Giuseppe Russo
Avanti.it
La nomina di Orazio Schillaci a ministro della salute nell’appena insediato governo Meloni è scaturita da un compromesso fra le istanze “covidiste” di Forza Italia e dei “moderati” della Lega e le posizioni di chi, in seno alla maggioranza, spinge per quella “discontinuità” con le politiche sanitarie degli ultimi due governi più volte invocata dalla stessa Meloni in campagna elettorale. Schillaci, luminare accademico (quasi) sconosciuto alle cronache, è stato infatti un membro del comitato scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità, organismo che ha affiancato il ministro Speranza nella gestione dell’emergenza pandemica, e dunque risulta impermeabile alle accuse di “ammiccare ai no vax” che, com’era ampiamente prevedibile, stanno piovendo sull’esecutivo dopo l’annuncio dei primi provvedimenti di “discontinuità”. Nel suo discorso alla Camera prima di ricevere la fiducia, Giorgia Meloni aveva apertamente disconosciuto il “modello più restrittivo dell’Occidente” che aveva guadagnato ai nostri governanti il plauso dell’OMS e delle multinazionali farmaceutiche, annunciando contestualmente l’istituzione di quella commissione d’inchiesta sull’affaire Covid che era stato un cavallo di battaglia di tutto il cosiddetto “movimento no vax”. Tre i provvedimenti “rivoluzionari” adottati dal governo in ambito sanitario: la sospensione delle multe per gli over 50 non vaccinati (sanzioni di fatto già inesigibili), il reintegro di medici ed operatori sanitari sospesi prima del del 31 dicembre, termine previsto dall’ultimo decreto di Speranza, ed un decisivo cambio di passo nella comunicazione istituzionale al riguardo, con il macabro bollettino dei contagi che dovrebbe da ora in poi essere diffuso settimanalmente e non quotidianamente. La svolta, i cui passaggi sono stati evidentemente ben pianificati dall’entourage meloniano, ha comportato un altro strappo nella maggioranza, con la neonominata capogruppo di Forza Italia al Senato Licia Ronzulli che ha rilasciato un’intervista alla Stampa nella quale, appellandosi alla “maggioranza silenziosa di chi si è vaccinato”, ha invitato a non revocare le norme contestate ed a muoversi nel segno della “continuità”, mentre il suo uomo Alessandro Cattaneo, capogruppo alla Camera e a sua volta mancato ministro, le ha fatto eco dichiarando, come un Galli qualunque, che “Da cittadino non vorrei avere davanti un medico non vaccinato”. Una frattura ancor più marcata è emersa in Lombardia, dove Letizia Moratti, scalpitante assessore della giunta Fontana, ha espresso la sua forte contrarietà al “negazionismo” governativo, cogliendo l’occasione per dimettersi dalla carica, abbandonare formalmente il centrodestra ed accreditarsi, in vista delle regionali previste l’anno prossimo, come candidata di un “nuovo” centrosinistra di ispirazione “macroniana”, ovvero il progetto a cui da tempo lavorano Calenda ed il sindaco di Milano Beppe Sala.
Il nuovo corso sanitario ha attirato sul governo Meloni attacchi da tre fronti. Il primo è stato quello della presidenza della repubblica: in uno dei suoi consueti “moniti” che sono in realtà abusi istituzionali, Mattarella, che pure non usa più la mascherina nelle uscite pubbliche, ha fatto appello a “responsabilità e precauzione” poiché “non possiamo ancora proclamare la vittoria finale sul Covid 19”, elogiando inoltre la campagna vaccinale e raccomandando di fidarsi sempre della “scienza”. Il secondo fronte è rappresentato da ciò che resta dell’opposizione, fra un Enrico Letta che parla di “frasi da brividi” a proposito delle dichiarazioni “negazioniste” della Meloni, un Vincenzo De Luca che, sgomitando per alimentare il suo protagonismo politico nazionale, scomoda la categoria della “violenza verso i più deboli” ed il neosenatore Crisanti che si spinge fino ad affermare che Schillaci “non capisce niente di sanità pubblica”. Alcuni “governatori” del PD hanno già annunciato il boicottaggio: il pugliese Michele Emiliano ha detto che nella sua regione “gi irresponsabili non torneranno a contatto coi pazienti”, qualunque cosa venga stabilita a Roma, mentre in Emilia-Romagna la giunta Bonaccini ricorrerà all’escamotage di attendere il reintegro di medici e infermieri nei rispettivi ordini professionali prima di farli tornare in servizio: un modo per togliere loro, per puro sfregio, un altro paio di settimane di stipendio. Anche la sinistra “antagonista” minaccia lotta dura e senza paura contro il governo “fascista e assassino” , intonando un refrain che andrà incontro ad un sicuro successo, quello di “Meloni come Bolsonaro e Trump”. Il terzo fronte è quello mediatico-sanitario (difficile, dopo quasi tre anni di Covid Show, distinguere i due piani), con diverse star virologiche in crisi di astinenza da telecamere che ne hanno approfittato per tornare alla ribalta ribadendo le loro apodittiche verità su contagi e vaccini. Così, Maurizio Bassetti, dopo avere a caldo lodato i provvedimenti governativi schierandosi anche per la fine degli isolamenti domiciliari, ha poi parlato di “errore clamoroso” e di “schiaffo al 95% degli italiani” rispetto alla “amnistia” per i medici renitanti al siero; Walter Ricciardi, dal canto suo, ha rilanciato con “il Covid è il virus più contagioso che abbiamo avuto nella storia dell’umanità”, affermando la necessità di estendere l’obbligo vaccinale anche ai lavoratori della scuola; il meno noto Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, le ha invece sparate grosse sul siero magico che rischia di finire nel dimenticatoio, sostenendo che “i vaccini contro Sars-CoV-2 sono i più sicuri ed efficaci di sempre”.
