Giuseppe Russo
Avanti.it
Dopo un po’ di maretta e qualche coup de théâtre più o meno telecomandato, Giorgia Meloni è alfine riuscita ad ottenere il tanto agognato incarico di capo del governo. In apparenza, la cifra del primo esecutivo della storia d’Italia guidato da una donna sarebbe il “sovranismo”, se non altro a livello lessicale: il ministero delle politiche agricole, ambientali e forestali, affidato al cognato della premier Francesco Lollobrigida, cambierà nome in “ministero dell’agricoltura e della sovranità alimentare”, quello dello sviluppo economico diverrà “delle imprese e made in italy“, mentre il dicastero che era stato sinistramente ribattezzato “della transizione ecologica” si chiamerà da ora in poi “ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica”. Altre contestate innovazioni lessicali, ma di matrice “conservatrice” più che “sovranista”, hanno avuto luogo per l’istruzione, alla quale sarà associato il “merito” nella nuova formula governativa, e per l’ex ministero delle pari opportunità, che si occuperà anche di “famiglia” e “natalità”. Nella sostanza, il governo Meloni nasce dopo aver ricevuto il disco verde da Washington, da Bruxelles e dal Quirinale, che degli interessi stranieri è il sommo garante, e rivendica piena continuità col draghismo sulle cose che contano, dalla politica estera a quella economica, dalla sanità alla “transizione ecologica”, ambito nel quale il ministro uscente Roberto Cingolani è stato immediatamente riciclato come “consulente” dal neonominato Gilberto Pichetto Fratin, che nel governo Draghi era viceministro dello sviluppo economico, e insieme si recheranno al consiglio dei ministri UE per l’energia di domani, martedì 25 ottobre. Tutto sembra congegnato per far sì che la sceneggiatura vada avanti senza smagliature: la rotta resterà appannaggio del Pilota Automatico, mentre il maquillage “sovranista” tornerà buono per alimentare il “dibattito politico” intorno a questa o quella dichiarazione, in modo da tenere viva la fiammella dell’antifascismo di maniera e salvare le parti di tutti i commedianti. Sin da ora, è possibile prevedere quali saranno i bersagli delle “polemiche” ad arte costruite: la ministra per la famiglia e la natalità Eugenia Maria Roccella, ex radicale diventata (moderatamente) antiabortista, il ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara, coperto di improperi ancor prima di insediarsi per aver dato alle stampe un saggio “razzista” come L’immigrazione nell’antica Roma. Una questione attuale nel 2008 (da escludere che qualcuno dei critici ne abbia letto una sola pagina), il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, ex direttore del Tg2 con la fama di “fascio” impenitente. E così, mentre qualche femminista col sangue agli occhi minaccerà di lasciare il paese e qualche “gretina” accuserà il governo di “negazionismo climatico”, l’Agenda andrà avanti senza opposizione alcuna. In primis sulla questione ucraina: Giorgia Meloni è per il sostegno al regime di Zelensky senza se e senza ma ed è proprio grazie a questo fattore che si è faticosamente guadagnata la patente di leader “affidabile” nonostante gli iniziali scetticismi. Il suo primo incontro istituzionale è stato con il presidente francese Macron, e già si è capito quale sarà il canovaccio: dopo che l’Ansa aveva diramato una nota, attribuita a fonti transalpine, in base alla quale Parigi si impegnava a “vigilare” sul governo italiano rispetto alla tutela dei diritti umani ed all’osservanza dei principi dello stato di diritto, è giunta puntuale la smentita: come ebbe occasione di dire, a spregio del ridicolo, lo stesso Mattarella, “l’Italia sa badare a se stessa”. Il prossimo passo di Giorgia Meloni potrebbe essere una visita a Gerusalemme, magari in concomitanza con il centenario della marcia su Roma, occasione nella quale in quel di Predappio si terrà la solita carnevalata. Diciannove anni fa fu Gianfranco Fini a compiere lo stesso viaggio della speranza: indossata la kippah e visitato il museo dell’Olocausto, l’allora vicepresidente del consiglio produsse una dichiarazione passata agli annali, quella sul fascismo come “male assoluto”. Si confida che gli sceneggiatori sapranno escogitare qualche frase storica anche per la neopresidentessa.
