Francesco Santoianni
Avanti.it
Perché langue la mobilitazione per la liberazione di Julian Assange? Certo, gli appelli, anche di prestigiose firme non mancano e così pure manifestazioni, ma si direbbero poca cosa di fronte alla persecuzione di uno dei pochi giornalisti degni ancora di questo nome. Ma torniamo al perché di questa generale indifferenza: i sondaggi ci dicono ben poco; non resta, quindi, che prospettare qualche supposizione.
Probabilmente, oltre al vergognoso atteggiamento dei partiti (primo tra tutti il Movimento Cinque Stelle) espressosi in Parlamento un anno fa, il disinteresse per la sorte di Assange è figlio della rassegnazione nei riguardi della ‘politica’ vista, oggi più che mai, come una entità assolutamente impermeabile alle istanze della gente; una percezione già tradottasi in un crescente astensionismo elettorale. Oltre a questa ovvia constatazione, a mettere in sordina il caso Assange ha contribuito, come vedremo meglio, una subdola campagna mediatica che ha presentato Assange come una sorta di irresponsabile “Robin Hood degli kackers”, motivato solo dal suo “narcisismo” lasciando intendere che WikiLeaks era una struttura finalizzata esclusivamente alla sua promozione e non degli interessi della gente.
Così non è. E, a tal riguardo, segnaliamo una iniziativa, nata nell’ambito del Comitato Free Assange Napoli – qui si si può liberamente scaricare e modificare il materiale didattico per meglio adattarlo alla platea scolastica – finalizzata a far conoscere nelle scuole WikiLeaks, nota, purtroppo, solo per il video “Collateral murder” che essendo diventato l’emblema della mobilitazione per Assange ha finito per mettere in secondo piano tante altre battaglie di WikiLeaks per far crescere il Whistleblowing e, quindi, una società democratica.
Il Whistleblowing è il diritto di comunicare (ad esempio, all’autorità giudiziaria) informazioni su illeciti commessi dal proprio datore di lavoro senza il rischio di subire ritorsioni. Un principio, tra l’altro, ratificato dalla Direttiva dell’Unione europea 2019/1937 e quindi dallo Stato italiano. In realtà presentare una tale denuncia in un commissariato di Polizia necessita di una firma (mentre le innumerevoli denunce anonime presso le procure della Repubblica restano lettera morta) e questo fa sì che il dipendente, identificato come whistleblower, ancora oggi finisce per rischiare mobbing, il licenziamento o, addirittura, accuse di spionaggio se lavora per la Difesa o per qualche servizio di informazione. Certo, il dipendente potrebbe affidare la sua segnalazione a qualche organo di stampa, non essendo tenuto il giornalista a rivelare la fonte delle sue informazioni, ma questo presupporrebbe un attento lavoro di analisi dell’affidabilità della fonte che oggi, con la stragrande maggioranza dei ‘giornalisti’ ridottisi a fare gli imbrattacarte di ‘notizie’ fornite da ‘autorevoli’ agenzie di stampa quasi nessuno è disposto a fare.
