Giuseppe Russo
Avanti.it
Com’era prevedibile, si è aperto un nuovo fronte di lotta contro il governo Meloni per stemperarne gli ardori “sovranisti”, quello relativo agli sbarchi di navi “umanitarie” cariche di richiedenti asilo sulle coste della Sicilia, sbarchi che in questo primo scorcio d’autunno si sono moltiplicati rispetto all’estate appena trascorsa. La querelle ha preso piede dopo che l’esecutivo era già stato costretto ad una brusca marcia indietro sull’allentamento delle restrizioni pandemiche, a proposito delle quali i ministri interessati si sono presto rimangiati sia la decadenza dell’obbligo di mascherine nelle strutture sanitarie e sia la sospensione delle multe per gli ultracinquantenni non vaccinati. Rispettando il canovaccio già proposto ai tempi del governo “giallo-verde”, quando ministro dell’interno era Matteo Salvini, alcune imbarcazioni gestite da ONG, dopo aver prelevato i migranti al largo delle coste libiche, si sono dirette verso la Sicilia sud-orientale, pretendendo poi, nonostante gli “avvertimenti” del neoministro Matteo Piantedosi, che di Salvini era capo di gabinetto, di attraccare nel porto di Catania, individuato arbitariamente come più vicino “porto sicuro” per prestare assistenza ai “naufraghi”, che sono perlopiù di nazionalità pakistana e bengalese, e permettere loro di fare domanda di asilo nel nostro paese. Allo stato attuale delle cose, nella disputa sono coinvolte quattro navi, due delle quali hanno già gettato l’ancora nella città etnea: la Humanity One, battente bandiera tedesca ed in dotazione alla Ong Sos Humanity, e la Geo Barents, che invece è registrata in Norvegia ed è gestita dall’organizzazione Medici Senza Frontiere. L’iniziale diniego delle autorità allo sbarco è stato poi ricalibrato da Piantedosi, il quale, memore delle disavventure giudiziarie di Salvini, ha abbandonato la “linea dura” schierandosi per la “selezione” dei richiedenti asilo ed offrendosi di prestare soccorso a minori, donne in stato interessante e adulti con problemi di salute. Tale “selezione” era stata in un primo momento delegata alle stesse Ong, le quali avrebbero dovuto censire tutte le persone con “vulnerabilità” presenti a bordo delle loro navi, ma è stata respinta al mittente nel nome di un’intransigenza che non lascia spazio al compromesso: si è capito subito che, per i vari capitani delle Ong, avrebbero dovuto ricevere accoglienza in Italia tutti i migranti indiscriminatamente, proprio come accadde nel 2019, con l’epopea di Carola Rackete e della sua Sea-Watch 3. Allora, a bordo della nave “umanitaria” guidata dalla donna che mise sotto scacco il governo, c’erano “solo” 42 persone; sulle navi attraccate a Catania negli ultimi giorni c’erano invece oltre 700 richiedenti asilo: dopo la “selezione” governativa, ne sono rimasti rispettivamente 35 sulla Humanity One e 215 sulla Geo Barents. Più dei due terzi dei passeggeri hanno dunque ricevuto l’agognata accoglienza, mentre fra gli “scartati”, nella quasi totalità uomini adulti valutati in buona salute, tira aria di rivolta: sulla nave tedesca rifiutano il cibo, da quella norvegese, sulla quale ci sarebbe pure un focolaio di scabbia, tre persone si sono gettate in mare. Questo scenario già drammatico è solo l’antipasto di una crisi che minaccia di assumere altre dimensioni: vi sono altre due navi prossime all’ingresso in porto, la Ocean Viking, che sinora si è mossa perlopiù al di fuori delle acque territoriali italiane, e la Rise Above, che si trova invece a poche miglia nautiche dalle coste siciliane. La prima fa capo all’Ong franco-tedesca SOS Méditerranée e viaggia con oltre 200 richiedenti asilo, la seconda è nella disponibilità di Mission lifeline, altra Ong con sede in Germania, e dovrebbe virare sul porto di Reggio Calabria con i suoi 90 passeggeri. A ben vedere, questi numeri rappresentano solo la proverbiale punta dell’iceberg: solo nella prima settimana di novembre diverse migliaia di migranti hanno raggiunto i porti della Sicilia meridionale, soprattutto Augusta e Pozzallo, nel siracusano, a bordo di pescherecci e navi mercantili che hanno soccorso le imbarcazioni degli scafisti quando erano già nei pressi delle acque territoriali italiane. Quello di Catania è dunque uno spettacolo a beneficio delle telecamere e degli attori politici, che spendono in questo ambito il meglio del loro repertorio. Da una parte Salvini si agita per riprendersi il ruolo di sceriffo, nonostante sia stato declassato a ministro dei trasporti; dall’altra, il nuovo eroe si chiama Aboubakar Soumahoro: recatosi immediatamente sui moli catanesi, il deputato di Sinistra Italiana ha più volte visitato i migranti rimasti sulle navi e si è appellato a Mattarella affinché ripristini il diritto a suo dire calpestato. Se nel 2019 l’antagonista di Salvini era Carola Rackete, giovine idealista giramondo coi rasta, nel 2022 non funziona nello stesso ruolo l’omologo della Humanity One, il suo connazionale Joachim Ebeling, che, pur avendo rilasciato le canoniche dichiarazioni di sfida, appare troppo sobrio e poco telegenico. Ecco dunque il neoeletto onorevole originario della Costa d’Avorio: il perfetto anti-Salvini per grandi e piccini, mentre ciò che resta della “sinistra”, ovunque collocata, trova un’altra posticcia ragion d’essere in questa battaglia che acquisisce senso solo perché consumata sotto i riflettori mediatici.
