Marco Di Mauro
Avanti.it
(Qui la prima parte)
In questo momento, mentre i seggi fisici, postali e digitali sono al lavoro in tutti gli States per le elezioni di medio termine, Nancy Pelosi è a Washington e attende i risultati. Vi è arrivata domenica, dopo essere stata un’intera settimana in ospedale accanto al marito Paul, che ha pagato con un trauma cranico l’essersi concesso un po’ di svago con l’amichetto David DePape, oggi in custodia presso la polizia di San Francisco, che si è rifiutata di far ascoltare la versione dell’accusato, un immigrato canadese illegale, prima alla stampa, che non ha potuto nemmeno presenziare all’udienza preliminare in cui DePape si è dichiarato innocente e ha fornito la propria versione, poi persino all’Immigration and Customs Enforcement, la polizia federale che di routine interroga tutti coloro che abbiano commesso crimini e siano nella condizione di essere immigrati illegali nel paese, avvalendosi dello status di città santuario di San Francisco. Insomma, da quando è successo il fattaccio nessuno ha potuto vedere l’aggressore, né parlare con lui: evidentemente quello che ha da dire potrebbe passare un colpo di spugna su tutti gli sforzi da parte dei media di regime di trasformare il prostituto arcobaleno già noto alle forze dell’ordine in un fanatico nazi-complottista pro-Trump. Pesano come un macigno sulla vicenda vari dubbi, sintetizzati così da Jim Hoft, giornalista di thegatewaypundit.com: «Come ha fatto DePape ad avvicinarsi alla casa senza che le telecamere, la sicurezza, la polizia e i rilevatori di movimento lo individuassero e lo fermassero? come ha fatto DePape a entrare in casa senza che nessuno [di questi guardiani e strumenti NdT] ne avvisasse i Pelosi? Come ha saputo salire senza difficoltà al piano superiore per incontrare Paul Pelosi? perché Paul Pelosi ha risposto alla porta [ai poliziotti NdT] e poi è tornato dal suo aggressore? per qualche motivo, le riprese delle telecamere di sicurezza interne della casa non sono state divulgate. È perché quanto mostrano non corrisponde alla narrazione creata dall’FBI? Inoltre, dove sono i filmati delle bodycam della polizia? perché non sono stati divulgati? Alcune fonti ci hanno riferito che DePape è stato in ospedale lunedì scorso, insieme a Paul Pelosi. Quali sono le sue ferite? perché non ne siamo stati informati?»
La vicenda è stata un vero fulmine a ciel sereno per la speaker della Camera dei Rappresentanti, la quale ben sa che, se la cappa di menzogne mediatica permette alla famiglia di salvare la faccia, tuttavia l’accaduto è un chiaro segnale che è giunto per lei il momento di uscire di scena. In effetti, nell’intervista rilasciata ad Anderson Cooper della CNN dopo dieci giorni di lontananza dai riflettori, il giornalista non si fa troppi scrupoli e le chiede se la tragica vicenda occorsa al marito abbia influito sulla sua scelta di rimanere o no al suo posto in caso di sconfitta democratica alle elezioni di medio termine. La Pelosi, glissando come sempre sulla domanda reale, ha risposto che sì, la vicenda ha influito, e non ha nascosto il proprio disappunto verso la domanda, ormai divenuta di rito da parte dei cronisti politici, che la incalzano sulle sue probabili dimissioni da speaker in caso di sconfitta. Nancy in realtà non ci tiene affatto, ma sa bene che dovrà lasciare il timone del ‘caucus’ (nome che indica per convenzione la totalità degli appartenenti allo schieramento democratico nella camera) a cui resta aggrappata dal 2007, in qualità di rappresentante più anziana insieme ai suoi capigruppo della maggioranza della camera Jim Clyburn e Steny Hoyer. Questi ultimi, nell’eventualità in cui aspirassero alla sua successione, stando a quanto riporta Jonathan Martin su Politico, farebbero saltare tutte le carte messe in tavola dai rappresentanti dem, che stanno pianificando dal primo settembre di quest’anno l’uscita di scena di Nancy e il suo eventuale rimpiazzo: il favorito per ora sarebbe il cinquantaduenne afroamericano Hakeem Jeffries, eletto rappresentante per lo stato di New York, che si è costruito negli ultimi anni una fittissima rete di alleanze e ha contribuito attivamente, con il denaro