Giuseppe Russo
Avanti.it
Il teatrino della politica riesce a produrre ancora dei colpi di scena, nonostante il logorio dei canovacci. In quel Senato dove era rientrato in pompa magna dopo esserne stato cacciato nel 2013 a seguito della condanna a quattro anni per frode fiscale e che aveva pure vagheggiato di presiedere, se non altro alla prima seduta in qualità di “senatore anziano” (onore poi toccato a Liliana Segre), Berlusconi ha subito una delle più cocenti umiliazioni della sua pur tumultuosa storia politica. In occasione della votazione per il nuovo presidente di Palazzo Madama, il Cavaliere, con un’operazione da Prima Repubblica, aveva dato mandato ai suoi di uscire dall’aula per inviare un “segnale” a Giorgia Meloni, con la quale le trattative per la formazione del nuovo governo si erano arenate sul nome di Licia Ronzulli e sull’identità del prossimo guardasigilli. L’auspicio era di risolvere tutto nella seconda votazione e far scendere dal piedistallo la leader dei Fratelli d’Italia, che si era permessa di porre il veto sulla Ronzulli e di restare ferma sul suo Carlo Nordio per la carica di ministro della giustizia. L’imboscata non è riuscita: Ignazio La Russa è stato eletto al primo scrutinio con 116 voti, con l’appoggio non rivendicato di 17 (o 19 secondo altre ipotetiche operazioni aritmetiche) senatori di altri partiti che hanno disobbedito, nel segreto dell’urna, ai loro segretari. Per scovare questi “franchi tiratori” si è addirittura fatto ricorso al “VAR”, ovvero alle immagini delle operazioni di voto: avendo dato tutti gli altri partiti ad eccezione di Lega e Fratelli d’Italia indicazione di votare scheda bianca, chi fosse stato scoperto ad indugiare nella cabina elettorale si sarebbe attirato addosso dei legittimi sospetti. Fra i “lenti” che potrebbero aver scritto il nome di La Russa vi sono delle “insospettabili” come le senatrici del PD Susanna Camusso e Anna Rossomando (che è in procinto di passare al CSM), il 5 Stelle Patuanelli e gli altri piddini Del Rio ed Astorre, quest’ultimo assai vicino a Dario Franceschini, la cui corrente vuole accreditarsi come ago della bilancia in vista del prossimo congresso del partito. È stato proprio l’ex ministro della cultura ad essere citato da Renzi come artefice dell’operazione, se non altro per fugare i dubbi che riguardavano il suo gruppo, all’interno del quale, ad ogni modo, il fiorentino ne controllerebbe cinque su nove. Matteo Renzi è stato infatti segnalato come partecipante ad una cena con Daniela Santanchè lo scorso 14 ottobre, a poche ore dall’elezione di La Russa, quando il boicottaggio berlusconiano era ormai venuto alla luce. Sul breve periodo, Renzi punterebbe ad ottenere per i suoi una delle quattro vicepresidenze che, fra Camera e Senato, toccano all’opposizione, ruolo per il quale punterebbe proprio sull’ex berlusconiana Mariastella Gelmini a Palazzo Madama. Sul medio periodo, il guitto di Rignano avrebbe lo scopo di mangiarsi un pezzo di Forza Italia, ed infatti viene già dato in avvicinamento al suo gruppo il senatore Claudio Fazzone. Sul (relativamente) lungo periodo, però, non può essere che il governo la meta di quello che doveva ritirarsi dopo il famoso referendum perso: lui è uno al quale l’opposizione sta troppo stretta. Al di là dell’appoggio renziano, comunque, pur volendo ammettere che tutti e nove gli eletti con Azione – Italia Viva, compreso lo stizzito Calenda, abbiano votato per La Russa, quest’ultimo ha ottenuto almeno otto schede in più del previsto: possibile che, ad inciucio ormai maturato (il “quorum” per l’elezione del presidente del Senato era fissato a 104 voti), siano saliti sul carro altri “responsabili”, e non si tratta dei fantomatici “autonomisti”, che sarebbero di fatto i due altoatesini della SVP, i quali non possono aver sostenuto senza alcuna contropartita un esponente dell’area politica a loro storicamente avversa. Il contesto dei fatti appare opaco: se le forze di opposizione avessero voluto palesare la propria scelta, avrebbero potuto votare per un candidato di bandiera, come è infatti poi avvenuto alla Camera. E invece, hanno optato per l’ambigua “scheda bianca”, garantendo a La Russa una robusta maggioranza. Difficile che tutto ciò sia avvenuto all’insaputa dei vari Letta, Conte e Calenda. .A completare la sceneggiata, la vicenda degli appunti di Berlusconi “rubati” dalle telecamere (le telecamere rubano…a Lui?) con gli aggettivi irriguardosi rivolti a Giorgia Meloni che hanno fatto da casus belli fra i due.