Sinora, i governi dei paesi nei cui registri sono iscritte le navi hanno risposto picche alle note del governo italiano con le quali si chiedeva di condividere l’onere dell’accoglienza, con l’ambasciatore norvegese che ha replicato in modo perentorio, ribadendo che “La Norvegia non ha responsabilità, in base alle convenzioni sui diritti umani o alla legge del mare per le persone prese a bordo da navi private battenti bandiera norvegese nel Mediterraneo“. Il famigerato meccanismo europeo di redistribuzione dei migranti, al quale aderisce la stessa Norvegia, prevedrebbe “quote” per ogni singolo paese, ma alla resa dei conti il processo è boicottato proprio dai governi che sono soliti fare la voce grossa in queste circostanze, intimando al governo italiano di accogliere senza se e senza ma: le persone trasferite in Francia e in Germania in base a questo programma sono poche decine. L’opposizione alle “quote” di migranti portata avanti da paesi dell’Est e del Nord Europa, con l’Ungheria a fare da capofila, trova sponde nei governi della parte meridionale del continente, non solo presso quello “sovranista” della Meloni, ma anche in quello socialista di Pedro Sánchez in Spagna, la cui poltica di respingimenti è assai più rigorosa di quella del Salvini dei tempi che furono. Mentre Giorgia Meloni vagheggia un “Piano Mattei” per “far dialogare Africa ed Europa”, fa blocco con gli amici del governo polacco per strappare, alla luce del comune appoggio incondizionato alla NATO in Ucraina, qualche concessione su un tema che tanto sta a cuore al suo elettorato, ma si tratta di una mera questione di immagine: gli sbarchi alla spicciolata di Augusta e Pozzallo sono di fatto, con l’attuale assetto nel Mediterraneo centrale e la Libia in mano a bande criminali, inarginabili, e lo sarebbero anche senza le Ong.
Secondo la presidente del consiglio, la priorità del suo governo sarebbe “la difesa dei confini esterni”. Questa difesa si concentra sulle navi “umanitarie” delle Ong, in un braccio di ferro politico che alimenta i dibattiti nei telesalotti, ma lascia la questione irrisolta, nella piena consapevolezza che essa è irrisolvibile. Dal canto loro, gli operatori delle “organizzazioni non governative” non sono quelle anime belle che “salvano vite umane” per puro idealismo, come recita il refrain che va per la maggiore, ma professionisti ben remunerati che sviluppano le loro carriere dopo studi calibrati sullo spirito del tempo, essendo quello dell’accoglienza un business in costante espansione. Sono i contractor al servizio dei processi migratori: fra di loro ci sarà anche qualche avventuriero d’altri tempi, ma il grosso è fatto da giovani rampanti con qualche reminiscenza hipster in attesa di fare il grande salto presso le Nazioni Unite o l’euroburocrazia. I capi di suddette organizzazioni, che sarebbero i più idealisti di tutti, senza fare dietrologia descrivendoli al servizio del tale piano o dei tali governi, fanno affari e fanno politica, “sulla pelle dei migranti” proprio come i loro antagonisti.
Che le sorti del nostro paese siano segnate per gli anni a venire, lo attesta, fra le altre cose, una sentenza del tribunale di Venezia, che ha accordato ad un cittadino del Niger un permesso di protezione sussidiaria a causa dei cambiamenti climatici che hanno coinvolto il suo paese di nascita. Il nigerino, che aveva formulato una prima domanda nel 2016 sostenendo di essere fuggito a causa del terrorismo, ha cambiato versione nel 2019 e, dopo un primo respingimento dell’istanza a Treviso, ha trovato accoglienza nel capoluogo veneto poiché nel frattempo è sopraggiunta un’alluvione a funestare il Niger. Tutte le convenzioni internazionali relative al diritto d’asilo stanno per essere riformulate, includendo i “cambiamenti climatici” nello spettro delle motivazioni per dichiararsi profugo. L’Italia si troverà al centro di flussi migratori ancora più intensi, ed i paesi dell’Europa centro-settentrionale, Germania e Francia in testa, hanno tutto l’interesse ad arginare il fenomeno sbolognandone la gestione ai governi dei già derelitti paesi meridionali. Il governo di Giorgia Meloni, che non ha la facoltà neanche di cancellare una multa, è un Giano bifronte: combattivo e risoluto nello spettacolo a onor di telecamere, docile nella pratica quotidiana di ricevere ordini. Anche sull’immigrazione, alla fine, la cara Giorgia saprà fare i compiti a casa.
Il Contadino dice
Ricordo un documentario che vidi da ragazzino, c’era un leone solitario, vecchio, decrepito, spelacchiato, senza denti, pieno di mosche, pensavo: questo sarebbe il re della savana, poretto, presto se lo mangeranno i vermi.
Quando leggo “governo Meloni” mi viene in mente quel leone, stesso potere decisionale, stessa influenza su quel che accade intorno, stessa aspettativa di vita. Almeno il leone aveva la coda per scacciare le mosche, la Meloni neanche quella.