Riccardo Giordano
Avanti.it
In una situazione di forte stress emotivo la prima cosa che possiamo osservare in noi è che, alterandosi i ritmi (respirazione e battito cardiaco), la coscienza penetra in uno stato simile al sogno e l’attenzione si ottunde.
Ci si viene a trovare, allora, in una condizione di passività e di massima ricezione rispetto a ogni condizionamento sia esterno che interno. Paura, rabbia, frustrazione, bramosia sessuale… sono le chiavi attraverso cui è possibile agire sull’uomo senza che egli, come nel gioco delle tre carte, neppure se ne accorga. Un’idea può essere imposta – ma, come ci insegna la storia, prima o poi si manifesta una reazione – oppure può essere “gentilmente suggerita” così che la volontà altrui possa essere scambiata per la nostra stessa volontà.
C’è una massima, in massoneria, che esprime perfettamente questo concetto: “ordo ab chao”, l’ordine nasce dal caos. È, infatti, nel momento del massimo pericolo, quando tutti i punti di riferimento riconosciuti vengono meno, che la coscienza diviene suscettibile di una trasformazione, di un cambiamento di stato. Questo principio, come ci ricorda tra gli altri lo storico delle religioni Mircea Eliade, è alla base dei riti di passaggio delle più antiche civiltà, così come delle cerimonie iniziatiche delle varie confraternite esoteriche.
Il problema che si pone, allora, è il seguente: chi produce questa trasmutazione è il soggetto stesso che agisce su di sé, mediante una sorta di sdoppiamento all’interno della propria coscienza, come avviene in determinate discipline esoteriche (si può leggere, a riguardo, la monografia La triplice via di Abraxa, al secolo Ercole Quadrelli, presente nel primo volume di Introduzione alla Magia quale scienza dell’Io che, per le edizioni Mediterranee, raccoglie gli scritti della rivista Ur apparsa negli anni venti del Novecento), oppure vi è un agente esterno che agisce nell’incoscienza del soggetto che lo subisce? Nel primo caso abbiamo un processo di evoluzione interiore, di più profonda consapevolezza di sé; nel secondo, invece, un atto di manipolazione per il quale, creato il problema, si provvede a offrire la soluzione che, guarda caso, ridisegna la società esattamente nella direzione degli ingenti investimenti di determinati centri di potere.
Ciò a cui abbiamo assistito in questi ultimi anni è stato il fiorire di tutta una serie di indicazioni su come si debba pensare, vivere, essere, sempre più invasive della libertà individuale che, partite come semplici idee, validate da presunta autorità scientifica, hanno poi assunto un carattere morale assoluto, tanto da additare quale esempio del male personificato chiunque non le condivida. La società, per come si sta tentando di ridisegnarla, non è più divisa tra “chi la pensa in un modo” oppure in un altro, e neppure tra chi pensa correttamente e chi no. Essa è divisa nettamente tra buoni e cattivi, tra chi si affida ciecamente alla narrazione ufficiale e chi invece, sottraendosi alla vulgata, si espone finanche al pericolo di essere degradato a cittadino di serie b, privato persino di diritti fondamentali della persona. L’autorità morale che ha sostenuto questi processi è la scienza “ufficiale”, quella comunità scientifica la cui indagine sembra sempre più pericolosamente intrecciata agli interessi di chi investe ingenti somme in questi stessi campi di ricerca.
L’unico modo veramente valido per uscire da questo sistema è agire su di sé, cambiare la propria condizione interiore e, specificamente, imparare a pensare consapevolmente. Ancora una volta la soluzione sta all’opposto di quanto proposto da certo spiritualismo che, quando in buona fede, si riferisce a un tipo d’uomo la cui costituzione interiore era molto diversa da quella attuale (come vedremo più specificamente in successivi articoli dedicati al passaggio dal mito alla filosofia, l’uomo antico, essendo dotato di una superiore facoltà immaginativa, aveva una coscienza meno centrata nell’organo cerebrale).
