Giorgia Audiello
Avanti.it
Il Grande Reset promosso nel 2020 dal WEF – un programma di rimodellamento totale degli assetti politici e socio-antropologici caratterizzato dai pilastri della digitalizzazione, della transizione ecologica, del controllo sociale e delle tecnologie della Quarta rivoluzione industriale – è un progetto di portata globale che, pur avendo il suo epicentro in Occidente, è fortemente radicato anche in Cina, paese che, non a caso, è considerato un modello dal fondatore del Forum di Davos, nonché ideatore del “Great Reset”, insieme a re Carlo III, Klaus Schwab. L’orientamento tecnocentrico di Pechino, che rivaleggia con gli Stati Uniti per il primato nell’Intelligenza artificiale (IA), e il suo sistema di crediti sociali improntato sulla sorveglianza tecnologica della popolazione, ne fanno, infatti, uno degli attori privilegiati per portare avanti il progetto del “Grande ripristino”, reso necessario – a detta dei suoi fautori – dalla pandemia di Covid 19, per risollevare il mondo dalla depressione economica e sociale che ne è scaturita. «Penso che sia un modello per molti paesi, ma penso anche che dovremmo lasciare a ogni paese la scelta su quale tipo di sistema applicare e penso che dovremmo stare molto attenti nell’imporre particolari sistemi, ma il modello cinese è certamente molto attraente per un bel po’ di paesi», aveva commentato l’ingegnere tedesco, propugnatore del transumanesimo, riguardo alla potenza asiatica. Non stupisce, dunque, che la Cina sia la nazione scelta per la quattordicesima edizione estiva del WEF che si terrà dal 27 al 29 giugno prossimi a Tianjin, con il titolo “Annual meeting of the new champions”, riunendo più di 1500 «leader globali» provenienti da imprese, governo, società civile e organizzazioni internazionali. IL WEF estivo si era già svolto nella nazione asiatica dal 2007 al 2019 e l’obiettivo principale di quest’anno sarà quello di incentivare la “transizione verde”.
Il Grande Reset prevede l’affermazione del cosiddetto “capitalismo degli stakehoders” (o delle parti interessate) per quanto riguarda il versante economico, da realizzarsi tramite i cosiddetti punteggi ESG che non sono nient’altro che una variante dei crediti sociali cinesi: i punteggi ambientali, sociali e di governance, o ESG, classificano efficacemente la responsabilità sociale e ambientale per entità che vanno dalle società private ai governi. Fattori come la dipendenza da fonti energetiche rinnovabili o la forza delle politiche sull’inclusione e la diversità possono influenzare i punteggi ESG. I punti ottenuti facilitano la possibilità, ad esempio, di ottenere prestiti e finanziamenti. Si tratta di un modo per controllare aziende e governi sulla base della necessità di promuovere la cosiddetta transizione ecologica, uno dei pilastri per dare vita al reset di Davos. Lo stesso sistema di crediti che il capitalismo delle parti interessate intende utilizzare per aziende e governi, è utilizzato con le persone in Cina e potrebbe essere esportato in altre nazioni che – come Schwab – vedono nella Cina un modello. Per capitalismo delle parti interessate si intende un tipo di capitalismo che non tiene conto solo dei profitti degli azionisti, ma dell’interesse collettivo che si riduce – in ultima analisi – al rispetto dei parametri ambientali imposti per contenere il cosiddetto riscaldamento globale. «Il capitalismo delle parti interessate, un modello che ho proposto per la prima volta mezzo secolo fa, posiziona le società private come amministratori fiduciari della società ed è chiaramente la migliore risposta alle sfide sociali e ambientali di oggi», ha scritto Schwab.
Un altro cardine del motore del Great Reset è la Quarta rivoluzione industriale che inciderà sull’ambito lavorativo e sanitario: entrambi i settori saranno rivoluzionati dalle tecnologie avveniristiche della Rivoluzione 4.0 che, grazie alla robotica, all’Internet of Things (IoT), al 5G e all’IA, contribuiranno, da un lato, all’automazione del lavoro in molti settori e, dall’altro, alla trasformazione della medicina grazie allo sviluppo di nuovi farmaci a mRNA, nuove terapie e nuovi vaccini, oltreché a nuovi meccanismi per rintracciare le infezioni e all’avvento della telemedicina. Anche l’ambito sanitario, del resto, serve al controllo della popolazione grazie alla digitalizzazione di tutti i dati medici e alla possibilità di imporre trattamenti sanitari o restrizioni in nome della salute globale e del “bene comune”. Proprio la digitalizzazione è l’altro tassello fondamentale del ripristino orchestrato dai sacerdoti di Davos: l’identità digitale di ciascun cittadino promette, infatti – potenzialmente – un controllo ineludibile sulla popolazione.
Sono tutti aspetti di cui il sistema cinese è già in buona parte dotato: in Cina, ad esempio, è già attivo il programma “Replacing Human with robots”, che prevede fabbriche e banche gestite unicamente da robot, ma anche una app, Pig An Good Doctor, che collega gli utenti con una rete di 40.000 medici in tutto il Paese e si avvale di un assistente di intelligenza artificiale per rispondere alle domande dei pazienti. Inoltre, Pechino sostiene la narrazione del cambiamento climatico e, con essa, l’Agenda 2030 dell’Onu. Al riguardo, ha avviato un programma, chiamato “Green is gold”, che mira a ridurre le emissioni di gas serra e la dipendenza dai combustibili fossili. Il governo cinese non tollera che il cambiamento climatico venga messo in discussione e per questa ragione, l’app cinese Tik Tok ha annunciato che tutti i video degli utenti contenenti “disinformazione” sulla crisi climatica verranno rimossi.
Il PCC, dunque, punta a sostituire Washington nell’ordine mondiale, delineando una strategia globale per perseguire ciò che viene definito lo “sviluppo dell’umanità” e che lo Stato-partito cinese chiama «un futuro condiviso per l’umanità». Espressione, quest’ultima, in cui è facilmente riscontrabile l’idea di adottare una governance globale: è proprio questa, del resto, la principale ambizione del WEF e uno degli scopi ultimi del ripristino progettato dalla finanza internazionale. La via cinese al Great Reset è, dunque, aperta, come dimostra anche la collaborazione di lunga data tra Pechino e il forum di Davos che ha dato vita a quello che il filosofo Giorgio Agamben ha definito “capitalcomunismo”.
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