Giorgia Audiello
Avanti.it
Si sono appena concluse le due sessioni annuali dell’Assemblea nazionale del popolo della Repubblica popolare cinese (RPC), il ramo legislativo del Parlamento di Pechino, in cui ad emergere è stata soprattutto la ferma volontà del PCC di perseguire la riunificazione della Cina con Taiwan e di combattere, dunque, le interferenze straniere che si frappongono al raggiungimento di questo obiettivo: in virtù di ciò, uno dei dossier più caldi è stato quello del confronto tecnologico, militare e diplomatico con gli Stati Uniti. Gli altri temi chiave del Congresso hanno riguardato la stabilizzazione e la crescita dell’economia cinese, nonché il raggiungimento dell’autosufficienza dal punto di vista tecnologico per non dipendere dagli USA e dai suoi alleati, oltreché dalla stessa Taiwan che è uno dei più grandi produttori mondiali di microchip. Lo stesso presidente cinese Xi Jinping ha delineato la strategia per «promuovere il ringiovanimento della nazione cinese su tutti i fronti», spiegando che bisogna «essere calmi e determinati, cercare il progresso tramite la stabilità, agire energicamente ed essere pronti alla lotta». La lotta è naturalmente quella con gli Stati Uniti che, benché abbiano riconosciuto il principio dell’Unica Cina attraverso la sottoscrizione di tre comunicati tra cui quello di Shanghai del 1972, continuano a sostenere militarmente e politicamente la frangia separatista di Taiwan al fine di mantenere il controllo sull’area contesa dell’Indo-Pacifico. Un punto che non fa che alimentare gli attriti con Pechino, la quale è convinta che la riunificazione con Taipei sia solo questione di tempo. Lo stesso Xi, dopo avere ricevuto uno storico terzo mandato come presidente della RPC, nel discorso di chiusura della prima sessione del quattordicesimo Congresso nazionale del popolo (Anp) ha asserito che «Realizzare la completa riunificazione della madrepatria è un’aspirazione condivisa da tutti i figli e le figlie cinesi, ed è la parte fondamentale del significato del ringiovanimento nazionale». Sul punto si gioca la partita geopoliticamente più rilevante del secolo, in grado di modificare gli equilibri dello scacchiere globale: “conquistata” Taiwan, infatti, Pechino avrebbe un accesso incontrastato al Pacifico diventando una potenza marittima e sottraendo a Washington lo scettro di potenza talassocratica.
Non a caso, secondo alcuni analisti, sia Washington che Pechino si starebbero preparando alla guerra e il presidente cinese ha direttamente accusato gli USA e i suoi alleati di voler accerchiare e reprimere la Repubblica Popolare. Il ministro degli Esteri, Qing Gang, è stato poi ulteriormente esplicito affermando che «se gli Stati Uniti continuano a proseguire lungo il percorso sbagliato […] ci sarà sicuramente un conflitto e un confronto». Al riguardo, un approfondimento del settimanale inglese The Economist intitolato “America e Cina stanno preparando una guerra su Taiwan”, fa presente che un tale conflitto avrebbe conseguenze serissime per il mondo intero: secondo lo scenario delineato dal settimanale britannico, espressione della finanzia anglosassone, i marines americani si starebbero preparando alla guerra lungo la “prima catena di isole” che comincia nelle Curili, comprende Giappone e Taiwan, procede verso la parte nordoccidentale delle Filippine e termina nel Borneo. Elaborata nel 1951, durante la guerra di Corea, dall’esperto di politica estera John Foster Dulles, la strategia della catena di isole (ci sono tre catene, tra cui la prima è la più importante) prevedeva di circondare l’allora URSS e la Cina dal mare, relegandole così a mere potenze terresti, sbarrandone l’accesso all’Oceano Pacifico. Secondo l’Economist, i militari americani sarebbero lungo la prima linea pronti a intervenire e si starebbero addestrando per migliorare il respingimento cinese. Inoltre, gli USA hanno inviato addestratori a Taiwan, seguendo lo schema già collaudato in Ucraina, mentre l’isola ha deciso di prolungare il servizio militare obbligatorio da quattro mesi a un anno.
