Riccardo Giordano
Avanti.it
Nel precedente articolo si è fatto riferimento al processo di formazione dell’uomo interiore, al cammino che conduce l’individuo a saldarsi nel proprio centro profondo così da rendersi indipendente da ogni condizionamento sia esterno (l’ambiente circostante) sia interno (i contenuti inconsci della psiche). Solo chi si è reso protagonista di un tale cambiamento interiore può dirsi veramente libero, Uomo nel senso più alto del termine, capace di azione pura e cioè di un agire che, non essendo più mosso da reattività inconscia, può essere il veicolo di un’idea consapevolmente espressa. Il condizionamento psichico, che ci impedisce di entrare in contatto con la parte più profonda di noi, può essere immaginativamente espresso con le tre parti dell’uovo: il guscio (corpo fisico) cela al suo interno le acque della psiche (albume) che a loro volta ricoprono il centro profondo della coscienza (tuorlo). Il segreto per separare queste tre parti, per mettere in libertà il principio interiore, sta nel calore dolce e costante che riscalda il tutto: fuor di metafora, il segreto sta nel fuoco dell’attenzione attivato dalla concentrazione.
In questi ultimi anni abbiamo assistito alla progressiva degradazione del sapere in una conoscenza meramente nozionistica: una lunga teoria di slogan da ripetere dogmaticamente, con l’invito a non pensare, a non coltivare il dubbio, per abbandonarsi alla parola salvifica dell’esperto di turno. L’esperienza quotidiana, d’altra parte, ci insegna che niente è più difficile da controllare del vociare caotico della mente. Noi crediamo di pensare, ma in realtà il pensiero sgorga in noi meccanicamente condizionato da ciò che si agita dietro la soglia della coscienza. Emozioni, desideri, speranze determinano il corso dei nostri pensieri senza che neppure ce ne accorgiamo; essi hanno bisogno di tramutarsi in pensieri, in immagini mentali, che tengono prigioniero in un mondo di fantasmi l’io che crediamo di essere. Questo determina i continui mutamenti della personalità poiché il senso dell’io nasce come riflesso dell’attività cerebrale: è nella testa che noi ci sentiamo, è attraverso il pensiero che prendiamo coscienza di noi stessi e del mondo. Nel capo, dunque, sta la radice che ci tiene legati a quanto si agita nel grande mare dell’inconscio. Noi ci crediamo liberi, mentre in realtà siamo obbligati a muoverci entro binari che non abbiamo scelto e che non possiamo cambiare.
Ecco perché la testa, il cranio, nella simbologia ermetica è posto all’inizio del cammino dell’iniziando. Il Cristo, non a caso, viene fatto morire sul Golgota che significa cranio e poi viene fatto discendere agli “inferi” a portare luce nell’oscurità del nostro mondo interiore. Secondo l’interpretazione ermetica, la crocifissione del Cristo rappresenta la fissazione del pensiero nell’atto della concentrazione, per mezzo della quale l’aspetto formale può essere separato dal principio luminoso (il Logos) che segretamente lo anima. Segretamente, perché ciò che noi conosciamo del pensiero è solo la forma attraverso cui esso si manifesta, cioè i singoli pensieri, ma non siamo ancora in grado di percepire la forza che li pensa, che li fa vivere ordinandoli uno dietro l’altro. Questa forza è la Luce che splende nelle tenebre, il primo bagliore dello Spirito che si è incarnato nell’uomo affinché l’uomo potesse fare esperienza della libertà imparando a scegliere e cioè a separare il bene dal male. È il pensiero che ci fa simili a Dio, ma noi abbiamo rinunciato a pensare per abbandonarci al suo riflesso meccanico.
Il primo passo sta nel portare l’attenzione su questa semplice consapevolezza: quando la mia mente è agitata, quando il pensiero si muove caoticamente, allora anche io sono agitato e, privo di un centro, osservo la realtà senza una chiara visione. Se questo è vero (e posso facilmente constatarlo), allora è vero anche se mi dedico, anche solo per dieci minuti al giorno, a pensare in maniera ordinata, senza distrazioni, tutto ciò che è scientificamente pensabile di un oggetto banale (che non stimola, cioè, il mio interesse) allora posso sperimentare una sensazione di fermezza e sicurezza, di calma centralità. Questa percezione (ha, infatti, la stessa evidenza di una percezione sensibile) all’inizio viene avvertita nella testa e tende a scomparire dopo poco. Col tempo e con la pratica, tuttavia, essa diviene sempre più evidente ed è in quel momento che deve essere riversata nel corpo, così da coinvolgere anche la zona del sentire (localizzata nel petto) e del volere (zona genitale), mediante un atto immaginativo che la porta prima nella parte posteriore della testa e poi giù lungo la schiena. È così che, poco alla volta, nasce in noi uno stato di equilibrio e di presenza a noi stessi; una presenza che non è più il riflesso lunare dell’attenzione posta a ciò che stiamo facendo, ma che ha lo stesso carattere attivo del sole, della fiamma, che è essa stessa fonte della sua luce. L’arte della concentrazione, dunque, non sta nel fermare la mente, nell’immobilizzare il pensiero, ma nell’imparare a muoverlo ordinatamente attorno a un punto fissato così che la sua forza, raccolta, possa essere contemplata. L’oggetto è solo il pretesto che serve ad evocare la vita del pensiero, ad obbligarla a uscire allo scoperto tanto da poter esser vista. Riuscire in questa impresa significa varcare la soglia che, di là dal tempo e dallo spazio, ci permette di penetrare nella dimensione più profonda della realtà.
Scrive Massimo Scaligero, discepolo italiano di Rudolf Steiner: «Qualsiasi oggetto esige esser compreso con il pensiero, il pensiero invece per sé non lo esige. Esso non necessita di altro pensiero, per darsi quale obiettivamente è. Il pensiero, che possa darsi come oggetto, non va compreso, ma percepito. Si sperimenta come Luce predialettica. Tale Luce reca in sé il potere del Principio» (Tecniche della concentrazione interiore, Roma, Edizioni Mediterranee, 1975). Tutto questo potrà apparire come qualcosa di inutilmente astratto e certamente lo è, finché non si avverte dentro di sé l’esigenza di cambiare, di uscire dalla prigione che noi stessi ci siamo creati per la nostra vita: prigione che la società contribuisce a consolidare in nome dell’interesse di pochi. Proprio tempi come quelli che stiamo vivendo, però, offrono la straordinaria occasione di porsi una domanda: assodato che ogni tentativo di opporsi al caos non ha altro risultato che creare ancora altro caos – come purtroppo l’esperienza ci dimostra continuamente – non resta che il coraggio di sfidare l’ignoto, di aprire strade nuove che spostino il terreno della lotta. Invece di delegare continuamente un altro, s’impone la necessità di mettersi in gioco in prima persona nel tentativo di essere il cambiamento che si dice di volere per la società. E se il mondo oggi appare sempre più governato da folli, non resta che costruire la saggezza dentro di sé, non resta che andare oltre l’uomo provando a sviluppare tutte quelle facoltà che, in alcuni momenti straordinari, la vita ci lascia intravedere.
In copertina: Tintoretto, Discesa nel limbo, 1568
Maurizio dice
Finalmente ritrovo il caro Riccardo Giordano e il suo pensiero che sempre leggevo con vivo interesse in quanto della stessa natura del mio.
Derivò anche io da Steiner e Scaligero.
Posso avere l’opportunità di dialogare con lei?
Mi farebbe piacere.
Lascio la mail,grazie.