Davide Miccione
Raggiunto con il precedente articolo (Fenomenologia del complottismo) il minimo sindacale della comprensione di questo concetto sempre più massicciamente posto in circolo, vago ai limiti dell’inesistenza e offensivo più per l’intelligenza di chi lo utilizza che per chi lo subisce, resta da indagarne per sommi capi il funzionamento all’interno dell’universo mediatico contemporaneo.
Vista l’essenza da sempre “sospettosa” della miglior parte della scienza e della cultura occidentale non è giustificabile l’invenzione del “complottismo”, nesso linguistico-concettuale che ci porta verso l’erigenda post-democrazia, senza tener conto dell’ignoranza di gran parte degli attuali operatori culturali (ho provato a scrivere intellettuali ma le dita, alla tastiera, non hanno obbedito). Abbiamo però già annotato come l’ignoranza non basti a giustificare una simile diffusione e, stante la solida cultura altrove mostrata da alcuni pochi “operatori”, si debba immaginare un’ulteriore connessione con la malafede o con un conformismo profondamente interiorizzato. “Negazionismo”, “complottismo” e altre parole inventate del medesimo tenore servono a schiacciare tutte le voci dissonanti rispetto alla versione ufficiale del potere o allocare nel limbo della paranoia quelle che non si allineano. Perlopiù alle incolpevoli voci dissonanti si attribuiscono quei processi di rimozione della realtà invece operati dal potere stesso, come spiega magnificamente, analizzando le politiche pandemiche di questi ultimi anni, Alberto Biuso nel primo capitolo del suo Disvelamento. Nella luce di un virus (Algra 2022).
Per funzionare però, questo dispositivo linguistico ha bisogno di un caso estremo (un monstrum nei vari significati del termine) da stigmatizzare e a cui apparentare ogni scostamento dalla lettura ufficiale delle cose. Utilizzando l’infinita estensione del web, la sua varietà qualitativa e la capacità dei social di far acquisire un seguito a individui animati da un certo inconsapevole surrealismo, una forte capacità di autoconvinzione e sprovvisti di studi (il che in un certo senso rende ammirevole, sebbene non per questo meno nocivo, il loro sforzo), il sistema di potere mediatico principale alterna una generale indifferenza nei confronti dell’informazione non realizzata dai grandi gruppi economici ad alcune sciabolate di luce sui personaggi più improbabili. Così, chi non frequenta il web se non a scopi ludici o di intrattenimento e per il resto si alimenta cognitivamente sui giornali dei grandi gruppi e sui principali canali televisivi, si fa un’idea del mondo della controinformazione come di un misto di irrilevanza e delirio: poche persone, male in arnese e in gran parte senza le basi minime di equilibrio e cultura. L’evocazione perenne del “terrapiattista” come unità di misura della critica culturale sul web ben esemplifica questo processo. Questi soggetti, inoltre e ovviamente, saranno molto meno avversati e bloccati, dai nuovi censori dei social e dall’occhiuto algoritmo, degli analisti geopolitici non allineati o dei biologi poco rispettosi dei bilanci delle case farmaceutiche. In un caso e nell’altro comunque, il lettore di giornali e lo spettatore di tv non sapranno nulla delle censure.
Il sistema dominante procurerà così una vita artificiale solo a figure dotate di modalità interpretative miranti a convertire la enorme complessità della storia nel riduzionistico ordinato svolgersi di un piano segreto ordito da specifici individui o gruppi di individui. Lo squilibrio di queste “avventurose” letture del mondo è facilmente rilevabile dalla eliminazione dell’accidens, luogo dell’incontrollato e dunque poco amato da ossessivi e paranoici, ben presente nella vita di ognuno di noi ma sempre assente dalle “filosofie della storia” di costoro. Tutto ciò che accadde era previsto, tutto ciò che accadrà è programmato nei minimi particolari. Scompare il caso, l’eterogenesi dei fini, l’astuzia della storia, i colpi di testa degli uomini, le colpe per omissione e ignoranza. Resta solo la premeditazione.
Non si cerca la tendenza principale della contemporaneità, gli interessi che giacciono sul fondo di essa o galleggiano in superficie, ma sempre e solo i colpevoli, che hanno nome e cognome e sono sempre consapevoli delle cose che fanno. Mai né uomini, né imprenditori, né politici che siano ottusi, inadeguati, ignoranti, fanatici, portatori di idee sbagliate o obsolete, ma solo freddi consapevoli esecutori di piani. In queste visioni del mondo le classi dirigenti, le élite, sono sempre d’accordo tra loro: che uno sia un petroliere e l’altro un guru delle rinnovabili è irrilevante, c’è comunque un “meta-piano” in cui si incontrano e congiurano, in nome, verrebbe di dire, di “un male superiore”. E sebbene anche questa idea abbia un suo nucleo di verità, cioè la capacità delle élite economiche di trovare alla fine un punto di accordo in nome del profitto, così svolta sembra a bella posta costruita per causare la ripulsa dell’uomo medio. Questa visione del mondo, ovviamente, può sposarsi con un atteggiamento esistenziale per nulla salubre dove ogni individuo che abbia un po’ di potere e ci avversi può venire coinvolto nel “meta- piano” e ogni cosa accaduta che non ci garbi sia con esso spiegabile.