Da parte sua, Pechino non è rimasta a guardare, ma si è mossa verso un potenziamento militare che va di pari passo con quello tecnologico: nel 2023 il bilancio dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) aumenterà del 7,2% raggiungendo i 224 miliardi di dollari, lo 0,1% in più rispetto all’anno scorso. Tuttavia, la cifra potrebbe essere superiore a quella divulgata ufficialmente. Inoltre, quest’anno il governo cinese dovrebbe commissionare altri caccia stealth di quinta generazione J-20, iniziare i test in mare della portaerei Fujian (terza e tecnologicamente più evoluta unità nel suo genere a disposizione della Marina cinese) e intensificare le attività di addestramento e di integrazione delle operazioni congiunte tra le varie branche dell’Epl. Un ruolo molto importante potrebbe svolgere la capacità di combattimento urbano, come spiegato dal generale Ma Yiming durante le “due sessioni”: questa strategia di combattimento, infatti, è quella che la RPC ha da lungo tempo in mente qualora non fosse possibile la riunificazione pacifica con l’isola.
Ad intensificare le tensioni tra Washington e Pechino non vi è solo il prossimo incontro dello speaker della Camera USA, Kevin McCarthy, con la presidente taiwanese Tsai Ing-wen, che segue quello di Nancy Pelosi avvenuto lo scorso agosto, ma anche il fatto che gli USA hanno espresso recentemente la volontà di imporre sanzioni con gli alleati anche a Pechino, sulla falsariga di quanto già avvenuto con Mosca. Il che significa che oltre al settore tecnologico, già sanzionato, Washington prenderebbe di mira molti altri settori chiave del commercio del gigante asiatico. Proprio per queste ragioni, la Cina non mira solo a stabilizzare l’economia del Paese attraverso un aumento della domanda interna, ma vuole anche rendersi tecnologicamente autonoma: a tal fine, durante le “due sessioni” sono state pianificate iniziative quali la ristrutturazione del ruolo del ministero della Scienza e della Tecnologia, la creazione di un comitato del Partito comunista per l’hi-tech e l’introduzione di un nuovo ufficio incaricato della gestione e della condivisione dei dati. Più in generale, Pechino vuole produrre tutto internamente, facendo a meno di hardware e software prodotti da USA e alleati, tra cui figura la stessa Taiwan.
In tutto ciò, appare fondamentale rafforzare l’economia, indebolita dalle politiche “zero Covid” e investire sulle persone: su quest’ultimo punto, Xi ha posto particolare attenzione nel suo discorso di chiusura, affermando che «è necessario mettere le persone al primo posto nel nuovo viaggio per costruire la Cina come un grande paese socialista moderno e promuovere il ringiovanimento nazionale». Ha spiegato che una filosofia di sviluppo incentrata sulle persone deve essere implementata in modo che i guadagni della modernizzazione vadano a beneficio di tutte le persone in modo equo e che vengano compiuti progressi più notevoli e sostanziali nella promozione della prosperità per tutti. Pechino ha, dunque, annunciato di voler assicurare alla Repubblica Popolare un tasso di crescita del pil “intorno” al 5%, facendo dell’espansione dei consumi interni una priorità per non dipendere più interamente dalle esportazioni, comprese quelle verso Stati Uniti ed Europa. Si tratta di un passo notevole nella direzione della de-globalizzazione del commercio mondiale.
Stabilizzazione economica, sociale e tecnologica interna rappresentano, dunque, il contraltare della lotta esterna contro le potenze nemiche del “sogno” dell’Unica Cina: l’inasprirsi delle tensioni con Washington sta conducendo alla preparazione della battaglia per Taiwan. Uno scontro nell’Indo-Pacifico tra le due super potenze si fa di giorno in giorno più probabile e rappresenterebbe solo la seconda fase della battaglia per il dominio dello scacchiere geopolitico globale, dopo il teatro bellico ucraino in cui ad essere coinvolti in prima battuta risultano sempre gli Stati Uniti d’America nel medesimo ruolo di destabilizzatori degli equilibri regionali.
Lascia un commento