Giorgia Audiello
Avanti.it
Lo scorso 19 gennaio, gli Stati Uniti hanno raggiunto il tetto massimo del debito federale, fissato dal Congresso, nel 2021, a circa 31.400 miliardi di dollari. Il dipartimento del Tesoro è stato così costretto a ricorrere a misure straordinarie per evitare il default e continuare a finanziare le attività governative, in quanto il raggiungimento del limite del debito impedisce al Tesoro statunitense di emettere nuovi titoli di Stato. Ad annunciarlo è stata la stessa segretaria del Tesoro, Janet Jellen, la quale ha avvertito in una lettera scritta che, in assenza di misure prese dal Congresso nei prossimi mesi, l’evento potrebbe «causare danni irreparabili all’economia statunitense, ai mezzi di sussistenza di tutti gli americani e alla stabilità finanziaria globale». L’uso di misure straordinarie si può protrarre solo per un periodo di tempo limitato e le risorse, secondo alcuni analisti, saranno sufficienti indicativamente fino all’inizio di giugno. Una notizia per lo più ignorata dalla stampa mainstream che preferisce puntare i riflettori sul presunto “imminente” default russo – non ancora verificatosi e annunciato già all’indomani del primo pacchetto di sanzioni comminato da Ue e Stati Uniti – o sul debito dei cosiddetti PIIGS europei, Italia compresa, costretti a sottostare a una rigida politica fiscale e continuamente monitorati dalle agenzie di rating. Tuttavia, la notizia merita attenzione, in quanto si tratta dell’economia più grande del mondo in grado di influenzare i mercati mondiali e le sorti dell’intera economia planetaria.
Il tetto del debito americano fu fissato per la prima volta a livello legislativo nel 1917 e, da allora, è stato rialzato o rivisto 78 volte tra il 1960 e il 2021, salvando così ogni volta gli Stati Uniti dal default. Nel 2021 il tetto fu innalzato di 480 miliardi di dollari arrivando all’iperbolica cifra di 28.900 miliardi di dollari, ma nel febbraio del 2022 occorreva innalzarlo nuovamente e il tetto massimo è stato portato quindi a 31.400 miliardi di dollari: una pratica usuale, dunque, quella di fissare un tetto per poi sforarlo immancabilmente, che dimostra anche l’inconsistenza del problema del debito pubblico nel momento in cui è presente una banca centrale che funge da prestatrice di ultima istanza garantendo i titoli. Se così non fosse, siccome gli investitori sono a conoscenza del tetto al debito americano, nessuno si sarebbe arrischiato a investire le proprie risorse in titoli di stato a rischio default. E nemmeno ora, qualcuno dubita del fatto che al momento opportuno verrà sospeso o aumentato nuovamente il tetto. Tuttavia, questa volta la “crisi” del debito coincide con un periodo turbolento per l’economia americana e mondiale e durante il periodo di stallo che va da qui alla decisione effettiva di aumentare o sospendere il limite c’è una scarsa o nulla disponibilità di risorse e quindi si entra in recessione. La situazione di stallo è data dal fatto che il tema è diventato sempre più motivo di scontro politico tra democratici e repubblicani: una parte dei conservatori, infatti, è contraria al continuo innalzamento del tetto del debito e spinge per tagli alla spesa federale. «Con l’adozione delle misure straordinarie, il tetto del debito è ufficialmente una bomba ad orologeria che non riusciamo a disinnescare in tempo», ha detto Brendan Boyle, capogruppo dem alla commissione Bilancio della Camera, accusando i repubblicani di «spingere verso il default» per convenienza politica, ed esortandoli a «iniziare a governare per il bene degli americani». C’è tempo, dunque, cinque mesi perché il Congresso trovi un accordo per alzare o sospendere il limite del debito. Nel frattempo, il Tesoro può utilizzare le cosiddette “misure straordinarie” che liberano denaro a breve termine: queste comprendono una sospensione di nuovi investimenti nel Fondo per la pensione e l’invalidità del servizio civile e nel Fondo per le prestazioni sanitarie dei pensionati del servizio postale fino al 5 giugno, ha spiegato Yellen. I fondi sarebbero quindi recuperati dopo la sospensione o l’aumento del tetto al debito.
A spingere maggiormente per un aumento del debito sono i democratici: non a caso, l’amministrazione Biden ha presentato una manovra finanziaria da 6000 miliardi di dollari nel 2022, destinata ad aumentare fino a 8.200 miliardi di dollari nel 2031 all’insegna di ambiziosi interventi pubblici, finanziati da tasse, ma anche da debito. Secondo il New York Times, la spesa raggiungerà i livelli più elevati dalla Seconda Guerra Mondiale e i deficit viaggeranno oltre i 1300 miliardi per l’intero decennio. Interessante notare come tra le voci di spesa più consistenti vi sia quella dedicata alla difesa militare. Per il 2023, il documento di bilancio presentato al Congresso prevede, relativamente alla difesa, un investimento complessivo di 813,3 miliardi di dollari, 60 in più rispetto alla richiesta avanzata da Biden per il 2022. Dal 2018 al 2020 l’investimento in armamenti degli Stati Uniti è passato dal 3,32% al 3,74% del Prodotto Interno Lordo. Gli Stati Uniti risultano il Paese che spende più di ogni altro nel mondo in spese militari, investendo oltre 12 volte in più della Russia.
Un ritmo di spesa che ha portato gli Stati Uniti ad avere il più grande debito pubblico dalla Seconda guerra mondiale con uno dei tassi di crescita più alti al mondo. Basti pensare che nel 2000 l’ammontare del debito era di 5,6 trilioni di dollari e all’inizio di ottobre 2022 superava i 31 trilioni di dollari. Secondo Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analytics, in caso di inadempienza sul proprio debito, «la ricaduta sarebbe grave». «Creerebbe il caos nei mercati finanziari e minerebbe completamente l’economia», ha affermato, aggiungendo che «l’economia entrerebbe in una grave recessione». È chiaro che un tale scenario non sarebbe il risultato di un reale fallimento finanziario, ma di una scelta politica, che innescherebbe una crisi senza precedenti nell’economia globale.
A meno che i padroni del denaro, ossia i principali azionisti della Federal Reserve, non abbiano deciso di innescare una crisi internazionale per mettere in atto una trasformazione del sistema monetario, dunque, ci si aspetta che repubblicani e democratici si accordino per innalzare il tetto del debito, essendo ormai questa un’operazione di routine della politica americana. Il che conferma che gli Stati Uniti sono una delle nazioni con il tasso più elevato di crescita del debito pubblico, ma anche che uno Stato con sovranità monetaria non può mai fallire avendo il controllo dell’emissione della propria moneta, sebbene tutte le banche centrali siano indipendenti dal potere politico: sarà per questo che, nonostante lo sforamento continuo del tetto del debito e il conseguente rischio di default, le agenzie di rating valutano il debito americano con la tripla A. L’unico declassamento del merito di credito nella storia americana si ebbe nel 2011, quando gli Stati Uniti sfiorarono il default tecnico a causa del crescente disavanzo del bilancio statale e dell’indecisione del Congresso a innalzare il limite del debito. Quella fu l’unica occasione in cui un’agenzia di rating – la S&P – ha declassato il debito americano da “AAA” a “AA+” con outlook negativo. Ci si aspetta, dunque, che il Congresso americano trovi anche questa volta un accordo per alzare o sospendere il limite del tetto onde evitare una crisi per l’intera economia globale che provocherebbe un’estrema volatilità del mercato azionario.
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