Marco Di Mauro
Avanti.it
La notte scorsa è stata forse la più lunga della vita di Imran Khan, leader del partito Pakistan Tehreek-i-Insaf e premier destituito con un complotto orchestrato dagli Stati Uniti da gennaio ad aprile di quest’anno. Khan, ex campione di cricket amatissimo dal popolo pakistano, non si è mai dato per vinto, svelando le orchestrazioni e influenze americane che hanno portato alla sfiducia del suo governo e sfruttando al massimo la propria popolarità per destabilizzare l’esecutivo del fantoccio americano Shehbaz Sharif. E ci è riuscito, stando a un sondaggio realizzato tra gli abitanti del Punjab, la regione più popolata del paese, rivelatosi un vero e proprio plebiscito per il presidente illegalmente destituito. Nemmeno ve n’era il bisogno, dal momento che il consenso di cui gode si era visto già a fine maggio, quando centinaia di migliaia di sostenitori lo avevano accompagnato in una marcia sulla capitale che tuttavia era stata interrotta dallo stesso Khan quando aveva compreso che l’esercito, da sempre fulcro della politica pakistana, non avrebbe usato clemenza ai manifestanti.
D’altronde, chi conosce la storia del Pakistan sa bene che le marce sulla capitale sono sempre servite a poco: il primo a provarci era stato nel 2009 Nawaz Sharif – amico di lunga data di Washington, primo ministro per ben tre volte (dal 1990 al 1993, dal 1997 al 1999 e dal 2013 al 2017) – perché non aveva digerito una sentenza della Corte Suprema di quell’anno che aveva sancito l’ineleggibilità per sé e per il fratello Shehbaz (guarda caso, il primo ministro attuale), ma furono l’intervento americano (che portò l’allora premier Yousaf Raza Gilani a giungere a un compromesso sulla sentenza) e la minaccia dell’intervento dell’esercito a farlo desistere; il secondo fu Mohammad Tahir-ul-Qadri, intellettuale pakistano-canadese e capo del partito Pakistan Awami Tehreek, che insieme a Imran Khan tenne in scacco il parlamento con un sit-in di migliaia di persone durato da agosto a ottobre 2014 per protestare contro la corruzione del governo Sharif e propugnare un riformismo in senso democratico e liberal, ma fu sciolta dallo stesso Qadri dopo due mesi senza risultati. Quattro anni dopo, nel 2018, Nawaz Sharif, appena fatto ritorno da Londra, fu arrestato per corruzione, nonostante un gruppo di sostenitori avesse provato a fermare la polizia, poi scarcerato a causa di problemi di salute, e fuggito a Londra. Ma il Pakistan di oggi non è quello di allora: la débacle afghana ha mutato gli equilibri interni al paese e i suoi interessi esteri, e gli americani, come nel resto del globo, per mantenere la leadership devono digrignare i denti come un ratto alle strette.
Dopo il passo di lato fatto da Khan nella capitale, il governo in carica ha iniziato la sua battaglia per ridurlo al silenzio. A luglio la Commissione Elettorale ha rispolverato un vecchio rapporto del 2014 fatto da un fuoriuscito del partito Pakistan Tehreek-i-Insaf, Akbar Sher Babar, in cui si accusava il partito di Imran Khan di aver ricevuto fondi da paesi esteri, violando le leggi del Pakistan sui finanziamenti elettorali, rispettivamente da USA, Canada, Australia ed Emirati Arabi Uniti. È emersa anche la figura di un tycoon pakistano, Arif Naqvi, che avrebbe organizzato un torneo di cricket di beneficenza per facilitare le donazioni al partito di Khan da parte del suo gruppo di private equity Abraaj, con sede a Dubai, e di un membro della famiglia reale di Abu Dhabi, secondo quanto tirato fuori dal rapporto in un’inchiesta del Financial Times. Infine, dal rapporto della Commissione Elettorale vien fuori che il PTI avrebbe tenuto “nascosti” tredici conti bancari alle autorità pubbliche. Questo però non ha per nulla scalfito l’immagine pubblica di Khan, anzi, secondo Huma Baqai, professore dell’Università di Karachi interpellato dal Financial Times, non solo quest’operazione non smuoverà l’elettorato di un millimetro, ma “si aprirà il vaso di Pandora. Se il PTI ora rafforzerà la sua campagna per spingere verso un’indagine sui bilanci della raccolta fondi di tutti i partiti politici si solleverà una controversia molto più grande.” Intanto, il governo di Shehbaz Sharif ha avviato un procedimento per rendere Imran Khan ineleggibile e bandire il suo partito dalle elezioni. È l’unica arma che ha, dato che i consensi al leader uscente aumentano sempre di più, soprattutto per la politica di austerità inaugurata dal suo esecutivo di crescente inflazione e aumento dei prezzi di alimentari e carburanti, tutto per rientrare nei parametri del Fondo Monetario Internazionale, che ha promesso a Sharif 1,27 miliardi di dollari. Briciole che serviranno soltanto come garanzia al paese per ottenere prestiti da altre entità, intrappolando ulteriormente il paese in una rete creditizia sulla pelle dei cittadini. Intanto, le attuali riserve bastano a garantire soltanto due mesi di importazioni (dati Bloomberg).
