Marco Di Mauro
Avanti.it
Tutto è iniziato alla mezzanotte tra il 9 e il 10 ottobre, quando le apparecchiature hanno registrato un incremento della presenza di navi militari russe al sud della Crimea. Il giorno prima, sabato, un camion bomba aveva fatto saltare in aria una campata del ponte che collega la Crimea alla regione di Kherson, il primo vero atto di guerra da quando si è svolto il referendum di annessione alla Russia di quella che fino a febbraio era stata l’Ucraina sud-orientale, se si escludono i combattimenti mai sopiti sulla lunga trincea che va dalla linea Svatove-Kreminna tra l’oblast’ ucraino di Kharkov – poco più a nord della linea domenica 9 c’erano stati combattimenti a Piščane, a est di Kupjans’k – e l’oblast’ russo di Luhans’k, fino a sud, dove il fiume Inhulets, tuttora teatro di asperrimi combattimenti, segna il confine tra Mykolaev ucraino e Kherson russo. Fino ad ora l’armata russa era stata lancia in resta, sulla difensiva, ridistribuendo le truppe e organizzando quella che sarebbe stata la quarta fase dell’operazione speciale, forse proprio in attesa di un evento che fornisse la giustificazione politica di un innalzamento di livello dello scontro: un attacco su larga scala su tutta la nazione ucraina, come quello del 24 e 25 febbraio, con il quale in due giorni Mosca mandò in fumo l’intero sistema missilistico e la totalità della flotta aerea e navale di Kiev. Qualcosa che mettesse lo stato maggiore di Zelens’kyj non più in grado di dirigere le operazioni, obbligando i suoi alleati americani a uscire allo scoperto.
L’attacco al ponte di Crimea è caduto a fagiolo. L’esercito di Mosca ha risposto così come aveva annunciato, considerandolo cioè un attacco diretto alla Russia. Alle prime luci di lunedì il ponte era già stato rimesso in funzione, sebbene solo in parte, e durante la notte i movimenti della flotta russa nel Mar Nero hanno tenuto sulle spine l’intelligence ucraina e il Dipartimento di Difesa, che hanno potuto individuare lo schieramento solo parzialmente, essendo la loro fonte primaria il sistema di satelliti Starlink – alle critiche che gli sono arrivate poi, Elon Musk ha sorprendentemente risposto che l’Ucraina ha il contratto di somministrazione più economico dell’offerta Starlink, e così non può usufruire del servizio completo. Nessuna informazione pure dalla rete satellitare, ben più efficiente di quella di Musk, della CIA, per le Forze Armate dell’Ucraina il principale alleato, che nel gergo americano è sinonimo di padrone, che peraltro negli ultimi giorni sta dando sempre più segni di un voltafaccia a Kiev, prima giovedì scorso, quando ha scaricato sull’intelligence ucraina, la Sluzhba Bespeky Ukrayiny, l’intera responsabilità dell’omicidio di Dar’ja Dugina, esplosa con l’auto del padre a Bol’šie Viazëmy, nell’oblast’ di Mosca, lo scorso 20 agosto, e anche nell’affare del ponte di Crimea con una pilatiana lavata di mani ha lasciato la patata bollente nelle mani della SBU. Così, lo stato maggiore delle AFU è stato lasciato solo dagli alleati a fronteggiare la minaccia che diveniva ora dopo ora più concreta.
Alle sette del mattino di lunedì 10 ottobre, la totalità delle sirene antiaeree della nazione dilaniata da ormai otto anni di guerra, di cui otto mesi di Spjetsialnaja Vojna Opjeratsija, ha iniziato a suonare, e più di duecento missili, provenienti dalle flotte del Mar Nero e del Mar Caspio, oltre che dalle basi di Belgorod e Šajkovka, hanno colpito sedici obiettivi spaziando nell’intero territorio ucraino. In sole tre ore le città di Lviv, Ternopil, Kiev, Kharkov, Sumy, Dnipro hanno avuto blackout quasi totali, stessa situazione a Odessa, Kryvyj Rih, Žytomyr, Zaporižžja, Ivano-Frankivs’k, Khmel’nyč’kyj, Kremenčuk, Kropyvnyč’kyj: da ovest a est, da nord a sud, anche città finora poco interessate dagli scontri hanno subito danni serissimi, e le forze russe, aeree e balistiche, hanno iniziato un’opera di distruzione delle principali infrastrutture comunicative, viarie, militari ed energetiche del paese. Internet è in down quasi dappertutto, e i social come Telegram non sono più accessibili dall’Ucraina. Oggi nuovi massicci bombardamenti dal Mar Caspio hanno fatto salire il bilancio dei danni: circa venti importantissime infrastrutture, centrali termoelettriche, sottostazioni, edifici governativi e dell’esercito, sono stati abbattuti. Anche la sede dell’SBU nella capitale è stata raggiunta da un missile ravvicinato che però non l’ha colpita, a significare che le più di 200 bombe sganciate tra il 10 e l’11 ottobre, tanto decantate dall’informazione libera (spesso troppo sbilanciata verso la propaganda filo-russa) come la “vendetta” di Putin, descritta quasi come la scena finale di “Altrimenti ci arrabbiamo!” con l’orso russo che picchia sonoramente i cattivi ucraini e gli americani che corrono a trattare con Putin, sono stati in realtà dei semplici colpi di avvertimento. Lo dicono apertamente sui canali della madrepatria gli esperti russi, i quali auspicano che questi attacchi, più che un singolo exploit dimostrativo in una strategia che finora ha usato l’aviazione col contagocce, divengano sistemici e arrivino a colpire quotidianamente. Così ha dichiarato il capitano di 1° grado della riserva Sergej Gorbačëv: “La valutazione è inequivocabilmente positiva, sono stati distrutti numerosi punti strategici e ciò non può che essere accolto con favore. Vediamo che agli attacchi di ieri sono seguiti quelli di oggi. È difficile dire che saranno quotidiani. Vorrei notare quanto segue: mi sembra che sarebbe sintomatico se i colpi venissero portati direttamente ai centri decisionali, e non accanto ad essi, come ieri in via Vladimirskaya vicino all’edificio dell’SBU. Allo stesso tempo, non c’è stato un solo colpo su nessun ponte o sugli hub su cui vengono ricaricate le attrezzature, indipendentemente dalla regione dell’Ucraina. Non ci sono stati colpi su altre strutture vitali che avrebbero paralizzato il sistema di controllo, il sistema di approvvigionamento energetico, lo sviluppo, l’adozione e l’attuazione delle decisioni. Questi sono colpi dimostrativi. In questo senso, ovviamente, tutto ciò viene valutato molto positivamente, fa piacere, ripristina la fiducia nella nostra società in ciò che sta accadendo e inizia a sfatare la definizione di una guerra ‘strana’. Dio conceda che ciò che è stato fatto per un giorno e mezzo abbia una continuazione, e che continui ad aumentare, e senza pause.”
