Emanuele Quarta, Marco Di Mauro
Avanti.it
Un terribile e catastrofico terremoto – seguito da uno sciame sismico di pari intensità – ha sconquassato la terra in una regione ad alto rischio sismico compresa fra la Turchia e la Siria. Il terremoto, fra i più potenti degli ultimi cento anni secondo quanto dichiarato dagli esperti di tutto il mondo, è avvenuto in un punto in cui si incontrano la placca araba e la placca anatolica. Queste due placche, come spiegato dal presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia intervenuto all’edizione serale del TG1, strisciano l’una di fianco all’altra in un punto lungo svariate migliaia di kilometri: questo punto prende il nome di faglia ed è solitamente epicentro di terremoti. Nel caso specifico, in quella faglia non si erano verificati grandi sismi per molto tempo per cui la terra aveva accumulato una quantità di energia talmente grande e potente da non poterla più contenere fino ad “esplodere” in un terremoto devastante. Il sisma è stato così forte che ha spostato la terra, cioè la penisola anatolica, di almeno 3 metri verso sud-est ( questa la prima stima, ma secondo altre stime si parla anche di 9 metri di spostamento), quando solitamente gli spostamenti della crosta sono riscontrabili in pochi millimetri all’anno.
Questo evento sismico, come la gran parte dei terremoti, è stato previsto diverso tempo prima che si verificasse. Nel caso in questione, la previsione era stata perfino pubblicata su Twitter.
Sooner or later there will be a ~M 7.5 #earthquake in this region (South-Central Turkey, Jordan, Syria, Lebanon). #deprem pic.twitter.com/6CcSnjJmCV
— Frank Hoogerbeets (@hogrbe) February 3, 2023
Si tratta di Frank Hoogerbeets, geologo e ricercatore presso la SSGEOS, società che studia le geometrie planetarie, che con un tweet del 3 Febbraio aveva predetto una forte scossa di terremoto proprio nel punto esatto dove, 3 giorni dopo, si è scatenata l’attività sismica tra Turchia e Siria che ha causato migliaia di morti (purtroppo la conta dei morti continua ed è impossibile dare un cifra esatta al momento). Il tweet originariamente è passato inosservato ma dopo l’evento sismico che ha sconvolto la regione compresa fra Turchia e Siria, lo stesso ricercatore lo ha ricondiviso.
“Prima o poi un terremoto di magnitudo 7,5 si scatenerà nella regione fra Turchia, Siria, Giordania e Libano”, questa la terrificante previsione del ricercatore il quale, poche ore dopo il verificarsi dell’evento, sempre con un tweet ha espresso tutto il suo rammarico e il suo dolore per le vittime, ma soprattutto perché grazie alla sua previsione il disastro, almeno in termini di vite umane, poteva essere assolutamente evitato. Oltre a tutto questo, ha aggiunto una nuova previsione per una successiva scossa di terremoto sempre nella stessa regione appena colpita, previsione poi rivelatasi ancora una volta corretta.
Ma chi è Frank Hoogerbeets? Non ci sono molte informazioni in giro su di lui, ma visitando il suo profilo Twitter si può leggere che lavora come ricercatore per la SSGEOS, acronimo che sta per “Solar System Geometry Survey” che tradotto in italiano sta per “Ricerche sulla geometria del sistema solare”. In poche parole, è un istituto di ricerca che studia le correlazioni fra la geometria planetaria – quindi i moti dei corpi celesti e tutte le loro attività – e gli eventi sismici che colpiscono il nostro pianeta. E in effetti, Hoogerbeets quando pubblica una previsione la argomenta correlandola sempre ad una attività di corpi celesti, come ad esempio la Luna. Il lavoro di Hoogerbeets e della SSGEOS è però fortemente contrastato dalla comunità scientifica che si ostina a dirsi certa dell’imprevedibilità dei terremoti, etichettando qualsiasi studio o tecnica in materia come ciarlataneria anti-scientifica. Eppure, alla metodologia di Hoogerbeets si aggiungono i significativi passi avanti fatti da scienziati e ricercatori: solo in Italia negli ultimi anni sono venuti fuori significativi progressi quando gli scienziati Sebastiani e Malagnini hanno elaborato un modello predittivo sulla dinamica del movimento delle placche, mentre un team che comprendeva ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dell’Università di Palermo ha pubblicato uno studio importantissimo sulle capacità previsionali che si possono ricavare dall’analisi dei gas sprigionati dal sottosuolo nell’imminenza di un evento sismico. Un altro metodo, sviluppato alla fine degli anni Dieci da sismologi californiani e pubblicato sulla rivista Geophysical Analysis Letters, si è basato sull’inserimento nei database di sofisticati computer tutte le rilevazioni sismografiche in occasione dei principali terremoti avvenuti in California tra il 2008 e il 2017, arrivando, attraverso i modelli di comparazione elaborati da algoritmi, a stabilire che il 72% degli eventi sismici è preceduto dai “foreshock”, ovvero scosse di minore entità che si verificano tra i 3 e i 30 giorni precedenti all’evento sismico vero e proprio, e che opportunamente registrate e segnalate potrebbero costituire un vitale campanello d’allarme nelle regioni ad alta frequenza sismica.
