Riccardo Giordano
Avanti.it
Secondo l’insegnamento di Rudolf Steiner, fondatore del movimento antroposofico e della scienza dello spirito, la nostra anima ha tre facoltà: il pensare, il sentire e il volere rispettivamente localizzate nella testa, nel petto e nella zona degli organi del ricambio (per intenderci, quelli legati alla digestione e alla riproduzione). Al pensiero è legata l’ordinaria coscienza dello stato di veglia e quindi il sorgere del senso dell’io. È nell’attività del pensiero che prendendo coscienza del mondo ci accorgiamo, per riflesso, di noi stessi. Va specificato, però, che lo stato di veglia di cui si parla non è la condizione di chi è veramente padrone di sé e delle sue scelte. La parola “io” che quotidianamente pronunciamo credendo di intendere con essa il nostro essere è, in realtà, il prodotto di tutta una serie di condizionamenti inconsci e di reattività istintive: rari sono i momenti in cui siamo pienamente padroni di noi stessi.
Per rendercene conto basta fare un esperimento semplicissimo: affidiamo una nostra scelta radicata nell’abitudine quotidiana – come, ad esempio, bere un caffè o accendersi una sigaretta – al caso, fermandoci prima di farla e lasciando che sia il lancio di una monetina a scegliere al posto nostro, e sperimenteremo contro quali possenti reazioni interiori dovremo combattere se la scelta determinatasi non corrisponde con ciò che l’inconscio desidera per noi.
Sostanzialmente ciò che chiamiamo io è una scintilla di consapevolezza che, come in un sogno, sorge a posteriori della esperienza vissuta. Noi siamo attori, in altri termini, che recitano un copione che non abbiamo scritto o scelto, ma che abbiamo inconsapevolmente assorbito dall’ambiente intorno a noi nel corso del tempo. È così che a volte ci sorprendiamo delle nostre stesse azioni, di ripetere ossessivamente sempre le stesse scelte, di rivivere sempre le stesse esperienze. E sentiamo, drammaticamente, di non poter far nulla per cambiare questa situazione, ci sentiamo impotenti.
Questa condizione di imprigionamento, tuttavia, dandoci la sensazione di un io ( o per meglio dire di tanti io quanti sono i diversi aspetti della nostra personalità inconscia) determinato, ci offre una struttura che in qualche modo ci mette al riparo dalla violenza di chi, dall’esterno, volesse imporsi alla nostra coscienza. Non dimentichiamo che è attraverso il pensiero razionale che l’uomo si è poco alla volta liberato dall’autorità del dogma, dall’ipse dixit. Oggi basta addirittura soltanto che qualcuno esprima un’idea perché l’interlocutore, preda della continua ansia di autodeterminazione della propria individualità distinta dagli altri, si senta in dovere di criticare, di fare i suoi distinguo (a volte assolutamente inutili e marginali) solo per poter dire “io”. Abbiamo certamente compreso, a livello cosciente, la necessità di liberarci da un comando esterno, non abbiamo ancora pienamente compreso invece l’importanza di liberarci dal tiranno che è dentro di noi.
La situazione cambia notevolmente quando dal pensiero volgiamo l’attenzione alla sfera del sentire e del volere. Se possiamo fare esperienza consapevole del pensiero, non possiamo fare altrettanto per quanto riguarda queste altre due facoltà dell’anima. Scrive Steiner che la vita del sentire si svolge in uno stato di coscienza simile al sogno, mentre per il volere occorre discendere in quel mondo oscuro che è il sonno profondo senza sogni: si tratta infatti di potenze impersonali in cui il senso dell’io viene progressivamente meno. Io conosco gli effetti che il sentire e il volere producono nel mio corpo, conosco le immagini che essi suscitano nella mia mente, ma non posso conoscere direttamente che cosa essi sono come, invece, potrei fare col pensiero (l’arte della concentrazione, come già si è avuto modo di dire, conduce a sperimentare il pensiero come forza che sta prima del suo darsi come concetto).
Ora mettiamo da parte la volontà, su cui si tornerà in un’altra occasione, e volgiamo tutta la nostra attenzione sul sentire. Come si è già avuto modo di dire citando Steiner, esso è localizzato nel petto – è qui che affettivamente lo percepiamo – dove hanno sede i ritmi del nostro corpo: il respiro e il battito cardiaco. Quando sperimentiamo un’emozione sono proprio questi ritmi che si alterano: il respiro si fa più affannoso, il cuore aumenta i suoi battiti e, per conseguenza, la coscienza comincia ad alterarsi, il senso dell’io vacilla e noi sprofondiamo in uno stato assai più simile al sogno di quanto già non lo sia l’ordinaria coscienza di veglia. In questa condizione il pensiero razionale è sostituito dall’immaginazione (i sogni) che è il linguaggio della nostra mente profonda. Attraverso le immagini il nostro interiore ci parla e noi possiamo parlare a lui.