Oltre che nella politica estera, a sovrintendere la quale è stato chiamato Antonio Tajani, accreditatosi negli ultimi giorni come capo delle “colombe” di Forza Italia, la continuità con l’esecutivo precedente emerge attraverso due nomi, quello di Gianfranco Giorgetti al ministero dell’economia e finanze e quello di Orazio Schillaci al ministero della salute. Il primo, considerato “l’anti-Salvini” all’interno della Lega, era già ministro dello sviluppo economico con Draghi (oltre che sottosegretario alla presidenza del consiglio nel Conte I): uomo di fiducia delle banche, della Confindustria e della burocrazia di Bruxelles, è un liberista feroce la cui unica bussola è quella di servire il Padrone, indole che gli ha guadagnato anche la fiducia del Drago stesso. Il secondo, fino a pochi giorni fa rettore dell’Università di Roma Tor Vergata, è invece un medico che ha fatto parte del Comitato Scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità in epoca di emergenza pandemica, nominato in tale posizione dal suo predecessore Roberto Speranza. Considerato uomo del presidente dell’ISS Silvio Brusaferro, Schillaci è uno che conosce bene la macchina emergenziale: la sua nomina sancisce la persistenza dello speranzismo sanitario, ma senza l’odioso Speranza, ormai bruciato dalla sovraesposizione mediatica.
A margine, nel governo Meloni hanno trovato spazio improbabili rottami del berlusconismo come Raffaele Fitto, Anna Maria Bernini e Daniela Santanché, la cui unica credenziale per essere nominata ministro del turismo è quella di essere socia di Flavio Briatore nella gestione del Twiga, “beach club” versiliano che lo scorso anno ha fatturato oltre cinque milioni di euro. Lo stesso Salvini, già massacrato dalle urne, è stato “retrocesso” a ministro delle infrastrutture, lasciando il Viminale al “tecnico” Matteo Piantedosi, prefetto uscente di Roma e uomo di apparato assai vicino a Luciana Lamorgese, di cui è stato capo di gabinetto. Il ruolo della Lega all’interno del prossimo esecutivo sarà puramente decorativo: a fianco del leader, che figura nominalmente anche come vicepremier al pari di Tajani, vi saranno il già citato Giuseppe Valditara e la ministra (senza portafoglio) per le disabilità Alessandra Locatelli, mentre i due uomini di peso in quota Carroccio, Giorgetti e Piantedosi, devono in realtà la loro nomina allo Stato Profondo, le cui articolazioni risultano assai familiari anche a due neoministri di Fratelli d’Italia considerati “fedelissimi” della Meloni, Adolfo Urso e Guido Crosetto, assegnati rispettivamente allo sviluppo economico ed alla difesa. I partiti della maggioranza hanno trovato una quadra applicando, come da prassi, il manuale Cencelli della spartizione delle cariche, ed i rischi che qualcuno potesse sfilarsi sono rientrati; la tregua durerà, ad ogni modo, fino a quando ci sarà da scornarsi per i posti di sottogoverno: fra viceministri e sottosegretari, c’è da fare un’altra bella infornata di nomine. Intanto, i mercati promuovono a pieni voti il governo Meloni: il temibile spread castigatore di sovranisti è in forte calo, e le borse sprizzano entusiasmo. Uomo o donna, “destra” o “sinistra”, non ha alcuna importanza: è il Pilota Automatico a stabilire la rotta. Giorgia, una di Loro, ci mette solo la faccia.
Andrea dice
Concordo, anche questa volta, su tutto o quasi tutto. Come sempre, bella scrittura. Vorrei sapere come siete giunti a ripescare la gloriosa testata quotidiana del socialismo italiano, che fino alla metà dei ’70 era pure ben fatta. Cordiali saluti.