Non si tratta, infatti, di fermare il pensiero (che per noi, oggi, significherebbe entrare in stati di consapevolezza meno intensa e più simili al sogno) ma piuttosto di ripercorrerne il movimento – che ordinariamente si produce in noi come un meccanismo inconscio – per giungere alla sua sorgente lì dove esso non è ancora condizionato dalle proiezioni inconsce di passioni ed emozioni. Un tale pensiero, padrone di sé, realizza quella autonomia interiore che sta a fondamento della quiete dell’Anima; di quella impersonalità che ci permette di sperimentare consapevolmente sia i desideri che le emozioni, così che essi possano tornare strumenti di una conoscenza più profonda della realtà; ma, cosa più importante, ci pone al riparo di quella seduzione, che dall’esterno agisce incoscientemente su di noi, di cui si parlava all’inizio.
Il primo passo consiste nell’accorgersi che il pensiero, che pure crediamo profondamente nostro, in realtà è qualcosa che accade in noi, nella nostra testa, ma su cui, ordinariamente, non abbiamo alcun potere. È il ronzare caotico della mente, rispetto al quale siamo come naufraghi in balia delle onde, che determina il mutare continuo dei nostri stati d’animo, della nostra personalità, momento dopo momento. Resisi conto di ciò, guardato questo fluire, il passo successivo consiste nel portare ordine in questo caos: pensare ordinatamente tutto l’oggettivamente pensabile di un tema che si è liberamente scelto, cioè di qualcosa che non esercita alcuna suggestione su di noi. È la concentrazione del pensiero, intesa come la capacità di controllare il suo movimento passo dopo passo, senza distrazioni.
“La concentrazione, allora, non è lo sforzo cerebrale della mente intenta a scacciare le immagini e a tenersi ferma, ma è creare una corrente, un flusso di energia, una vibrazione che assume una direzione unica” (Abraxa, dal già citato Introduzione alla Magia, nel capitolo La magia della creazione, volume II).
A questo, di là dal suo scopo immediato, potrebbe condurre, ad esempio, la perfetta padronanza del puro ragionare matematico, se consapevolmente vissuto come metodo. All’apice di questo processo, che è un vero e proprio percorso, all’affermazione “io penso” corrisponderà lo sperimentare una più intensa e profonda coscienza di sé, uno stato di presenza inviolabile: il primo scalino per giungere alla vera conoscenza di sé.
“L’uomo conosce e in qualche modo domina il mondo mediante il pensiero. La contraddizione è che egli non conosce né domina il pensiero. Il pensiero permane un mistero a se stesso. La filosofia, la psicologia, traggono alimento da esso ma, da quando esistono, non mostrano di aver afferrato il senso del suo movimento, il contenuto ultimo del processo logico, del quale si giovano per le loro strutture dialettiche. Ritengono che il pensiero sia la dialettica, coincida con la dialettica: nasca e finisca come dialettica […]. Qualsiasi oggetto esige di essere compreso con il pensiero: il pensiero, invece, per sé non lo esige. Esso non necessita di altro pensiero, per darsi quale obiettivamente è. Il pensiero, che possa darsi come oggetto, non va compreso, ma percepito: si sperimenta come Luce predialettica”. Queste le parole di Massimo Scaligero, allievo italiano di Rudolf Steiner (fondatore dell’Antroposofia), tratte dalla sua opera Tecniche della concentrazione interiore.
Oggi, probabilmente, è giunto il momento di rovesciare lo schema che fa dell’uomo il prodotto della società. Le grandi ideologie del passato, dal fascismo al comunismo, hanno creduto di poter cambiare la società per poter poi, lentamente, plasmare un uomo nuovo. Nei tempi in cui viviamo, d’altro canto, la decadenza della politica – ridotta a mero tecnicismo per sfuggire al “pericolo della ideologia” – è tale che oggi spetta unicamente all’uomo di cambiare se stesso, mediante libera iniziativa interiore. Se egli non si rende padrone di sé e delle facoltà della propria anima, non può liberarsi dal giogo della mera reattività per divenire capace di una azione pura, che nasca veramente dalla propria interiorità; azione che si dona al mondo, se ne prende cura, senza chiedere nulla in cambio. L’azione, allora, diviene amore, nella consapevolezza che la conoscenza si conquista per servire e non per servirsene.
