Davide Miccione
Avanti.it
Dispiace per coloro che usano il termine “complottista” per identificare ogni interpretazione che abbia valicato le invisibili colonne d’Ercole di ciò che è opportuno dire del mondo, per ogni tesi che non veda nel potere bonomia e paterna sollecitudine o, nelle multinazionali, onesta ricerca del profitto non scevra da una forte responsabilità morale e sociale. Dispiace e perlopiù si prova imbarazzo. Non solo per l’adozione di un termine che nel suo nuovo significato (non colui che complotta ma, con strano ribaltamento, colui che vede ovunque complotti) è recente e si è diffuso in modo talmente virulento da far pensare che esso stesso, in un cortocircuito mentale, abbia alla propria base “un complotto”, ma soprattutto perché rivela in colui che lo usa una abnorme ignoranza oppure una sconcertante ingenuità o un totale asservimento al discorso dei media o infine un miscuglio variamente proporzionato delle tre cose.
Il termine viene usato con estrema larghezza e proprio per questo finisce con lo svolgere funzione di manganello concettuale (ovviamente perlopiù in mano ai giornalisti). Non si riferisce solo, come sarebbe naturale, a chi ritiene di aver individuato i mandanti o gli esecutori materiali nascosti di un evento e lo fa sulla base di labili e controversi indizi, bensì a chiunque si richiami a una lettura degli eventi che non si fermi alle apparenze o al significato proclamato o alle intenzioni esplicitate dagli attori stessi. Se esteso e praticato così, esso ovviamente porta a ritenere come plausibile solo la versione ufficiale delle cose: la versione governativa.
Di ogni evento esiste dunque una sola versione (certificata) che è quella rilasciata da coloro che lo hanno promosso, che ne hanno vantaggio e che riceverebbero un danno se questa versione pencolasse. Incredibilmente, storditi dalla ormai impressionante e percussiva potenza di fuoco mediatica, i cittadini accettano questa implicita raccomandazione metodologica che però, estesa al mondo reale, essi stessi rifiuterebbero immediatamente. Rifiuterebbero di far sostituire i Nas con un controllo interno delle stesse aziende (come mai? ci si potrebbe chiedere a questo punto); rifiuterebbero di affidarsi ad un idraulico, elettricista, veterinario, ortopedico, dentista se potessero contare solo sulle referenze del professionista stesso. Questa modesta e semplice saggezza di vita (il “mai chiedere all’oste se il suo vino è buono” del vecchio adagio popolare) si trasforma nel suo opposto quando le questioni si fanno più ampie e l’autorità (culturale, spirituale o politica) fa sentire il proprio peso.
Lo schiacciamento sulla versione ufficiale e certificata del potere porta tra l’altro a una “balcanizzazione” della verità giacché ogni potere ha la propria versione e il cittadino (pena precipitare nel girone infernale del complottismo) dovrebbe credere alla versione ufficiale del proprio potere di riferimento: l’iraniano al governo iraniano, il russo al governo russo, il cinese al governo cinese, lo statunitense al governo statunitense, l’italiano al governo statunitense (non è un refuso). Ognuno dunque resti nella verità che il suo presidente gli prescrive e che la verità sia, alla fine dei conti, quella di chi ha più soldi e più missili. Una verità insomma tornata nazionale come in alcuni snodi inquietanti del Novecento, proprio quel secolo che è oggi di moda esecrare per la preponderanza di guerre e ideologie a fronte del nostro mondo inclusivo ed eco-friendly. A meno che, si potrebbe pensare, la “balcanizzazione veritativa” sia solo una fase di crescita da sostituire con versioni ufficiali di organismi internazionali (come, ad esempio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità) che impongano un’unica verità sovranazionale. In questo senso il triennio pandemico rappresenterebbe un salto di qualità.
Ma, a parte questi effetti “geopolitici”, sono più propriamente la cultura, la ricerca, la scienza a farsi impossibili in un mondo schiacciato dal “complottisticamente corretto”. La storia della cultura dell’intero occidente infatti null’altro è che lo svelamento dei limiti delle apparenze. Lo è fin dagli antichi greci che chiedono ai comuni cittadini di andare oltre le apparenze e capirne la strutturale falsità (Eraclito, Parmenide, Platone ecc.), lo è nella pretesa (a questo punto suppongo complottista) delle prime riflessioni di ordine critico sui testi, nell’idea che i testi celino altri significati bisognosi di studio e di adeguate chiavi interpretative. E cosa sta alla base delle grandi costruzioni teologiche se non la messa a punto di una ermeneutica biblica che vada oltre le apparenze grazie a quei complottisti dei padri della chiesa che trovavano, oltre al senso letterale, ben altri tre sensi?
La cultura occidentale è stata inoltre anche la faticosa costruzione di una disciplina storica che andasse oltre i “monumenti” dei re, oltre il discorso del potere, che del potere costruisse una sapiente lettura dei documenti per coglierne smagliature e contraddizioni e illuminare cosa ci fosse dietro. La cultura occidentale, così fiera della sua scienza, passa dalla costruzione di una fisica che si è trovata di fronte una sensatissima teoria “delle apparenze” come quella aristotelica (appoggiata dal potere del suo tempo che ne faceva l’unica versione certificata) e ancora passa dalle scoperte dei grandi scienziati spesso avversate e ammesse solo dopo lotte e a denti stretti.