e la sua presenza ai rally, alla campagna elettorale dei suoi colleghi rappresentanti per queste ultime mid-terms. È stato proprio lui a dare l’avvio alla sotterranea e taciutissima corsa alla sostituzione della Pelosi, quando il primo di settembre ha contattato personalmente il capogruppo Clyburn chiedendogli il suo appoggio come candidato per la poltrona più importante del caucus, dal momento che giravano voci sempre più insistenti che il rappresentante della California Adam Schiff avesse manifestato l’intenzione di candidarsi per la medesima carica. Pelosi non ha mai manifestato apertamente il suo appoggio a Schiff, ma l’anno scorso ha fatto pressioni sul governatore della California Gavin Newsom affinché fosse nominato procuratore generale dello Stato e, quando il governatore ha rifiutato, Pelosi ha lasciato a Newsom un messaggio in cui esprimeva il suo disappunto senza mezzi termini. Ma Jeffries, forte della sua rete di relazioni e del suo status razziale, che ne farebbe il primo vertice del caucus afroamericano e ha già scelto come suoi capigruppo Katherine Clark del Massachusetts e Pete Aguilar della California, rispettivamente una donna e un ispanico: l’arcobaleno perfetto, insomma, in perfetta rappresentanza dei rappresentanti. Pur non facendo mai alcuna esternazione pubblica, entrambi i ‘candidati’ hanno passato gli ultimi mesi a tempestare di telefonate i colleghi, e stando a un informale sondaggio effettuato da Politico il favorito sarebbe il candidato di Clyburn, ma la strada per il ‘fratello nero’ Hakeem Jeffries, noto per le sue citazioni pubbliche di Biggie Smalls e per le esibizioni di freestyle rap durante le apparizioni pubbliche, non è così semplice: di certo un eventuale risultato negativo delle elezioni di medio termine è fondamentale perché uno dei due sfidanti realizzi le sue aspirazioni, ed è certo che in questo momento entrambi tifano Trump. Lo stesso seggio parlamentare dell’anziana speaker, eletta in California, è oggetto di una “corsa silenziosa” tra Christine Pelosi, figlia di Nancy e Paul, una outsider della politica sebbene invischiata mani e piedi negli affari della madre con la sua lunga storia di attivismo, e Scott Wiener, che si è fatto un nome a San Francisco negli ultimi anni come attivista climatico e, sebbene sia inviso ai sindacati e a parte delle fazioni dem della città, ha dalla sua di essere un gay dichiarato – cosa che oggi conta molto di più di qualunque battaglia.
Le prime critiche all’operato di Nancy Pelosi ci sono state all’inizio di agosto, quando c’è stata la sua controversa visita a Taiwan, che ha iniziato ufficialmente l’escalation della tensione sul versante indo-pacifico della talassocrazia americana. Nonostante questa visita fosse perfettamente in linea con il piano geopolitico guerrafondaio confermato dai vertici economici e militari del capitalismo globalista nel Bilderberg di quest’anno, che mira a porre una cerniera tra il mondo orientale e quello occidentale fomentando guerre nei principali snodi commerciali, è stata letta dagli analisti politici statunitensi come una sorta di ‘ultimo atto’ di Nancy Pelosi, che secondo il Washington Post con la Cina ha una lunga storia di sfide e provocazioni, non avendo mai lesinato, da Tienanmen in poi, di criticare apertamente il regime. Soltanto a parole, però, dato che in verità il comportamento della Pelosi verso Pechino è stato sempre molto altalenante: iniziato con una severa condanna, si è poi smorzato una decina d’anno dopo la strage di piazza Tienanmen, quando alle soglie del nuovo millennio i coniugi Pelosi investono milioni di dollari nel China Fund della Matthews International Capital Management, gestita da William Hambrecht, miliardario amico e storico finanziatore di Nancy e delle cause dei democratici americani: il Matthew China Fund arriva a investire l’80% del suo patrimonio netto, che comprendeva decine di milioni di dollari della famiglia Pelosi, in azioni ordinarie e privilegiate di società situate in Cina. Improvvisamente, Nancy Pelosi arriva a dichiarare pubblicamente che Pechino, nonostante tutto, è un partner di primo livello degli USA per la lotta al cambiamento climatico.