[in copertina: John William Waterhouse, Ulisse e le Sirene, 1891]
Arteseo dice
Bello questo articolo.vorrei aggiungere: L’uomo è nato con un centro, ma senza la conoscenza del suo centro. Questo non toglie che il centro e’ li presente o se preferisci latente, la conoscenza va guadagnata. Quel centro e il legame con Dio, e quel legame va scoperto perché non possiamo esistere consapevolmente senza quel legame che è il ponte fra noi e l’esistenza. Siamo come alberi che possono vivere grazie alle loro radici che sono ben diramate nella terra, come possiamo essere inconsapevoli delle nostre radici? Certo possiamo vivere e crescere, ma senza la consapevolezza non possiamo essere radicati. Perché quelle radici sono radicate nel tuo centro. La cosa più difficili si dice e’ amare noi stessi, perché dobbiamo apprendere e imparare ad amare il Dio che è radicato in noi stessi. Dobbiamo rispettarlo e comprenderlo, così facendo la nostra consapevolezza inizierà a svelare chi siamo e perché esistiamo. Quello è il vero inizio della nostra esistenza da dove possiamo incominciare ad amare il Dio che dimora in ogni cosa e in ogni dove. L’amore è la più grande forma di meditazione esistente.
Andrea dice
“Gli indiani (pellerossa-ndt) fanno sognare; o vengono sterminati. In entrambi i casi è una semplice questione di propaganda e condizionamento. L’essere umano è fatto così male che si lascia programmare / deprogrammare per tutto (razzismo / antirazzismo, inquinamento / ecologia, fallocrazia / femminismo, clima, religiosità /Vaticano II / ateismo, ecc.). Promemoria: “Negli anni 1830 e 1840, gli indiani cacciatori di bufali erano considerati un popolo romantico. Si veniva da ogni parte per vederlo. Il principe Paolo di Württemberg, il principe Massimiliano d’Austria e centinaia di altri grandi nomi europei hanno fatto il viaggio per andare a cavallo sul suo territorio, mangiare costolette di bufalo arrostite, osservare il Grande Cacciatore Rosso e condividere alcuni momenti della sua vita. Questo era prima che gli speculatori desiderassero la sua terra. Il Cacciatore Rosso divenne un selvaggio sporco, infido e assetato di sangue, un ostacolo al progresso…”.
https://nicolasbonnal.wordpress.com/2023/01/14/les-indiens-font-rever-ou-alors-on-les-extermine-voyez-mon-livre-dans-les-deux-cas-cest-une-simple-affaire-de-propagande-et-de-conditionnement-letre-humain-est-ainsi-mal-fait-quil-se/
Andrea dice
Diciamo che con l’avvento della comunicazione di massa per immagini in movimento è impossibile contrastare qualsiasi argomentazione basata sullo scambio di culture, di informazioni vere, di ragionamenti sofisticati. L’università, già ai miei tempi, era un luogo dove non vi era più formazione vera. La cultura passava sopra, o sotto, ma non dentro l’università. Sono passati quarant’anni da quando presi atto di ciò. Ora, non potete però passare da “Avanti!” ad “Avvenire”… Se c’è un luogo di rettifica della “forma comunicazione” non può che essere l’antico giornale del socialista massone Andrea Costa. Da “proletari di tutto il mondo unitevi!” non si può andare a “proletari di tutto il mondo andate in analisi!”. Il trattamento analitico costa molto e dura a lungo, ed anche la scorciatoia dell’amore conduce solo in parrocchia, con preti formati nei seminari dove regna il politicamente corretto e l’omosessualità.