Il 10 agosto viene inferto un altro colpo a Khan e i suoi: l’intellettuale Shahbaz Gill, capo dello staff di Imran Khan, viene arrestato con l’accusa di sedizione. Il motivo risiede in un intervento di due giorni prima ai microfoni di ARY News, emittente notoriamente critica nei confronti del governo Sharif, in cui Gill ha esortato le truppe dell’esercito a non accettare alcun ordine illegale dai vertici militari. È stato così prelevato nella sua abitazione con modalità riservate ai criminali pericolosi. Il giorno dopo Imran Khan ha twittato: «Questo è un rapimento, non un arresto. È possibile che in una democrazia si verifichino atti così vergognosi? Collaboratori politici trattati come nemici. E tutto per farci accettare un governo di delinquenti appoggiato dall’estero.», in questo momento Gill è in carcere e rischia la pena di morte, ARY News è stata oscurata e il suo direttore responsabile arrestato.
A questo punto Khan, conoscendo gli equilibri del suo paese e forte dei risultati schiaccianti ottenuti in Punjab, ha tentato l’unica strada che poteva dargli qualche frutto: invocare a furor di popolo le elezioni anticipate. Evitando precauzionalmente le strade e le piazze, ha organizzato una manifestazione nel Cricket Stadium di Islamabad che ha visto la partecipazione di una folla oceanica, 450mila persone, anche se per l’Associated Press sarebbero state soltanto «centinaia», che hanno invocato a gran voce le elezioni anticipate e si sono opposte al caro vita imposto dal governo. Nel suo discorso, censurato sulle emittenti nazionali e in contemporanea del quale è stato oscurato l’intero sito di YouTube, il leader di PTI non ha risparmiato nulla ai suoi avversari, scagliandosi contro i giudici che lo stanno perseguitando e denunciando gli abusi sessuali subiti dal suo collaboratore Gill in carcere. A chi lo ha incriminato “il popolo non risparmierà nulla”. La crudezza del suo discorso ha dato al ministero dell’interno l’opportunità che cercava da tempo per incriminarlo, e ordinare un mandato di arresto nei suoi confronti.
Così è cominciata la lunga notte di Bani Gala, quartiere a sud della capitale dove si trova la residenza di Khan. I membri del suo partito hanno subito fatto una chiamata generale ai suoi sostenitori, che giungono da tutte le città vicine in migliaia, così numerosi che le pattuglie poste a chiudere le strade d’accesso alla casa devono farsi da parte e lasciarli passare. Incurante, il ministero ordina il suo arresto, che sarebbe avvenuto tra le 5 e le 7 del mattino (ora locale), mentre la folla si fa sempre più numerosa. Verso mezzanotte arriva la notizia della fuga di Khan: sarebbe scappato da Bani Gala per dirigersi verso Lahore. I sostenitori intorno alla sua casa aumentano ancora, tanto da rendere necessaria un’azione lunga e violenta anche soltanto per andare a fare un controllo nell’abitazione, e confermare o meno le voci della fuga. Shah Mahmood Qureshi, vicepresidente della Tehreek-e-Insaf pakistana ed ex ministro degli Esteri del Pakistan dichiara ad ARY News: “Imran Khan è la nostra linea rossa. I cospiratori dovranno affrontare la reazione dell’intera nazione.” alle 2 viene smentita la notizia della fuga e girano le ultime immagini di Khan nella sua casa, circondato dai sostenitori: ha rifiutato la fuga nonostante i capi del suo partito glie lo avessero consigliato più volte. Intanto, le rivolte in suo sostegno si propagano in tutto il paese: prima a Lahore, poi nel Punjab a Gujranwala e Batti Chowk, a Gojra dove i capi del PTI organizzano un sit-in, a Faisalabad, a Sialkot. Intanto a Bani Gala i manifestanti, in numero decisamente maggiore, circondano le jeep della polizia intimandogli di andarsene. E continuano così, non muovendosi di un millimetro, per tutta la notte e tutta la mattina, impedendo fisicamente l’arresto del loro leader. Alle 10 del mattino ci sono i primi segni di cedimento: nessuno si fa vivo, il morale dei manifestanti comincia a farsi incerto e la stanchezza a farsi sentire. Quattro ore dopo, arriva la decisione dell’Alta Corte di Islamabad, che concede a Imran Khan di evitare l’arresto su cauzione entro il 25 agosto, impedendo di fatto il suo arresto. A quel punto, scoppia la gioia: Khan va a ringraziare i suoi sostenitori tra il tripudio della folla. Con la consapevolezza che è stata vinta una battaglia, ma la fine della guerra è ancora di là da venire. Tanto più che, di tutta risposta, dalle 20 di stasera (mezzanotte ora locale) il governo ha bloccato la rete internet in tutto il Pakistan.
Danilo dice
forza Khan, bisogna lottare palla su palla in ogni Stato. Ormai è palese chi sono gli Americani globalisti.
Stefano Capasso dice
I golpe istituzionali promossi dai ” difensori della libertà” delle multinazionali si stanno facendo sempre più numerosi: dopo il Sudamerica e l’africa ora anche in Asia . In Europa hanno incominciato con l’Ucraina.