Ma la cultura è anche la grande avventura della psicoanalisi e del suo “sospetto” che ben altri moventi spingano i nostri pensieri e le nostre azioni e le nostre parole (un caso di autocomplottismo?) o di Marx che vede i governi (e dunque anche le loro versioni certificate) come semplici servili manifestazioni del grande capitale e le forme culturali, giuridiche e politiche spiegabili solo alla luce di una strato più profondo di tipo economico indipendentemente dalle pretese di queste forme di essere autonome. E che dire di Nietzsche che vede nella morale stessa il risultato di un’antica dimenticata congiura dei deboli contro i forti?
Credo poi che buona parte della saggistica e della produzione filosofica e politologica di destra e di sinistra degli anni settanta rientri perfettamente nella definizione attualmente in uso di complottismo. Un grosso numero dei loro testi e discorsi oggi causerebbe l’esecrazione perenne e l’espulsione dal circuito dei media di massa. Sicuramente ciò vale per la massima parte dei marxisti e dei francofortesi, degli ibridatori di psicoanalisi e socialismo, di Foucault e dei suoi discepoli, degli anarchici e dei libertari. A destra sicuramente vale per Evola e per Plebe, per Leo Strauss e per Voegelin
Se la cosa non è più colta dagli operatori dei media è, posso supporre, perché lì dentro non si legge più un tubo. Nessuno ricorda più la megamacchina di cui parla Günther Anders che tende a riunire tutti i dispositivi? Nessuno ricorda gli scritti corsari di Pasolini che “sa ma non può dimostrare”? Nessuno ricorda i testi di Del Noce con una borghesia che fa finta di piangere la scomparsa degli antichi valori mentre si prepara finalmente ad adorare solo il profitto? Nessuno ricorda che Illich in tutti i suoi testi sulla scuola parla esplicitamente del “programma occulto” scolastico di adeguamento dell’uomo alla tecnica e al capitale?
Chi potrebbe sfuggire a questo gorgo concettuale del complottismo? Forse Bobbio con il suo, come lo definisce Costanzo Preve, proceduralismo tragico? Forse Eco bastonatore di apocalittici negli anni settanta e sarcastico decostruttore di presunte verità esoteriche nel suo Il pendolo di Foucault? Probabilmente neppure lui dato che, in tarda età, inciampa in quella metastorica idea di un fascismo eterno che scorre sottotraccia e si manifesta. Una tipica idea complottista e apocalittica.
Ecco perché mi imbarazzo per coloro che usano il termine complottismo; perché stanno firmando volontariamente una autocertificazione sulla loro profondissima ignoranza. Eppure ritenere che la diffusione del paradigma complottista sia solo ignoranza significherebbe abbracciare la versione sterilizzata, ingenua e parziale del paradigma complottista stesso. Un mondo che per chi è fuori dalle leve del potere dovrebbe fermarsi alla ricezione ingenua delle parole e della versione del potere, sempre animata per definizione di buone intenzioni. Una lettura infantile, parziale ed errata di questo mondo che è invece sostanziato di buoni propositi come di cattivi, di ideali come di interessi, di sincerità come di menzogne, che è un mondo dove la tutela di alcuni interessi necessita il tacerli e non il propalarli. Dunque è necessario tenere conto della malafede e non solo della buonafede, dell’asservimento per interesse a scopi che non sono i propri e non solo della convinta adesione a ideali.
Un dispositivo concettuale come quello del complottismo, così becero e così ridicolo, non è pensabile nella sua veloce affermazione solo motivandolo con l’ignoranza degli operatori dei media (che pure c’è). Va considerata la malafede di chi lo usa e l’utilità del dispositivo in termini di bonifica del dissenso. Il complottismo come classificazione di una dimensione paranoica della politica, in cui la ragione non fa più presa e ci si può lasciare andare alle teorie più fantasiose, permette l’estromissione degli elementi più pericolosi dal dibattito allocandoli in una dimensione che cessa di essere razionale, ideale, politica, e diventa invece eccentrica, paranoica, fantasiosa, nel migliore dei casi naïf. L’avversario non è più il portatore di una visione diversa ma un soggetto che ha perso la bussola e va, nel migliore dei casi, paternalisticamente accompagnato sul retto sentiero della ragione evitando faccia male a se stesso e agli altri. Non sono procedimenti particolarmente innovativi: la criminalizzazione e la patologizzazione del dissenso sono procedure antiche assai presenti nel Novecento. L’aspetto innovativo è riuscire a farle circolare in modo cosi apparentemente diffuso e “orizzontale” da farle sembrare interne a un esercizio di dibattito democratico mentre ne sono invece la piena negazione. Sarebbe il caso di chiedere a giornalisti e intellettuali aggrappati alle ultime prebende (ultime collaborazioni pagate, ultime case editrici paganti, ultimi festival) di fare un ultimo sforzo: lascino in pace il complotto e dicano chiaramente che è proprio il pensiero a dar loro fastidio. A dare un’occhiata in giro i tempi potrebbero essere maturi per questo salto di qualità.
Pietro dice
…Il Miniver….
Dalla prefazione: ” …essi sono preposti all’imbonimento ideologico e morale dei cittadini per renderli completamente succubi al sistema, pronti a tradire qualsiasi sentimento di affetto e di amore anche verso i propri cari per servire lo stato, per renderli feroci odiatori dei nemici interni…..e assolutamente incapaci di qualsiasi pensiero autonomo e forma di critica”. Ci siamo… Plandemia docet