Francesco Santoianni
Avanti.it
Davvero vergognosa su Wikipedia la trasformazione della voce «Strage di Odessa» (definita fino a pochi mesi fa: «un massacro avvenuto il 2 maggio 2014 ad Odessa presso la Casa dei Sindacati, in Ucraina, ad opera di estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti filo-occidentali ucraini ai danni dei manifestanti sostenitori del precedente governo filo russo») in un «Rogo di Odessa» («un incendio verificatosi a seguito di violenti scontri armati fra fazioni di militanti filo-russi e di sostenitori del nuovo corso politico ucraino»). Un travisamento del passato già descritto nel romanzo 1984 di George Orwell dove il ‘lavoro’ del protagonista al Ministero della Verità era tagliar via e sostituire da giornali ed enciclopedie notizie scomode al regime. Attività oggi svolta su Internet dove, ad esempio, su Google risultano irraggiungibili notizie inerenti i crimini delle guerre condotte dalla Nato mentre su internet viene negato l’accesso a siti di informazione russi.
Contro questa cancellazione della memoria, l’impegno di una compagna di Odessa, Olga Ignatieva, tra i pochi sopravvissuti alla strage, che sta completando un libro-inchiesta che, anche attraverso numerose testimonianze, ricostruisce la strage e la dinamica che l’ha determinata. L’abbiamo intervistata.
Non è stato affatto un ‘incendio nato accidentalmente’ come oggi vogliono far credere. La strage era stata pianificata da tempo. Basti dire che, ore prima del lancio delle molotov veniva interrotta nell’edificio l’erogazione dell’acqua e dell’elettricità e che i criminali nazisti che vi hanno fatto irruzione per uccidere i pacifici manifestanti già conoscevano perfettamente gli interni.
Tu come hai fatto a salvarti?
Prima che fosse appiccato l’incendio, la strage era già stata preparata, con l’uccisione – nel centro città, tramite cecchini mimetizzati sui tetti – di due attivisti pro-Maidan, almeno 4 attivisti anti-Maidan e innumerevoli poliziotti. E questo per far salire la tensione e, quasi, “giustificare” l’incendio della Casa dei sindacati con tante persone dentro.
Nonostante ciò, ad aiutarmi ad uscire dall’edificio in fiamme e inondato dal fumo di copertoni lì messi a bruciare e da uno strano gas, sono stati proprio alcuni attivisti pro-Maidan di Odessa inorriditi da quello che stavano facendo le bande di criminali nazisti. Criminali nazisti, fatti giungere da Kiev e da altre città ucraine, mimetizzati come “tifosi” arrivati per una partita di calcio. Criminali nazisti che, appiccato l’incendio, sparavano e lanciavano bottiglie incendiarie contro gli occupanti della Casa dei sindacati che cercavano di mettersi in salvo.
E tutto questo era documentato da video, realizzati quasi tutti dagli assalitori e messi su Youtube. Video rimossi nel febbraio di quest’anno. Anche per questo ho messo su un crowfunding per recuperare le documentazioni originali di questo crimine, raccogliere testimonianze e pubblicare un libro.
Quale è stata la reazione della popolazione non russofona di Odessa davanti alla strage?
Odessa, la mia città, è una città meravigliosa dove, da secoli, convivono pacificamente numerose etnie, inclusi gli italiani. Un mosaico di culture che ha cominciato ad incrinarsi già nel 2004 con il tentato colpo di stato aizzato dagli USA che già pretendeva di mettere al bando la lingua russa, così come è stato nel 2015. Una assurdità considerando che la stragrande maggioranza della popolazione in Ucraina usa comunemente la lingua russa o il cosiddetto Suržik (un idioma di russo, ucraino e chissà quante altre lingue il cui termine significa letteralmente “pane impastato con diversi cereali”). In realtà, il vero scopo della proibizione della lingua russa è il voler fare dimenticare la storia e identificare la Russia come responsabile della miseria nella quale è precipitato il mio paese dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Un inganno, purtroppo, fatto proprio da alcuni, non certo la maggioranza, dei miei connazionali che credono che solo asservendoci completamente agli USA e all’Unione Europea potremo risalire la china.
Quale è stata la tua esperienza dopo la strage alla Casa dei sindacati?
Dopo la strage, licenziata dal lavoro, per un anno e mezzo, ho dovuto subire le persecuzioni dell’SBU, inclusi interrogatori con la macchina della verità. Infine sono scappata in Italia dove, dopo un anno, ho ottenuto lo status di rifugiata. Fino al febbraio di quest’anno, qui, mi sentivo circondata dalla solidarietà della gente; poi con la valanga di falsità diffuse dai media sulla “guerra di Putin” molto è cambiato. E, ancora oggi c’è chi mi crede una “quinta colonna del Cremlino” solo perché denuncio un crimine impunito.
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