Giuseppe Russo
Avanti.it
La nave che affonda è troppo piccola per tutti e due. Di Maio e Conte, due bolle politiche gonfiate ad arte fino a diventare palloni aerostatici, sono ai ferri corti. Oggetto del contendere, la risoluzione che impegna il governo a non inviare armi all’Ucraina, alla cui stesura hanno lavorato senatori di osservanza “contiana” e che dovrebbe essere sottoposta a voto parlamentare martedì 21, dopo le comunicazioni in aula di Mario Draghi in vista del prossimo Consiglio Europeo. Il ministro degli esteri è giunto a dichiarare che una posizione del genere mette in pericolo la sicurezza del paese, disancorandolo dalla NATO e violando gli impegni previsti dai trattati internazionali. L’ex premier ha replicato mandando avanti i suoi vice Ricciardi e Gubitosa, i quali hanno trovato ospitalità sulle pagine di Repubblica e de La Stampa per esternare i loro strali: Di Maio è stato definito “un corpo estraneo” e dunque non più rappresentativo del Movimento all’interno dell’esecutivo, ed è stata finanche ventilata la sua espulsione, che pare però impraticabile a termini di statuto; all’atto pratico, non è stato espulso dai cosiddetti “probiviri” neppure l’ex presidente della Commissione esteri del Senato, il “putinista” Vito Petrocelli. Il partito – non partito è di fatto balcanizzato: da un lato i fedelissimi di Conte, dall’altra quelli di Di Maio (sarebbero almeno una cinquantina fra Camera e Senato), in mezzo Grillo l’Elevato, che lancia ogni tanto i suoi criptici e allusivi messaggi nell’etere; fuori dai giochi (almeno ufficialmente) l’altro sopraelevato Casaleggio, il quale ha affidato alle agenzie di stampa frecce avvelenate rivolte ad entrambi i contendenti. Il tracollo delle recenti elezioni comunali ha portato ad anticipare la resa dei conti fra l’ala “pacifista”, che potrebbe fare sponda con la Lega, e quella “atlantista”, che risulta minoritaria nei gruppi parlamentari, ma maggioritaria fra i membri del governo. Sullo sfondo, questioni assai più prosaiche: infuria da settimane la polemica sulla regola del “doppio mandato”, in base alla quale circa ottanta fra i parlamentari a 5 stelle sarebbero incandidabili alle prossime politiche. Il più ostile alla proroga di questa norma sarebbe proprio Luigi Di Maio, intorno al quale hanno fatto quadrato diversi deputati e senatori della “prima ora”. Alla fine, tutta questa montagna polemica ha partorito un compromissorio topolino: dalla riunione del Consiglio nazionale di ieri sera, domenica 19 giugno, è uscita appena una stringata nota in cui si ribadisce la fede atlantista del Movimento, ed è lecito ipotizzare che il temerario Conte venga riportato a più miti consigli da qui alla votazione di martedì 21. Il redde rationem all’interno dell’atomo a 5 stelle è solo rinviato, comunque: pare siano in atto Grandi Manovre.
Al ministro degli esteri vengono attribuite grandi ambizioni da demiurgo politico. Il suo orizzonte sarebbe quello di promuovere una nuova forza in grado di dare compiuta espressione al “draghismo” pur senza coinvolgere direttamente il presidente del consiglio. Della partita sarebbero, oltre ai transfughi pentastellati che sbraitano per un posto al sole (leggi: riconferma dello scranno), il leader in cerca d’autore Beppe Sala, il premier mancato Carlo Cottarelli, l’ala più “governista” di Forza Italia rappresentata da Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, peones “centristi” vari ed assortiti acquattati nei gruppi misti e persino Renzi il furbone, mentre Calenda, che non perde occasione per liquidare Di Maio come una nullità politica (e come dargli torto…), resterebbe a ballare da solo il suo valzer liberaldemocratico. Potrebbe essere la mossa del cavallo: con la costituzione di due nutriti gruppi parlamentari di pasdaran del draghismo, il governo verrebbe blindato fino all’anno prossimo, mettendo il premier al riparo dalle sortite di qualche “testa calda”. Che questo compito venga affidato a Di Maio appare una contingenza legata all’attuale assetto parlamentare: credere che la sua figura possa essere ancora spendibile in termini di raccolta del consenso rappresenterebbe un atto di imperdonabile ingenuità. È pur vero che da qualche settimana il vento è cambiato per Giggino: tutte le gazzette ne hanno messo in risalto la “maturazione” da giovin signore delle istituzioni, mentre vanno chiudendosi i sipari sul passato bibitaro, sulle gaffe e sulle manifestazioni di crassa ignoranza, sulle accuse al “partito di Bibbiano” e sull’impeachment a Mattarella. Nei prossimi giorni potrebbero propinarcelo addirittura come “salvatore della patria” nel caso (che pare comunque, come detto sopra, piuttosto remoto) si arrivasse alla conta in aula sulla risoluzione “contiana”. Il suo braccio destro Spadafora già parla di “salvare l’Italia dallo spread”. In ogni caso, se pure Di Maio dovesse essere sfiduciato dal Movimento in nome del quale fa parte del governo, un rimpasto sarebbe da escludere categoricamente, ed il cerchio si chiuderebbe con il pomiglianese ministro in “quota Draghi” e Conte definitivamente annientato a colpi di telefanghiglia. Il Drago è duro a morire: se pur spuntasse dalla Provvidenza qualche novello San Giorgio, ci penserebbe Giggino a sbarrargli la strada.
diogene dice
Canta il gallo spunta il sole, mariolino fa quello che vuole
Spunta il sole, batton le ore mariolino fa il dittatore.