Dunque, quando siamo in balia delle emozioni il nostro senso dell’io vacilla, la coscienza critica viene meno e ci ritroviamo in balia degli eventi come una foglia lo è del vento: a far da padrona è l’immaginazione che, esaltata nella sua capacità, ci rende particolarmente ricettivi ai simboli e alle immagini. Ci basti pensare a ciò che l’amore o la sofferenza producono nel nostro animo o alle sublimi creazioni che possono evocare in un artista, come pure all’ardore della devozione che permette al religioso di ‘vivere’ i simboli della sua fede o al genio di intuire percorsi di ricerca mai precedentemente esplorati. D’altra parte, chiunque si occupa di pubblicità o marketing sa bene come le emozioni siano la chiave per accedere all’inconscio dove con un’immagine si può piantare un seme che, lentamente, produrrà la trasformazione voluta senza che la vittima neppure se ne renda conto.
Attraverso le emozioni, in altri termini, noi ci apriamo più direttamente all’influenza del nostro inconscio sul nostro io cosciente, o di un’influenza esterna sul nostro inconscio: il problema è che se non controlliamo il processo possiamo finire preda dei contenuti della nostra psiche che autonomizzandosi assumono un carattere ossessivo e squilibrante, oppure dell’influenza di qualcuno che dall’esterno, consapevolmente o meno, agisce suggestivamente su di noi. Pensiamo a quelle relazioni il cui carattere focoso e tempestoso porta uno dei partner, il più debole, ad assumere alcune caratteristiche dell’altro. Pensiamo, d’altra parte, a tutto ciò che stiamo vivendo in questi anni tra pandemia, emergenza climatica ed energetica, guerra: è un vortice di emozioni che si susseguono con ritmo frenetico, che non lascia il tempo di respirare.
Paura, confusione, rabbia, frustrazione, senso di impotenza… il sistema e certa letteratura antisistema lavorano a braccetto nel trascinare gli uomini in un vortice emotivo. Tutto questo accade, scientificamente, con un solo scopo: parlare direttamente all’inconscio degli individui aggirando la loro parte cosciente (ogni pensare, oggi, è giudicato criminale o, dall’altra parte, esasperato al punto da risultare ridicolo e privo di contatto con la realtà) così che certe parole d’ordine, tradotte sapientemente in immagini, possano costruire la nuova umanità coltivata in laboratorio per il mondo che i cartelli globalisti sognano.
In questa condizione, il compito che spetta a chi vuole opporsi a tutto ciò è creare una distanza tra l’emozione e la coscienza che la sperimenta. «Io non sono le emozioni che camaleonticamente si susseguono nella mia anima; io ne ascolto la forza che diviene impeto, io le osservo mutare e alternarsi, ma io non sono le mie emozioni» e ancora «Nessuna gioia deve esaltarmi troppo, nessun dolore deve abbattermi oltre misura» così ci avverte Rudolf Steiner e con lui Roberto Assagioli. Questo fondamentale principio della disidentificazione dal flusso emotivo è presente già nell’antichità, così il filosofo Plotino nelle Enneadi: «Nell’uomo superiore le impressioni non si presentano come negli altri. Non raggiungono l’essere interiore. Siano le altre cose, siano sofferenze e lutti, suoi o altrui. Ciò sarebbe debolezza dell’anima. Se la sofferenza passa la misura, che la passi. La luce che è in lui permarrà, come quella della lampada di un faro nei turbini del vento della tempesta. Padrone di sé anche in questo stato, deciderà che v’è da fare».
È chiaro che per riuscire in questo compito occorre prima aver rafforzato il senso dell’io mediante la concentrazione del pensiero per mezzo della quale la coscienza, sperimentandosi di là dal pensiero, può cominciare a ritrovare il suo centro in se stessa: ed è questa coscienza centrata che occorre mandare incontro, come fredda acqua che tempera il vino, all’ardore inebriante delle emozioni. Allora i ritmi, respiro e pulsazioni cardiache, ritrovano il loro ritmo ordinario e, sorgendo l’equilibrio nel centro del cuore, non si è più in balia della esaltazione fantasmagorica della psiche né del condizionamento altrui, ma si può accedere consapevolmente alla propria mente profonda così da produrre il cambiamento che si è scelto di realizzare e che, nella condizione ordinaria, non si sarebbe in grado di ottenere. Questa è la chiave dell’alchemica trasmutazione del veleno in farmaco poiché, secondo l’insegnamento dei discepoli di Ermete, ciò che uccide è anche ciò che salva.
Mai come in questo tempo noi abbiamo bisogno di questa salvezza che non un dio, non il destino né la fredda meccanica della storia possono darci, ma solo noi stessi mediante cosciente determinazione interiore. La libertà è una conquista che dobbiamo ottenere nel profondo di noi, il resto scorre come naturale conseguenza di questa ritrovata dignità.
[in copertina Bruno Munari, Vetrini a luce polarizzata, 1953]
Tea dice
Grazie per questo articolo, spero che arrivi a tante persone. Mai come in questo periodo è importante mantenere sano e saldo il proprio centro.
Fabrizio dice
Che bella sorpresa leggere di Scienza dello Spirito in maniera chiara e soprattutto senza timore di non essere compresi. Grazie di cuore
giulia dice
grazie ad avanti e a riccardo
mi è piaciuto il metodo del lancio della monetina per stranire il nostro corpo di abitudini, fermandoci prima di compiere una azione “automatica” e amo questo modo di coniugare le cose del
mondo con l antroposofia che diventa in tal
modo vivente.
giulia
Emanuela dice
Grande chiarezza ed esaustive frasi che ci portano ad accettare questa prigionia di cui nn percepiamo le sbarre