La lettura semplificatrice di chi vede svolgersi la storia come attuazione di un piano, magari antico e segreto, è molto gradita dal sistema prevalente. La sua esistenza ricorda di stare buoni e non staccarsi dai grandi media per evitare di precipitare nelle catacombe interpretative; vi ricorda che se non vedete il mondo come in un report dell’Onu o in un editoriale di Repubblica potreste finire con il vederlo come in un romanzo di Dan Brown e lo scambio ovviamente non vi rassicura.
Questa lettura delle cose, da alcuni (D. Pipes, R. Hofstaedter ecc.) non generosamente definita come stile paranoide, è solitamente portata avanti da persone che hanno sviluppato una forte diffidenza per il potere (ben comprensibile) estendendola purtroppo nei confronti della storia e della cultura (comprensibile ma non giustificabile). La loro diffidenza si pone come il punto di caduta dell’incontro tra una vivace intelligenza, un bisogno di chiarezza e una insufficiente preparazione culturale. Si vuole arrivare ad una comprensione delle cose senza la mediazione dello sforzo di astrazione, senza, diceva un tizio un tempo assai famoso, “la fatica del concetto”. Si vuole arrivare ad una comprensione delle cose non generale, ma con nome e cognome. Una comprensione dove il cui prodest viene interpretato non in termini di classe o di blocco geopolitico o economico, ma come domanda a cui rispondere con un nome e un cognome. Sfugge loro la complessità della cultura che ha sì svolto nei secoli funzioni di supporto del potere, ma anche di strumento della sua erosione. Ugo Mattei lo illustra perfettamente nel suo ultimo libro mostrando del diritto tanto il ruolo di strumento del potere quanto quello di suo arginatore e controllore. Senza l’accettazione di questa ambiguità finiamo, seppure nella mozione di minoranza, nella demenza rigida e moralistica attuale. Il pensiero sarà sovrastruttura ma è anche ciò che scopre l’esistenza del pensiero come sovrastruttura; è favola per incantarci ma anche messa in discussione della favola.
Chi non riesce a restare nell’equilibrio di un discorso che veda le intenzioni del potere, i suoi bisogni e i suoi interessi, senza per questo pretendere di ricostruirne la carta d’identità e la formazione delle squadre come da ragazzi si faceva con il campionato, in fondo non regge l’incertezza di non sapere come esattamente si sono svolte le cose e chi siano tutti i buoni e tutti i cattivi. A ben pensarci non regge esattamente come il conformista tipo, lo zombi democratico di cui rappresenta il negativo. È la parte incanaglita, perché esclusa, di un tutto sociale che rifiuta il dubbio e la perplessità. È lo Hide dello Jecyll (quello dei due che ho sempre trovato più inquietante) elettore del Pd. Entrambi in fondo hanno eliminato la storia, per i primi mera applicazione di un piano deciso ab origine, per i secondi già finita come dialettica interpretativa e rimasta solo come suono di fanfara che accompagna la faticosa vittoria dei buoni (e, aggiungerei, dei ricchi).
L’affiancamento o la sostituzione di un intellettuale critico con un “devoto dello stile paranoide” è comunque il sistema più facile, quello che si pratica a tutti i livelli e in tutti i registri. Perfino Umberto Eco nella sua riflessione sul complotto tenuta alla Milanesiana nell’edizione del 2015 non si scosta troppo da questa facile soluzione. Con la cultura, brillantezza, stile, gusto e senso della citazione e passione elencativo-combinatoria che gli erano propri anche Eco in fondo non resiste e squaderna, nella sua lectio, tutti gli strampalati esoteristi e templari, numerologi e cultori di coincidenze e ricorsività di cui aveva già raccontato ne Il pendolo di Foucault. Poi nel mezzo ci mette, come esempio di chi non resta nei cardini del sensato, anche la domanda per lui oziosa se ci siano state altre menti e altre mani nel sequestro Moro, apparentando con ogni evidenza assertori di millenari complotti rosacrociani a studiosi e magistrati che cercano di farsi strada tra le reticenze del potere e degli interessi internazionali. D’altra parte non si diventa l’intellettuale italiano per antonomasia se non si ha, tra le tante doti, anche quella di sapere dove fermarsi (e in fondo il suo Apocalittici e integrati potrebbe anche leggersi come un manuale per sapere quando fermarsi, un avviso ai naviganti). Meglio apparentare Pasolini o Anders a un terrapiattista – sembrerebbe, a essere duri, volerci dire – che rischiare di avallare una critica radicale al sistema in cui deliziosamente ho trovato il mio posto e da cui sono incensato.
La presenza e l’enfatizzazione del terrapiattista o di colui che attende da un momento all’altro l’intervento risolutivo degli alieni permette ai gestori del pensiero comune (quelli che ogni mattino portano il giornale al dottor Jekyll) di far risuonare il loro slogan preferito: there is no alternative; permette l’inquinamento di ogni tentativo di vedere il mondo diversamente. Mettere accanto e dalla stessa parte, fisicamente in un programma o figurativamente in un discorso, un analista geopolitico contrario all’interpretazione unipolare del mondo e un qualsiasi “propugnatore del piano segreto” permette di inserirli in un unico calderone di insensatezza. Il sistema informativo ci sta dicendo: fuori dalla versione certificata nulla salus. Il problema è che anche chi è rimasto dentro di salus ne ha trovata poca e fa sempre più fatica a crederci.
rosa boltri dice
Profonda ed acuta analisi
delle mitologie illusorie che ci circondano
Ulisse dice
Complimenti, una delle migliori analisi del complottismo che ho letto
Silvia Del Guercio dice
Ottimo ed utile articolo