Un altro voltafaccia si ha nel 2008, quando Nancy si oppone apertamente allo svolgimento in Cina dei giochi olimpici, per poi opporsi decisamente, dopo soltanto un anno, al boicottaggio delle olimpiadi di Pechino. Cosa era successo nel frattempo? Il marito Paul aveva acquistato azioni della Global Ambassador Concierge, ditta di trasporti privati di lusso che si era aggiudicata succulenti appalti proprio in occasione delle olimpiadi cinesi. Anche il figlio, il già noto Paul Junior, ha stretto saldi legami con l’arrembante capitalismo della Cina comunista tramite la Global Tech Industries Group e la International Media Acquisition Corporation. Stanti questi presupposti, non sembra affatto casuale che la Pelosi sia stata nel 2020 la principale boicottatrice di tutti gli sforzi del Congresso per indagare sulle origini cinesi del virus Sars-Cov-2, ordinando ai democratici di non collaborare con gli sforzi per indagare la questione: nel 2019 si era accordata con il leader repubblicano della camera dei rappresentanti Kevin McCarthy affinché si istituisse una commissione speciale del congresso per indagare sui laboratori biotecnologici in Cina, ma dopo più di un anno di lavoro di McCarthy la speaker ha ritirato il sostegno dei democratici, facendo arenare la commissione, proprio a marzo del 2020, quando la pandemia è scoppiata. Così, i repubblicani hanno continuato l’indagine indipendentemente fino a dopo le elezioni di novembre dello stesso anno, quando McCarthy ha dichiarato che semmai il Grand Old Party riacquisti la maggioranza dopo le elezioni di medio termine del 2022, intendono creare una nuova commissione sulla Cina.
Come si spiega la provocazione di Pelosi alla Cina dell’agosto di quest’anno, dopo la quale le esercitazioni militari di Pechino nell’area del Mar Cinese Meridionale sono aumentate esponenzialmente, e le violazioni dello spazio aereo di Taipei da parte dell’aviazione di Pechino sono divenute all’ordine del giorno? Una risposta la si può forse trovare nel discorso tenuto da George Soros alla Hoover Institution il 31 gennaio di quest’anno, quando il faccendiere miliardario dei Rothschild ha dichiarato apertamente guerra a Xi Jinping: la Cina è oggi la principale minaccia per la società aperta, ed è auspicabile che il dittatore sia sostituito. Anche le dichiarazioni di Henry Kissinger a Die Welt sono state molto chiare: la competizione sullo sviluppo delle nuove tecnologie, quelle che permetteranno l’instaurazione del capitalismo della sorveglianza, base primaria del Nuovo Ordine Mondiale, porterà inevitabilmente agli Stati Uniti la necessità di annientare la Cina, e pertanto bisogna iniziare a impegnare Pechino militarmente, quanto meno per indebolirla economicamente e frenarne lo sviluppo. In quest’ottica, è probabile che Beijing Nancy abbia dovuto ubbidire ai suoi padroni della mafia globalista e, mettendo da parte i propri interessi economici, rimettersi la maschera di avversaria della Cina. Un ultimo sforzo prima della pensione?
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