Dunque, nonostante le numerose prove di fedeltà all’Agenda già date dalla neopremier rispetto alla guerra ed ai vari legacci esterni che tengono l’Italia ostaggio delle cricche globaliste, sulle questioni sanitarie il nuovo governo si muoverà nel segno della “discontinuità” con il recente e tragico passato. Risultati tangibili sono già stati raggiunti con il “congelamento” delle sanzioni comminate ai non vaccinati e, soprattutto, con il reintegro degli operatori sanitari allontanati dal servizio lo scorso anno. Tuttavia, permane la sensazione di trovarsi davanti all’ennesimo bluff: sull’uso delle mascherine in ospedali ed RSA, per dire, il governo ha fatto immediatamente marcia indietro rispetto agli intenti iniziali e, accogliendo le raccomandazioni della “comunità scientifica”, ne ha prorogato un obbligo che con ogni probabilità sopravvivrà a qualunque “emergenza”. La “discontinuità”, inoltre, non riguarda due pilastri del covidismo, la giostra dei tamponi con i relativi isolamenti coatti e la perenne campagna vaccinale, per la quale al massimo ci si può augurare che il prossimo ciclo prenderà forma senza il battage di quelli precedenti. L’enfasi posta sulla commissione d’inchiesta rappresenta poi uno strumento di distrazione: la storia insegna che le commissioni in questo paese vengono istituite per favorire i colpi di spugna e l’insabbiamento lento di ogni indagine, con le tavole apparecchiate a tarallucci e vino sin dall’inizio. Anche volendo dare credito ai promotori, comunque, questa tanto decantata commissione nascerebbe spuntata, visto che si concentrerebbe sul “fare chiarezza dal punto di vista amministrativo”, soffermando le sue attenzioni sulle ruberie più clamorose e dando al massimo qualche mariuolo di basso rango in pasto alla sempre affamata opinione pubblica, senza mettere in discussione la legittimità di segregazioni e vaccinazioni coatte e concentrandosi solo sull’operato del Conte II, essendo il Drago intoccabile sotto qualunque punto di vista. Giorgia Meloni non è fautrice di alcun “revisionismo pandemico”, e le sue prese di posizione sulla questione, anche quando era leader dell’opposizione parlamentare, sono state all’insegna del più vile conformismo. Per citare un episodio recente, alle elezioni amministrative della scorsa primavera, con l’obbligo di imbavagliarsi ai seggi appena revocato, la cara Giorgia si imbavagliò per bene, ad onor di telecamere e macchine fotografiche, per esercitare il suo diritto-dovere in una scuola romana, lanciando messaggi inequivocabili sia in alto che in basso. Oggi, con la sua cauta “discontinuità”, Giorgia Meloni dà prova di avere, a differenza dei suoi presunti “avversari”, il polso dell’opinione pubblica, sintonizzandosi sul sentire di decine di milioni di italiani che, dopo aver cantato quando c’era da cantare ed essersi punti quando c’era da pungersi, non ne possono più di tutto il baraccone covidista e del suo carico di follia paranoica. La prova del fuoco, ad ogni modo, ci sarà quando si aprirà il “quarto fronte”, quando cioè ai latrati “antirevisionisti” di Letta e Bassetti e ai “moniti” di Mattarella si sovrapporrà la Voce del Padrone, con la “comunità internazionale” che imporrà alla Meloni di rientrare nei ranghi e di fare i compiti a casa. Fino ad allora, il giudizio non può che restare sospeso: dopotutto, Giorgia è una di Loro.
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