La Corte Suprema del Pakistan ha stabilito ieri che l’arresto dell’ex primo ministro Imran Khan era illegale. Non è stato immediatamente chiarito quando gli sarà permesso di tornare a casa. Si sa invece che venerdì mattina comparirà davanti all’Alta corte di Islamabad.
Si tratta quindi di una tregua per quella che Khan ha definito una persecuzione portata avanti dal potere militare del suo paese. Per le sue politiche di rinnovamento sociale, lotta alla corruzione e smarcamento dal protettorato Usa Khan è diventato nemico di quei poteri che prima ne hanno fatto cadere il governo e ora puntano a depotenziarne la capacità di mobilitazione e protesta.
Dopo la caduta del suo governo, infatti, il leader pakistano ha denunciato una serie di attacchi repressivi al suo movimento e ai suoi sostenitori. Ha anche affermato che un attentato alla sua vita a novembre è stato pianificato da un alto generale dell’esercito presso l’Inter-Services Intelligence (ISI) del paese. L’esercito ha negato le accuse di averlo portato al potere, di averne ordito la cacciata e progettato l’attentato. Scenari non nuovi per il Pakistan, paese che i militari hanno governato per quasi metà della sua storia attraverso tre colpi di stato.
Questa volta la mobilitazione popolare è stata la principale tutela per Khan. Dopo l’arresto di Khan, centinaia di manifestanti hanno bloccato le autostrade, le principali vie di ingresso e uscita verso tutte le principali città, attaccando e bruciando edifici statali, di polizia e veicoli pubblici e si sono scatenati attraverso le postazioni dell’esercito. Quasi 2.000 persone sono state arrestate e almeno otto uccise, costringendo il governo a chiamare proprio l’esercito per aiutare a ristabilire l’ordine pubblico. Giovedì le strade sono state per lo più tranquille, fatta eccezione per sporadiche proteste.
Una lotta intestina al paese sta ulteriormente alimentando una crisi politica ed economica senza precedenti. Con il nuovo governo, infatti, non solo i cambiamenti promessi non si sono visti ma è di pochi giorni fa la notizia che molto probabilmente il Pakistan da un lato non riuscirà a rispettare il programma sul debito definito con il fondo monetario internazionale (Fmi) e dall’altro non potrà avvalersi delle relazioni costruite da Khan con paesi militarmente ed economicamente concorrenti degli Usa e dei loro alleati quali Russia e Cina. Dietro le proteste, quindi, non c’è solo una campagna di giustizia per un politico ma un diverso modo di intendere il Pakistan sul piano interno e nelle relazioni internazionali.
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