i cileni chiedono da tempo. Ma non c’è niente da festeggiare” conclude Kast “perché bisogna porre fine ai problemi dei cileni, al loro bisogno di sicurezza”. Preoccupazione invece nello schieramento opposto: il timore è che la destra, forte di questa ampia maggioranza, possa farsi prendere dall’entusiasmo e dar vita ad una nuova costituzione ancora più neoliberale di quella oggi in vigore emanata, lo ricordiamo, nel 1980 dalla giunta militare guidata da Augusto Pinochet. E questo rappresenterebbe un gran paradosso, come fa notare la docente di scienze politiche all’Università di Santiago del Cile, Claudia Heiss. Infatti, lo scorso anno, la proposta di riforma della costituzione venne dal centrosinistra e dal presidente Boric. Il presidente e la sua coalizione di partiti di sinistra volevano cambiare una costituzione fortemente neoliberale che “vieta la creazione di uno stato sociale” come spiega la Heiss “per giunta vieta la istituzione di un sistema sanitario nazionale pubblico”. E sulla prima bocciatura, quella dello scorso settembre, spiega che “per molti, soprattutto nel mondo delle imprese, c’era la convinzione che Boric volesse abolire il libero mercato; in realtà voleva aggiungere solo dei correttivi ai principi neoliberali”. Con la vittoria della destra il rischio concreto è che “la costituzione attuale non venga riformata oppure ne venga approvata una ancora più neoliberale” lontana da quel sentimento popolare e politico che aveva portato ad un primo tentativo di riforma che, paradossalmente, fu fortemente osteggiato da chi oggi ha trionfato alle elezioni della Assemblea costituente.
Il risultato di domenica, dunque, ci consegna un fermoimmagine valido universalmente: giocare al gioco della classe dominante – le elezioni – attraverso le regole imposte dalla classe dominante – le procedure di revisione costituzionale – per riformare quel gioco si tradurrà sempre in una sconfitta per chi, con buona fede e grande sforzo, vuole ribaltare il Sistema in vigore.
Lascia un commento