Ecco, quindi WikiLeaks (dall’inglese leak «perdita», «fuga [di notizie]») fondata nel 2006 da Julian Assange il quale si era reso conto che la principale fonte di notizie poteva essere costituita da whistleblowers o da hackers che erano riusciti a violare reti informatiche di aziende o di governi. Essi mandavano senza possibilità di essere rintracciati (grazie a sistemi di crittografia e l’utilizzo della, quasi inviolabile, rete Tor) i documenti trafugati ricevendo un codice che permetteva ad essi di essere anonimamente contattati per potere fornire a WikiLeaks, o a giornalisti ad essa associati, ulteriori informazioni per documentare l’affidabilità della notizia. Con questo sistema, ad esempio, nel 2009 un giornalista italiano contattò una persona che aveva passato a WikiLeaks una registrazione effettuata di nascosto ad una riunione tenuta dall’assessore all’Ambiente della Regione Campania inerente la crisi dei rifiuti che sommergevano Napoli e tutta la Campania. Registrazione dalla quale emergevano gravissime complicità tra camorra, vertici dello Stato e Servizi segreti. Ne uscì fuori un servizio del settimanale «L’Espresso» che fece epoca e che servì a far sbaraccare una losca struttura che, traendo dall’emergenza rifiuti il proprio potere, aveva perpetuato per anni una spaventosa crisi ambientale. Altri scoop realizzati grazie a WikiLeaks sono stati quelli sulla Bayer che voleva commercializzare un pericoloso insetticida, sulla Monsanto che, fraudolentemente, voleva fare entrare in Europa vegetali geneticamente modificati, sulla CIA, la NSA, l’FSB che intercettavano illegalmente i cellulari di moltissime persone… tutte battaglie per la democrazia vinte grazie a notizie che arrivate nella struttura di Pionen – un ex bunker nucleare in Svezia che, per anni, è stata la principale sede di WikiLeaks – vagliate e convalidate finivano pubblicate sui media mainstream.
Questa sinergia tra WikiLeaks e blasonati organi di stampa nasce dalla geniale constatazione di Assange che i media seppure asserviti a potentati economici e politici, sono, entro certi limiti, disposti a rivelare le infamie di questi se ciò permette di sbaragliare la concorrenza con altri media. E per garantire questa competitività tra i media bisognava evitare di essere i soli a pubblicare la notizia; come si verificò nel 2002 quando tutta la stampa statunitense si schierò a favore dell’invasione dell’Iraq per punire Saddam Hussein “colpevole”, insieme a Bin Laden degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Una colossale fake news contro la quale si battè, inutilmente, un’unica agenzia di stampa (a tal riguardo, non perdetevi il bel film “Shock and Awe – Attacco alla verità”) la Knight Ridder. Per questo, nel 2010, Assange diede vita agli Iraq War Logs una colossale disseminazione di documenti segreti sulle atrocità commesse dalle forze armate degli Stati Uniti, sostanzialmente messi all’asta da Assange e che furono acquisiti e pubblicati da quotidiani come Der Spiegel, The Guardian, The New York Times, Al Jazeera, Le Monde…
Da quel momento in poi, partì contro Assange una colossale campagna di diffamazione. Vennero uccisi in Grecia e Medio oriente alcuni informatori della CIA e questo (nonostante i loro nomi non comparissero sui documenti pubblicati da Wikileaks) bastò a dare lustro a tale Daniel Domscheit-Berg, un ex collaboratore di Assange che lo accusava di irresponsabile cinismo. Altrettanto fu fatto riesumando contro Assange vecchie accuse di stupro e di essere al soldo della Russia. Ma il culmine della campagna diffamatoria fu quando Wikipedia osò pubblicare nel 2016 mentre era in corso la campagna elettorale le mail segrete di Hillary Clinton, allora Segretario di Stato, che pianificava guerre con falsi pretesti e all’insaputa del Congresso Usa. Tanto bastò per i farisaici Democrats che fino a quel momento avevano appoggiato le battaglie di Assange per additarlo di essere al “soldo di Trump” e pure un “antisemita e sessista”.
Da quel momento in poi scompare la collaborazione tra Wikileaks e media mainstream che, scimmiottandola, per darsi una parvenza di professionalità si consorziarono a livello internazionale per dar vita a “inchieste” basata su notai inspiegabilmente “redenti” come è stato il caso della strombazzata “Panama Papers” mentre una cover-up internazionale calò sui maneggi del figlio di Biden per acquisire le ricchezze dell’Ucraina. Intanto potentati economici, alleanze militari, poteri criminali, silenziati potenziali whistleblowers e resi inutili gli sforzi di tanti coraggiosi hackers, continuano impunemente i loro traffici mentre a volere in galera Assange sono oggi, principalmente, i cosiddetti Democrats.
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