Ma nulla di tutto questo interessa alla scienza ufficiale, che relega nell’abisso delle fake news tutti i modelli predittivi con il trucchetto dei tre parametri: se un metodo non riesce a predire esattamente luogo, ora e magnitudo, allora è da scartare in toto; anche se grazie a esso si riesce a rilevare che un luogo sarà interessato da eventi sismici entro i successivi due anni, cosa che oggi siamo perfettamente in grado di prevedere. Ma, come l’operazione Covid – e conseguente genocidio da pseudo-vaccini – ci ha insegnato, la scienza non è al servizio dell’umanità, almeno non di quella povera, e il governo dello sconvolto Erdogan negli ultimi dieci anni ha pensato allo sviluppo immane della tecnologia militare turca, prima potenza per numero di uomini nell’alleanza nord-atlantica, tralasciando alquanto la sismologia. Eppure il suo paese, a fortissimo rischio sismico proprio per perché geograficamente circondato da due faglie, la nord-anatolica a ridosso del Mar Nero e la est-anatolica nella parte sud-orientale, ha una storia di continui terremoti, per lo più di entità minore: prima di quello di ieri, l’ultimo devastante aveva interessato la faglia nord-anatolica con le scosse violentissime dell’agosto e novembre 1999, che fecero più di 20mila vittime (soprattutto la prima, di magnitudo 7.2); le più significative degli ultimi anni hanno interessato maggiormente la faglia est-anatolica: nel 2003 ci fu una scossa di magnitudo 6.4, nel 2005 di 6.8, nel 2010 di 6.1, più recentemente, un’altra di magnitudo 6 è avvenuta a marzo 2017 con epicentro nella provincia di Elazig, circa 50 morti, e un’altra di magnitudo 7, con epicentro nel Mar Egeo, avvenuta il 30 ottobre del 2020, che ha ucciso 83 persone e ferite più di mille, mentre l’ultima significativa, di 6.8, 20 morti e 500 feriti, aveva colpito di nuovo la scarsamente popolata provincia di Elazig, situata poco più a nord dell’area interessata dall’ultimo devastante sisma, che invece è tra le più densamente abitate del paese.
Mentre i cadaveri continuano a essere estratti dalle macerie – oggi il conto è salito a 5mila solo in Turchia, ma si stima che la cifra possa arrivare al doppio – le domande continuano ad assillare la coscienza della scienza e la politica: se un ricercatore a chilometri di distanza aveva previsto il sisma, come mai i sismologi e i ricercatori degli osservatori turchi non ne hanno avuto la più pallida idea? Come è possibile che la scienza e la politica si siano alleate per ingegnerizzare il clima, modificare il genoma di tutto il creato per sostituirsi al divino e fabbricare dal nulla i bambini e le bistecche, e non lo hanno fatto ancora per prevenire i terremoti? La risposta mi fu data una volta da un operatore della Protezione Civile che conobbi ai tempi in cui i cantanti intonavano “domani, domani” tenendosi ben lontani dalle macerie dell’Aquila, il quale asseriva, con mio profondo sgomento, che buona parte dei disastri avvenuti in Italia erano stati da loro ampiamente previsti, ma che non vi era stata la minima intenzione di evitarli. Al mio atterrito – e ingenuo – perché, rispose: “Capirai, costa molto meno ricostruire a poco a poco che sfollare e mettere in sicurezza in pochi giorni, e soprattutto la differenza di profitto è abissale”. Un vile bugiardo, di certo. Come è certo che oggi l’esercito turco ha bombardato nuovamente le postazioni curde nella Siria settentrionale e in Iraq, alla faccia dei sette giorni di lutto nazionale.
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