Terrore e violenza ormai sono la routine nella Palestina occupata: se prima la violenza era principalmente (anche se mai esclusivamente) ‘di stato’, ovvero perpetrata dalle Israeli Security Forces contro il popolo palestinese, dall’inizio del governo Bennett – il primo fautore di questa escalation mortale, anche se adesso si cerca goffamente di attribuire tutto al governo Netanyahu – sono aumentati esponenzialmente gli attacchi perpetrati da civili armati, che compiono veri e propri raid contro gli inermi autoctoni, cui segue l’intervento dei bulldozer per spianare interi villaggi e cacciare i palestinesi dai pochi fazzoletti di terra rimastigli. A questa violenza il nuovo governo ha aggiunto le continue provocazioni politiche, condannate persino dagli alleati storici di Israele e che hanno suscitato preoccupazione negli stati vicini, portando la situazione dall’estremismo all’esasperazione.
Il punto nevralgico della violenza è tra Jenin e Nablus, epicentro della resistenza araba, dove si susseguono quasi tutte le notti ormai da un anno i raid brutali delle ISF, che solo dall’inizio di quest’anno hanno porato alla morte di più di trenta persone; l’ultimo raid di Jenin ha portato alla morte di dieci palestinesi, una vera strage. Le risposte degli autoctoni non si sono fatte attendere, e giovedì sera dalla Striscia di Gaza sono stati lanciati prima due razzi, intercettati dal sistema di difesa israeliano Iron Dome, che hanno fatto suonare le sirene ad Ashkelon e nelle colonie vicine di Zikim e Karmia. Altri tre razzi sono stati lanciati nelle prime ore di venerdì, di cui uno intercettato e altri due caduti in zone inabitate, facendo suonare le sirene nelle colonie di Nir Oz, Ein Habesor e Magen.
Le risposte ci sono state anche nei territori occupati dal regime sionista. Già dall’inizio dell’anno scorso si sono moltiplicati gli attentati compiuti da uomini armati contro i civili israeliani. Il più sanguinoso c’è stato ieri sera, quando Khaire Alkam, ventunenne incensurato, ha deciso di rispondere alla strage di Jenin: alle 20:15 di ieri sera si è recato a Neve Ya’akov, quartiere ebraico di Gerusalemme Est, e davanti alla sinagoga Ateret Avraham ha prima aperto il fuoco su due passanti anziani, un uomo e una donna, morti sul colpo, per poi freddare altre cinque persone all’ingresso della sinagoga, ferendone altre tre. Un bilancio catastrofico, terminato con il ferimento e arresto dell’aggressore – che non crediamo passerà un fine settimana tranquillo – e seguito dalla rappresaglia della polizia israeliana, che ha arrestato 42 persone nel quartiere di a-Tur, Gerusalemme Est, compresa l’intera famiglia dell’attentatore. Sul posto sono intervenuti il premier Netanyahu e il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir – che della sicurezza nazionale è uno dei principali nemici in quanto uno dei principali colpevoli ideologici di questa letale recrudescenza – il quale ha imbonito la folla inferocita a modo suo, ovvero intimando di non cantare “morte agli arabi” e “morte a quelli di sinistra”, ma soltanto “morte ai terroristi” (un vero pacifista). Ma la rappresaglia non è finita qua: le ISF hanno attaccato in forze i civili palestinesi a Nablus e Nabi Yaqub, mentre civili israeliani armati hanno scatenato una piccola rivolta a Gerusalemme, prendendo di mira (coerenza massima) i negozi gestiti dai cristiani. Ma la rabbia palestinese non si è fermata: stamattina un ragazzino di 13 anni ha colpito con una pistola due uomini, di 22 e 45 anni, ferendo gravemente il più giovane, a David, Gerusalemme. Intanto la violenza a Jenin si è intensificata, e i palestinesi invocano l’aiuto delle brigate di guerriglieri che portano avanti la resistenza contro la spirale di violenza sempre più cruda che si abbatte su un popolo già oggetto di quotidiane vessazioni e umiliazioni. Stasera a Tel Aviv la protesta degli israeliani contro la deriva fascista del governo Netanyahu, il cui ultimo appuntamento ha visto la partecipazione di più di 130mila persone, si aprirà con un minuti di silenzio in favore delle vittime: facile così, se dovessero farlo per le vittime palestinesi sarebbero costretti a star zitti per i prossimi vent’anni.
MDM
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