Definita “supponente e arrogante” da Berlusconi attraverso il suo brogliaccio, Giorgia Meloni ha ribattuto di essere anzitutto “non ricattabile”, alludendo alla condizione che ha sempre accompagnato il Cavaliere in ogni sua iniziativa, e non solo nell’ambito politico. In questo caso, vien da chiedersi come egli possa essere ancor oggi, ed in che termini, “ricattabile”, visto che questa crisetta pregovernativa si deve, almeno ufficialmente, all’impuntatura di Berlusconi sulla sua “pupilla” Licia Ronzulli, la quale, dopo essere stata bocciata in qualità di futuro ministro della salute, ha subito la stessa sorte in tutti gli altri dicasteri per i quali Berlusconi, in un compromesso sempre più al ribasso, l’aveva proposta, da quello del turismo a quello dei rapporti con il Parlamento. Costei si è fatta strada nell’inner circle berlusconiano dopo aver agganciato il patriarca in qualche momento fra il 2005 ed il 2007: i fotoromanzi politici raccontano al riguardo che tutto è nato col nobile scopo di ottenere finanziamenti per un progetto di volontariato a favore dei bimbi malformati in Bangladesh. Di formazione infermiera, Licia Ronzulli si è fatta strada all’interno dell’amministrazione sanitaria lombarda, ambito nel quale ha anche conosciuto l’uomo con il quale è convolata a nozze, il manager ed ex presidente della Confindustria brianzola Renato Cerioli. Dopo essere stata eletta al Parlamento Europeo con oltre 40000 preferenze nel 2009, venne bocciata dagli elettori alle successive consultazioni europarlamentari, quando i suoi consensi personali quasi si dimezzarono. Ciò nonostante, nel 2018 le venne regalato un comodo seggio senatoriale in quel di Sondrio e dintorni. Come emerso dalle indagini sulle celeberrime “cene eleganti”, con tutto il corredo di intercettazioni diffuse ad onta di ogni norma e di ogni senso del pudore, Licia Ronzulli aveva svolto il ruolo di “reclutatrice” di ragazze e coordinatrice delle serate berlusconiane assieme ad una che oggi potrebbe essere al suo posto, quella Nicole Minetti le cui ambizioni politiche si sono infrante sugli scogli delle disavventure giudiziarie. Consapevole di quale sia il retroterra “culturale” della Ronzulli, Giorgia Meloni ha posto il veto sul suo nome, dichiarando archiviata la stagione del berlusconismo e delle carriere sviluppate in base alle voglie e ai capricci del Capo. Ora Berlusconi rischia di vedersi squagliare il partito fra le mani: il suo tramonto è prossimo e gli uomini e le donne che ha fatto eleggere, messo il sedere al caldo, van cercando sistemazioni di lungo periodo presso altre banderuole. In queste ore, mentre gli ambasciatori sono al lavoro per “ricucire” gli strappi, i gruppi parlamentari di Forza Italia appaiono divisi in due fra i “ronzullisti” e i “melonisti”, e il bello è che prima di queste bagattelle i “ronzullisti” erano i più “melonisti” di tutti. Come avvoltoi che si avvicinano ad una preda in agonia, sono pronti a spartirsi i resti del berlusconismo politico Calenda e Renzi da una parte, Salvini e la stessa Meloni dall’altra. Lo Stato Profondo bussa ancora una volta alla porta di Silvio Berlusconi, come accadde anche nel 2013, quando, proprio in occasione della sua decadenza dal seggio senatoriale grazie al voto dei parlamentari del PD, con il quale l’allora Popolo della Libertà era alleato nel supporto al governo di Enrico Letta, il suo partito fu flagellato da una scissione, quella del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, che garantì il galleggiamento della maggioranza di solida fede atlantista ed europeista anche nel successivo governo Renzi. Il definitivo crepuscolo di Berlusconi matura all’insegna della farsa, fra la “moglie” Marta Fascina, fatta eleggere in Sicilia come un’Evita Peron (anzi, come un’Isabelita), la Ronzulli che dopo avergli organizzato le pornoserate è passata ad organizzargli le nozze per finta, i figli che provano a farlo rinsavire per salvare la roba, ovvero l’unico tangibile scopo della parabola politica di Silvio Berlusconi.
Il governo Meloni è dunque sul punto di nascere già azzoppato. Scongiurato il rischio che la delegazione di Forza Italia si presentasse in autonomia da Mattarella per le consultazioni di rito, sancendo così la fine della maggioranza di centrodestra, e ricucito, almeno in superficie, lo strappo dopo un incontro nella sede romana di Fratelli d’Italia, il governo si farà, anche se ha le spalle strette, ma la sceneggiatura prevede che debba durare poco. Il soccorso “bianco” proveniente da Renzi e compagni di merende dà forma ad una delle tante maggioranze alternative possibili: una volta cannibalizzata Forza Italia, i confini fra le coalizioni si faranno molto più laschi. Nel frattempo, mentre i maggiordomi giocano nel Palazzo agghindato a festa, si fanno sentire gli effetti dell’economia di guerra e l’Italia corre a grandi falcate verso il collasso socioeconomico. Su questo, c’è poco da giocare: si tratta del principale obiettivo che ogni governo dovrà perseguire. L’Agenda, come lo Spettacolo, deve andare avanti.
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