Neanche il tempo di elaborare il lutto per l’attentato di Istanbul – avvenuto lunedì scorso con una bomba lasciata tra la folla nella centralissima Istiklal Avenue, nota via pedonale dello shopping cittadino, che ha ucciso sei persone e ferite ottantuno – che già è iniziata nella notte tra sabato e domenica 20 novembre la rappresaglia di Erdogan. I raid aerei turchi hanno colpito ottantanove obiettivi in una quindicin di siti lungo tutto il fronte turco-curdo che abbraccia la parte settentrionale di Siria – oltre a Kobane, le bombe scagliate dalla Türk Hava Kuvvetleri hanno colpito Tel Rifat, Ain Dagneh, l’aeroporto di Minnig, Ain al-Arab, Maranes, Derbesie, Malik, Ain Issa, Cizire e Derik – e Iraq – colpite Sinjar, Asos, Senkeser, Qandil, Hakurk, Suleimaniye – facendo più di trenta vittime. Secondo il portavoce del governo turco Ibrahim Kalin gli obiettivi colpiti erano “rifugi, tunnel e depositi di munizioni” e i morti “molti terroristi” tra cui “i cosiddetti direttori dell’organizzazione terroristica” che nella versione turca sarebbe affiliata al PKK e allo YPG, le principali organizzazioni politiche e paramilitari del Kurdistan. Stando alle Forze Democratiche Siriane (l’esercito filo-americano ribelle ad Assad composto da curdi e siriani) sarebbero invece state colpite infrastrutture tra cui un silos di grano, una centrale elettrica e un ospedale, e le vittime sarebbero per lo più civili, tra cui soltanto tre militari. Intanto, Ankara nei giorni successivi ha ammassato un gran numero di truppe e mezzi corazzati lungo il confine siriano, decisa a portare avanti l’avanzata iniziata quest’estate. Nei due mesi precedenti all’attentato, i droni Bayraktar avevano compiuto numerose incursioni nei territori controllati dalle SDF, uccidendo un gran numero di alti ufficiali; anche i bombardamenti non si sono mai fermati da quest’estate, sia come deterrente per attacchi verso il territorio turco, sia perché la Turchia – apparentemente un attore solitario del conflitto siriano da quando gli USA hanno scelto di allearsi con le YPG contro Daesh – sembra avere tutta l’intenzione di ravvivare il conflitto siriano per i suoi piani imperialistici, e ne è prova il fatto che non si è limitata agli attacchi balistici, ma ha effettuato da quest’estate ben tre incursioni nel territorio curdo. La rottura con Washington, sebbene siano entrambi nella NATO, è ormai evidente dalle parole del ministro dell’interno turco Suleyman Soylu rispetto alle condoglianze espresse dal governo americano per l’attentato: “Non accettiamo il messaggio di cordoglio dell’ambasciata americana. Lo rifiutiamo.” Intanto, oltre all’arresto di Ahlam Albasir, la curda siriana ritenuta esecutrice materiale dell’attentato, il tribunale di Istanbul ha ordinato la cattura di altre diciassette persone. Le SDF hanno risposto ai bombardamenti con un razzo lanciato da Tal Rifat sul confine, nella provincia turca di Kilis. Se si è trattato di un inside job di Ankara per creare un casus belli con il Kurdistan siro-iracheno – ipotesi a nostro avviso poco probabile – questo lo proveranno gli sviluppi dei giorni a venire; ma nel caso di un vero attentato delle YPG, è difficile che gli americani non ne fossero a conoscenza.
MDM – 22/11/2022