Ma allora dove sono finiti tutti quei missili? Stando a quanto riferisce Alexander Mikhailov, capo del comitato esecutivo centrale dell’organizzazione Ufficiali della Russia, sono stati compiuti attacchi mirati alle retrovie dell’esercito, minandone seriamente l’approvvigionamento tanto di munizioni, blindati e attrezzature, quanto di beni di prima necessità. Anche la distruzione delle centrali elettriche, se ha portato a severissimi razionamenti nelle città di tutto il paese, ha compromesso soprattutto l’attività delle truppe blufasciate sulla lunga trincea: “Tutto ciò che è accaduto negli ultimi due giorni è una realtà inevitabile” ha detto Mikhailov ai media russi “che dovrebbe minare molto seriamente la capacità di combattimento dell’esercito ucraino. E l’esercito ucraino è composto da due parti: il fronte e le retrovie. Finora abbiamo colpito le retrovie, il che non è meno importante della sconfitta dell’esercito ucraino nella zona di contatto, perché le retrovie determinano tutto il resto – determinano il morale dell’esercito, il tipo di armi, l’equipaggiamento, il supporto e tutto il resto. I colpi alle retrovie sono molto gravi, perché la cosa più importante è distruggere il sistema di comando e controllo, escludere la possibilità di riparare l’equipaggiamento militare ed escludere la possibilità che nuove attrezzature entrino nella zona di combattimento. E senza elettricità, come sappiamo, non si può fare nulla. Per questo motivo è stato colpito il sistema elettrico e penso che seguiranno altri attacchi alle stazioni di snodo, in modo da non far entrare nella zona di combattimento i reparti con armi straniere.”
La dimostrazione di forza del Cremlino intanto sembra aver funzionato: Zelens’kyj e il suo stato maggiore sono nel panico più totale, impossibilitati a reagire o a coordinare una risposta a causa dell’enorme sproporzione di mezzi, e si rivolgono ai paesi NATO che sembrano tuttavia sordi ai richiami dell’eroe quasi premio Nobel per la pace come non sono mai stati finora. Oggi l’ANSA ha riportato che il ministro degli esteri russo Lavrov ha dichiarato che la sua nazione è “pronta a considerare un’eventuale proposta di incontro tra Putin e Biden al G20 di novembre in Indonesia se questa venisse inoltrata” ma una bozza di risposta è arrivata da Jens Stoltenberg, il segretario generale dell’alleanza nord-atlantica, il quale ha dichiarato che “ogni attacco alle infrastrutture critiche di un alleato sarà bilanciato da una risposta unificata di tutta l’Alleanza” e ha ricordato la programmata esercitazione di deterrenza nucleare denominata Steadfast Noon che USA, Regno Unito e Francia terranno la settimana prossima. Siamo alle solite, con l’innalzamento della tensione sul piano della guerra mediatica mentre si preparano altri tiri mancini pianificati dalla CIA ed eseguiti dalla SBU? Secondo Dario Fabbri, analista geopolitico ultimamente troppo schierato con la propaganda atlantista, ci sarebbero trattative in corso tra Washington e Mosca, e così sarebbero da leggere l’abbandono di Zelens’kyj e lo scarico di responsabilità sull’Ucraina.
La fine della guerra certamente non conviene alla parte atlantica, poiché è fondamentale per l’innesco della crisi alimentare e dei prezzi che deve spianare il terreno al Grande Reset. La Russia però ha affinato la sua strategia, prendendo l’iniziativa sul piano politico e bellico, e mettendo in seria difficoltà Washington e i suoi burattini ucraini, che ormai si trovano nella condizione di dover rispondere. Si può esser certi che le prossime mosse degli strateghi del Cremlino avranno l’obiettivo di costringere gli americani a uscire allo scoperto, ponendoli in un difficilissimo aut aut tra una guerra aperta tra Russia e Stati Uniti e una soluzione al conflitto ucraino che possa soddisfare entrambe le parti. Quando si arriverà a queste trattative, se non sono già in corso, una cosa è certa: gli unici a perdere saranno gli ucraini.
Fabio Dosi dice
Analisi condivisibile. In particolare sul collegamento tra guerra e crisi energetica imposta agli abitanti della UE.